domenica 31 agosto 2008

Salwa al-Neimi rivendica l'appartenenza a una tradizione che ha sempre esaltato il sesso

Corriere della Sera 31.8.08
Salwa al-Neimi rivendica l'appartenenza a una tradizione che ha sempre esaltato il sesso
E la giovane araba scopre l'eros
Vietato in quasi tutto il mondo islamico, «La prova del miele» è già un caso
di Cecilia Zecchinelli

PARIGI — «Come posso gridare al mondo la mia passione per Georges Bataille, Henry Miller, il marchese de Sade, Casanova e il Kama Sutra e non nominare nemmeno Al Suyuti e Al Nafzawi?», si chiede la narratrice senza nome e senza pudori in La prova del miele (tradotto da Francesca Prevedello per Feltrinelli). «Perché tanta sorpresa in Occidente per un libro erotico in arabo, se non per il solito falso cliché che ci vede tutti nemici del sesso, le nostre donne vittime e oppresse? », ci chiede Salwa al-Neimi, autrice dell'opera diventata ormai caso letterario e campione di vendite (anche) nel mondo arabo. Nel cortile del prestigioso Institut du Monde Arabe di Parigi, dove lavora da anni dopo un passato da giornalista letteraria, Salwa ci parla di Al Suyuti e Al Nafzawi, di Al Tigani e Unsi Al Hajj. Ovvero dei grandi autori classici che secoli fa all'eros dedicarono studi e trattati, ne derivarono gloria e ammirazione. E molti di loro, ricorda, erano sheikh religiosi, credenti e pii. «Perché nel mondo arabo-islamico il sesso non è mai stato peccato, anzi il nostro è l'unico popolo, io credo, per cui l'eros è una grazia di cui essere riconoscenti a Dio». Al punto che «tra gli effetti positivi del coito, dicevano i classici, c'è l'anticipazione del paradiso».
È tutta nel solco della (ri)scoperta dell'eredità erotica araba la prima opera in prosa («non è un romanzo, piuttosto un testo libero») della Neimi. Una sorta di diario- confessione di una giovane araba («non ha problemi di identità anche se vive in Francia, è libera») che nel sesso scopre davvero il suo paradiso. Leggiamo dal libro: «A importarmi è solo il desiderio, il mio prezioso desiderio». «Non ho altri modelli che me stessa. Non sono in cerca di una fatwa che mi dia il permesso di concedermi ai miei uomini». E ancora: «Chi desidera il mio corpo mi ama, chi ama il mio corpo mi desidera. È il solo amore che conosco, il resto è letteratura ». «Se il mistico Al Juneid scriveva "Ho fame di coito come ho fame di cibo", io dico "Ho sete di acqua, di sperma, e parole"».
Nelle centodue pagine della Prova del miele avvenimenti ce ne sono ben pochi: aneddoti, citazioni e molte riflessioni piuttosto, divisi in capitoletti dedicati come nei testi antichi ciascuno a un tema (l'hammam, la dissimulazione) o a una storia intrecciata a quella della protagonista (la massaggiatrice, il sesso arabo nella City). Ma nemmeno i personaggi (gli «amanti» dai nomi un po' pretenziosi, come il Viaggiatore o il Lontano) hanno personalità delineate e chiare. Ad eccezione del più desiderato e forse perfino amato, il Pensatore, che risveglia nella narratrice la vera passione (il miele), e con lei condivide l'amore, ancora una volta, per i classici e per la lingua araba. «Più di qualsiasi altra la lingua del sesso », che anche in traduzione a volte resiste. Come nella discussione tra lei e il Pensatore su che termine in arabo classico sia più adatto per descrivere la sodomia femminile (la narratrice finirà per inventarlo).
Non che sia tutto così facile, in realtà. La visione dell'Occidente di un mondo islamico sessuofobo oggi è più vera che in passato; moltissimi arabi non conoscono e nemmeno immaginano quei famosi trattati d'amore carnale compilati per giunta da uomini di fede; l'idea che una donna possa scriver di sesso per molti è uno scandalo. E La prova del miele, uscito a Beirut nel gennaio 2007 con la scritta «vietato ai minori» (e lì apprezzato perfino da Al Akhabr, quotidiano del Hezbollah) è stato infatti proibito quasi ovunque nel mondo arabo, esclusi solo il Maghreb e Dubai. «Perfino in Egitto e nella laica Siria, la mia patria, il libro è bandito, anche se per strada lo vendono di nascosto e con Internet arriva ovunque. E ho ricevuto minacce, insulti», dice la Neimi. Censura e attacchi, uniti all'etichetta «il primo libro erotico scritto in arabo da una donna» (record controverso ma in sostanza vero) che hanno però aiutato molto il libro in Occidente. Alla Fiera di Francoforte già 17 Paesi (dal Giappone alla Turchia) lo hanno comprato, in alcuni casi con aste e prezzi assai alti. «Pensare che nei cinque libri di poesie che ho pubblicato in passato l'erotismo era altrettanto presente, ma nessuno li ha mai trovati interessanti », sospira la Neimi.
A sentire lei il successo del Miele sta quindi, soprattutto, «nella lingua facile, moderna, diretta che riesce a parlare anche ai giovani ». Vero forse per la versione originale, in arabo. Mentre è difficile credere che in Occidente non abbia pesato e non pesi quel mix di censura-erotismo-orientalismo che volutamente l'accompagna: l'edizione italiana lo presenta come «le confessioni impertinenti di una Sheherazade contemporanea », cliché che le scrittrici arabe affermate rifiutano da tempo e con forza. Ma comunque sia, ben venga il Miele di Salwa. Per sfatare qualcuno dei tanti falsi miti dell'Occidente sul mondo arabo. Per ricordare a quest'ultimo un passato più libero e in fondo più gioioso. Per chiedersi (siamo umani e curiosi) se questa non sia un'autobiografia. Domanda a cui l'autrice risponde, sorridendo: «Magari».
Il diario-confessione
Dice la protagonista: «A importarmi è solo il desiderio, il mio prezioso desiderio»

