domenica 20 gennaio 2008

Federico II. Ragione e fortuna

Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri
Federico II. Ragione e fortuna
Laterza

recensione:
Benefattore o Anticristo, Federico II stupisce ancora

Si potrebbe cominciare con un indovinello. Rivolgendovi al vostro interlocutore chiedetegli chi era quel re che avrebbe detto: «Come sarebbe bello governare uno Stato islamico, senza papi e senza frati!». Poi aggiungete che molte sue lettere, scritte in arabo, cominciavano con la nota formula: «Bismillahi ar rahman ar rahim», ovvero: «Nel nome di Dio, clemente e misericordioso». Se il prescelto tentenna, ricordategli che più di un papa lo considerò l’Anticristo e che, di conseguenza, fu anche un collezionista di scomuniche. Niente ancora? Rammentategli che a Gerusalemme, anticipando Napoleone di sei secoli, si incoronò da solo ed entrò nella città santa senza versare una goccia di sangue, in perfetto accordo con i musulmani. Se la risposta proprio non giunge, l’aiuto decisivo potrebbe arrivare da Friedrich Nietzsche, il filosofo che lo adorava: «Pace e amicizia con l’Islam! Così pensava e così fece quel grande spirito libero, il genio tra gli imperatori tedeschi...». I puntini sono l’estrema resistenza al nome. Che ora riveliamo: Federico II di Svevia. Non mancano certo libri su questo sovrano noto come «stupor mundi», uomo che affascinò il suo tempo e che i posteri sempre rimpiansero. Dalla classica biografia risalente al 1927 di Kantorowicz Federico II imperatore (continuamente ristampata da Garzanti) a quella meno ponderosa di Abulafia , Federico II. Un imperatore medieval e (Einaudi), via via sino ai numerosi studi specialistici apparsi nel 1994 per l’ottavo centenario della sua nascita, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Ora Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, dopo aver pubblicato una storia del pensiero politico sull’età di mezzo (Laterza), ci offre un saggio s u Federico II. Ragione e fortuna , ricostruendo le relazioni che intrattenne con il suo mondo e il gran fiorire di maestri vicini al monarca, che insegnarono «con nuovi metodi e nuove ragioni nuove discipline». Tre saggi finali del libro e la bibliografia si devono a Claudio Fiocchi.
Chi era Federico II? Difficile rispondere. La sua cultura e le sue idee non hanno mai smesso di contaminare quanto stava accadendo; per questo si può dire che da sette secoli i giudizi riflettono quelli del suo tempo. Aprendo la Cronica del guelfo Giovanni Villani, si scopre che era «figliolo d’ingratitudine non riconoscendo la Santa Chiesa come madre, ma come nemica matrigna, in tutte le cose le fu contrario e perseguitatore». E non solo: «Dissoluto in lussuria in più guise (...) in tutti i diletti corporali volle abbondare». Diverso parere nella Historia de rebus gestis Friderici II di Niccolò di Jamsilla, scritta con intenti ghibellini: «Fu un uomo di gran cuore e si applicò in ogni impresa con molta ponderazione. Amò e onorò a tal punto la giustizia che a nessuno fu vietato di chiamare in giudizio lo stesso imperatore (...). Per l’odio dei suoi nemici fu colpito da molte avversità, ma da costoro non fu mai vinto».
Oggi Federico resta una figura fascinosa da studiare, ma difficile da accettare. La sua idea di impero non è politicamente corretta, il suo carattere ghibellino odora di zolfo anche per i bigotti del laicismo, il suo amore per la cultura, intesa come elemento indispensabile alla vita e non come merce da utilizzare, è inattuale. Anche far convivere ebrei, musulmani e cristiani sembra, nell’era della globalizzazione, un residuo dell’età dell’oro. Re di Sicilia oltre che imperatore, il sovrano riunì alla corte di Palermo letterati, filosofi e scienziati. Ma all’occorrenza era figlio del proprio tempo: quando metteva mano alla spada, le teste rotolavano in abbondanza.
Nel saggio della Beonio Brocchieri, la seconda parte è quasi tutta dedicata alla ricostruzione degli interessi culturali di Federico II. Suo consigliere era il filosofo Michele Scoto, destinatario anche di lettere in cui il re chiedeva di svelare i segreti della natura e «che cosa sono i cieli e chi li governa». Di più. Alla Bodleiana di Oxford è conservato un manoscritto in arabo in cui c’è la corrispondenza tra Ibn Sab’in ’Abd al-Haqq e Federico: in esso scopriamo che l’imperatore, insoddisfatto dalle soluzioni date dai filosofi dell’Egitto, della Siria e dell’Iraq, si rivolge a questo sapiente della Spagna musulmana, il quale risponde rifiutando il denaro inviatogli. E la prima domanda, neanche a farlo apposta, è un tema di bruciante attualità nelle scuole filosofiche di quegli anni: l’eternità del mondo. Un’altra è dedicata al numero delle categorie: ad essa Ibn Sab’in replica con un pizzico di insolenza. Non entreremo in tutti i dettagli, ma vale la pena aggiungere che Leonardo Fibonacci poté divulgare il suo sistema delle cifre numeriche indo-arabe grazie a Federico. E che numerose traduzioni furono sollecitate sempre dall’imperatore, a cominciare da un trattato arabo del falconiere Maomin, traslato dal farmacologo e astrologo Teodoro d’Antiochia. Sarà presente nella stesura del celebre libro federiciano su L’arte di cacciare con gli uccelli .
Un altro capitolo della Fumagalli Beonio Brocchieri è dedicato ai maestri ebrei. Troviamo, tra gli altri, Giacobbe Anatoli, il quale partecipava con Michele Scoto e il monarca a discussioni intorno alla materia con cui fu creato il cosmo: capitò anche che i due sapienti non si trovassero d’accordo con il sovrano e respingessero le sue tesi. Anatoli lasciò riflessioni sulla diseguaglianza umana e sulla funzione del linguaggio. E questo accadeva mentre a Parigi - correva il 1240 - una copia del Talmud , dopo una controversia tra cristiani ed ebrei, veniva bruciata alla presenza del re San Luigi.
Questo libro su Federico II è un’occasione per riflettere su quei valori del vivere civile che non tramontano e su una figura che continua a ghermirci. Le sue concubine e il lusso ora ci interessano meno della sua intelligenza, gli errori sono ormai sostituiti dall’esempio dell’uomo nuovo che egli rappresentò. E anche sulla sua fine si moltiplicarono le leggende. Qualcuno lo vide attorniato da astrologi e da saraceni a lui devoti; altri gli fecero indossare l’abito cistercense concedendogli l’assoluzione di Beroldo, suo amico e arcivescovo di Palermo. Altri infine, credettero che egli fosse l’Anticristo annunciato dalle profezie dell’abate Gioacchino da Fiore. E siccome l’Anticristo non poteva andarsene se non dopo aver terminato la sua opera nefasta, le voci si inseguirono sino a credere che Federico non fosse morto, ma addormentato in una caverna. Un giorno sarebbe ritornato alla vita per completare la sua missione.



Corriere della Sera, Cultura, 03/11/2004