domenica 20 gennaio 2008

Povertà e leadership nel tardo impero romano

Peter Brown
Povertà e leadership nel tardo impero romano
Laterza

I poveri han sempre fatto comodo per prendere il potere
Un provocatorio saggio di Peter Brown studia il rapporto tra povertà e leadership nel tardo impero romano e confronta la «propaganda» dei primi vescovi cristiani con l’attuale «tutela» dei diritti umani

25/10/2003

Silvia Ronchey

BEATI i poveri di spirito! E' loro infatti il regno dei cieli». Così traduce Girolamo la più enigmatica frase di un testo già così enigmatico come il vangelo. Chi sono infatti i «poveri di pneuma» di Matteo 5,3? forse i «poveri di fiato», coloro che l'hanno perso per avere troppo riso o troppo pianto? o forse si tratta di «coloro che sono privi di spirito proprio», gli uomini impersonali, come ha ipotizzato Elémire Zolla? Povero per la Cabala è il simile alla Shekinah o Gloria di Dio, che è "povera" perché non ha nulla di per sé, ma solo ciò che le viene dalle Sue emanazioni. Perciò "povero" può significare privo di qualità, interamente dipendente dalla emanazioni del Nulla, "vuoto". In un senso certamente non letterale vanno intesi anche tutti gli altri strani e imbarazzanti appelli alla povertà che una figura anomala del mondo tardo antico come Gesù di Nazaret affidò ai suoi discepoli: «Se vuoi essere perfetto vai, vendi tutti i tuoi averi, dalli ai poveri e seguimi», in Matteo 19, 21; «E' più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno dei cieli», in Matteo 21, 24; e così via. Il radicalismo dei primi, isolati predicatori cristiani, quei Wandercharismatiker o "carismatici vaganti" che seguendo alla lettera il vero o presunto messaggio pauperistico del loro maestro si diedero a una vita errabonda in Galilea, Giudea e più tardi in Siria, ebbe però ben poca presa sulle comunità urbane del ricco mondo romano-ellenistico. Ci volle qualche secolo perché la nuova religione che insegnavano si ammorbidisse e plasmasse e, attraverso il riorientamento operato da Paolo prima, dagli apologeti e dagli antichi padri della chiesa poi, subisse una quasi totale metamorfosi per arrivare a conquistare le classi medie, sia giudaiche sia pagane, a infiltrarsi nei ceti dirigenti e infine a diventare, con un'ulteriore e definitiva metamorfosi, religione di stato nel rifondato impero di Costantino. Come poté conciliarsi questa presa del potere, questa penetrazione del cristianesimo nella facoltosa leadership del tardo impero romano e romèo, con l'esaltazione della "povertà" - qualunque cosa la parola significasse - che il testo sacro più prossimo al suo eroe eponimo Cristo brandiva pervicacemente? E' questo l'interrogativo fondamentale cui vuole rispondere l'ultimo libro di Peter Brown, intitolato appunto Povertà e leadership nel tardo impero romano, quanto mai provocatorio e eversivo, come sempre il suo autore, rispetto alle opinioni correnti: in particolare, rispetto all'idea di un impoverimento economico e di un inasprimento delle lotte sociali nella tarda antichità, ormai unanimemente assunta dagli storici a partire dai classici studi di Santo Mazzarino fino a quelli recenti, e ben noti agli studiosi, di Paul Veyne e Evelyne Patlagean. In realtà, sostiene il grande studioso americano, massimo tardoantichista vivente, il fenomeno cui assistiamo nei secoli di sedicente decadenza dell'impero e di crescente egemonia del cristianesimo non è l'intensificarsi di una condizione sociale, ma di una figura retorica: di una nuova "immagine-modello", che si distacca dall'immagine della società classica per avvicinarsi al modello biblico vicino-orientale. «La tarda antichità - scrive Brown - fu testimone della transizione da un modello di società in cui i poveri erano in gran parte invisibili a un altro in cui giunsero a giocare un ruolo potente nell'immaginario». Ma di immaginario si trattava, ritiene Brown, non di mutata realtà sociale o tanto meno economica. Nel quarto secolo i cosiddetti poveri rappresentavano, come testimonia un'orazione di Giovanni Crisostomo, un decimo della società - un altro decimo essendo costituito dai cosiddetti ricchi e il resto dalla classe media. Proprio come il "decimo sommerso" di cui parla nel XIX secolo William Booth per l'Inghilterra dell'età industriale. Proprio come Crisostomo, Booth aggiungeva: «Un decimo non è una proporzione scandalosamente alta?». La povertà dunque, ipotizza Brown, non era di fatto aumentata, ma era interesse della propaganda cristiana esaltarne il ruolo. «Per dirla schiettamente - scrive Brown - in un certo senso furono i vescovi cristiani ad avere inventato i poveri». La presunta povertà tardoantica fu uno stereotipo funzionale alla nuova leadership, che per acquisire potere presentava le proprie azioni come una risposta alle necessità di un'intera categoria che sosteveva di rappresentare. La nuova ideologia dominante «rivendicava a sé il merito di aver messo radici nella parte infima della società per mezzo della cura vescovile dei poveri». Un po' come - ed è lo stesso Brown a suggerirlo - la cosiddetta tutela dei diritti umani, all'interno del fenomeno odierno che i commentatori hanno chiamato "rivoluzione dei patrocini", è lo strumento retorico attraverso cui oggi alcune ideologie giustificano e propagandano l'accrescersi della propria aggressività politica. Così come quello americano oggi, anche il potere imperiale tardoantico, scrive Brown, «non divenne, per effetto di una tale rivoluzione dei patrocini, né più umano né meno oppressivo».

(da ttL, tuttoLibritempolibero, n. 1384, 25.10.2003, p. 5, La Stampa. vedi http://www.lastampa.it/_settimanali/...Libri/art7.asp )