giovedì 28 agosto 2008

I Rotoli del Mar Morto presto consultabili su Internet

l’Unità 28.8.08
Israele. I papiri, vecchi di duemila anni, furono rinvenuti nel 1947
I Rotoli del Mar Morto presto consultabili su Internet

Ci vorranno ancora alcuni anni ma, a progetto concluso, una banca dati permetterà a tutto il mondo di accedere in internet ai Rotoli del Mar Morto, fotografati ad altissima risoluzione, e alla documentazione relativa. Il progetto, presentato ieri Gerusalemme dall’Autorità per le Antichità di Israele, ha tra i suoi obiettivi anche la conservazione e il monitoraggio delle condizioni dei preziosi rotoli che, ha sottolineato Pnina Shor, capo del dipartimento per la cura e la conservazione dei reperti, «sono un patrimonio dell’Umanità». I Rotoli, che furono scritti alla fine del III secolo a.C. e in gran parte tra il I a.C. e il I secolo d.C., furono scoperti da un beduino in una grotta del Mar Morto nel 1947. Comprendono il più antico testo scritto esistente del Vecchio Testamento (ad eccezione del Libro di Ester), oltre a salmi, inni e testi apocrifi. I Rotoli, che hanno enorme importanza storica, religiosa e culturale, aiutano a far luce su un periodo di grandi sconvolgimenti nella storia del popolo ebraico alla fine del Secondo Tempio e sulla storia del primo Cristianesimo. Per 35 anni un gruppo di soli dieci studiosi aveva monopolizzato la pubblicazione dei testi. A parte pochi lunghi Rotoli, tutti gli altri consistono in circa 12 mila frammenti - conservati nel Museo di Israele - che i ricercatori hanno raccolto con certosina pazienza in circa 1200 lastre.

martedì 26 agosto 2008

SICILIA - L'Atlante della Sicilia che segnalava i templi

SICILIA - L'Atlante della Sicilia che segnalava i templi
MARIO DI CARO
la Repubblica (Palermo) 12/08/2008

MOLTI anni prima dei voli charter e dei tour operator, l´antenata delle guide turistiche segnalava ai viaggiatori del Settecento le castagne dell´Etna, "rinomate per la loro grassezza". E non solo. La carta-atlante di Giovan Battista Ghisi, datata 1779 ed esposta a Ustica dalla Fondazione Banco di Sicilia, focalizza alcune tappe peculiari del viaggio in Sicilia, allora così di moda tra gli aristocratici e gli intellettuali del Nord Europa.Infatti la carta dedica una serie di finestrelle al porto di Augusta, ai templi della Concordia e di Ercole a Girgenti, al porto e alla fortezza di Messina, alle vedute di Trapani e del già citato monte Etna. Proprio come fanno oggi le guide turistiche illustrate che focalizzano i luoghi di particolare interesse con fotografie eloquenti.
Erano gli anni in cui la Sicilia catalizzava l´interesse dei viaggiatori illustri, da Wolfgang Goethe a Jean Houel, autore, guarda caso, nel 1782, di un prezioso "Voyage pittoresque de Sicilie, de Malta et de Lipari", in possesso del Museo Mormino di Palermo e anch´esso esposto al Vecchio Municipio di Ustica nella mostra realizzata in collaborazione con il Centro studi dell´isola. Anni in cui i diari e i disegni di questi grandi viaggiatori raccontavano di una Sicilia esotica che profumava ancora di cultura classica, di tradizioni arcaiche, di folclore autentico.
«I viaggiatori del grand tour partivano con itinerari già pronti, preparati sulla base delle indicazioni delle carte geografiche del Settecento - spiega Francesco Bucchieri, direttore del Museo Mormino della Fondazione Banco di Sicilia, a cui appartiene il patrimonio di carte e volumi esposto a Ustica - Venivano in Sicilia, come nel meridione d´Italia, a cominciare da Pompei, attirati dal richiamo della cultura classica. Consideriamo che in quel periodo la Grecia era sotto il dominio dell´impero ottomano e quindi pressoché inaccessibile».
Ma la carte del Ghisi, oltre alla straordinaria grafica, riserva un´altra sorpresa che la rende più simile a un´enciclopedia geografica che a una semplice carta geografica. Alla base del disegno, infatti, sono elencate le produzioni caratteristiche dell´Isola, un piccolo trattato di scienze naturali che dà conto dei minerali, dei crostacei, delle piante e delle erbe marine, delle saline, delle pietre, dei metalli, dei marmi, ma anche dei fossili, delle piante erbacee del faro di Messina, delle solfatare, dei bagni, fino alle piantagioni di carrubo, pistacchio, manna e seta. Insomma, una vera e propria rivoluzione della cartografia tradizionale, attenta, allora, alla divisione del territorio siciliano nelle tre province istituzionali, Val di Mazara, nella parte occidentale, Valdemone, a est, e Val di Noto, sud est. In quella Sicilia del 1779 che vedeva sul trono Ferdinando IV di Borbone, la carta del Ghisi, figlia del vento illuminista che soffiava dalla Francia, poteva considerarsi una vera e propria piccola enciclopedia geografica, fisica e politica, capace di fornire un surplus di informazioni al viaggiatore colto. «Non era una carta portatile perché difficilmente sarebbe stata nel bagaglio dei viaggiatori però permetteva di conoscere, a chi doveva intraprendere un viaggio, non solo la costa ma anche l´interno della Sicilia - continua Bucchieri - Diciamo che era un prodromo di quelle carte prodotte successivamente che si potevano piegare in 32 o 64 fogli, tra la fine del Settecento e i primi dell´Ottocento e che potevano agevolmente far parte del bagaglio. È una carta che rappresenta un punto di svolta tra il rilievo cartografico e la conoscenza del territorio e possiamo considerarla come un´antenata delle guide odierne».
La mostra di Ustica racconta anche del primo atlante sul regno di Sicilia, stampato a Bologna nel 1620 e curato da Giovanni Antonio Magini, mentre risale al 1781 un altro "Voyage pittoresque de Sicilie", a firma, questo, di Richard Saint Son, che fa il paio con il volume di Houel.
Il viaggio in Sicilia attraverso stampe e incisioni di carte geografiche si spinge fino al Cinquecento, quando nasce una serie di carte detta "veteris typus", che terrà banco fino al Settecento: le fonti da cui attingono i cartografi dell´epoca sono le opere degli storici siciliani, come il "De situ insulae Siciliae" di Mario Arezzo, stampato a Messina e a Palermo nel 1537, il "De rebus siculis decades duae" di Tommaso Fazello (Palermo 1558) e più tardi il "Sicilia antiqua" di Filippo Cluverio (1619) che conteneva la più accurata descrizione geografica dell´Isola e la topografia di tutte le città. Col passare degli anni e con l´incremento dei commerci marittimi nascono nuove esigenze di documentazione cartografica sulle coste del Mediterraneo che mettono in moto una produzione particolareggiata sulle isole, meno approssimativa di quella precedente attenta a indicare rotte e approdi piuttosto che soffermarsi sull´esatta configurazione. Editori e cartografi danno vita, così, al genere degli isolari, pubblicazioni con carte geografiche destinate esclusivamente ad illustrare le isole attraverso disegni aggiornati rispetto ai rilievi elaborati sulla base delle fonti tolemaiche. E così nel 1528 vengono stampati a Venezia gli isolari di Benedetto Bordone, poi quello di Leandro Alberti che si aggiunge alla "Descrittione di tutta Italia" con le incisioni sulla Sicilia e su tutte le isole d´Italia, fino alle "Isole più famose del mondo" di Thomaso Porcacchi con le illustrazioni di Girolamo Porro.
Si avverte il fascino esotico di terra remota da queste stampe vecchie di tre-quattro secoli: e infatti, nonostante il convergere di interessi politici, la Sicilia rimane un´isola poco conosciuta sino alla prima metà del Settecento come testimoniano le inesattezze contenute dalle carte. Persino Diderot e D´Alembert nello loro "Encyclopedie" riportarono indicazioni sbagliate alla voce "Palermo".

domenica 3 agosto 2008

Un suo libro sul rapporto tra il filosofo tedesco e il cristianesimo

La Repubblica 1.8.08
Un suo libro sul rapporto tra il filosofo tedesco e il cristianesimo
Jaspers di fronte al dio di Nietzsche
L´autore di "Così parlò Zaratustra" svela il movimento con cui il cristianesimo distrugge se stesso aprendo un vuoto che nessuno saprà come riempire
di Sergio Givone

Tramonta l´idealismo tedesco ed entra in scena Nietzsche: sarà un´apparizione grandiosa. Ma non è la dottrina dell´eterno ritorno o l´idea del superuomo a spiegare il caso-Nietzsche. I concetti che caratterizzano il suo pensiero sono per lo più iperboli filosofiche. Possono voler dire tutto, ma in realtà non dicono quasi niente. Fra non poche ambiguità e contraddizioni l´opera di Nietzsche porta alla luce ben altro: ossia il movimento attraverso cui il cristianesimo distrugge se stesso e apre un vuoto che nessuno saprà come riempire.
È quanto sostiene Karl Jaspers in un magnifico saggio scritto poco prima della guerra, ma pubblicato soltanto dopo, Nietzsche e il cristianesimo, ora tradotto e prefato da Giuseppe Dolei per Mariotti (pagg. 141, euro 14). Nietzsche, dice Jaspers, ci mette in guardia: il cristianesimo è la nostra provenienza e il nostro destino. Per superarlo bisogna farsi carico di ciò che ne resta e di ciò che ne ha rappresentato lo sviluppo storico.
Non serve contrapporre al cristianesimo una prospettiva di segno contrario. E affermare, per esempio: la verità è una sola, quella della scienza, dunque la fede non ha più ragion d´essere.
Uno stanco ritornello. Quando i contenuti della fede vengono ridotti a favole e a menzogne dei preti si ottiene soltanto di scacciare la superstizione con una nuova forma di superstizione. Invece l´autentico anticristianesimo vuole annientare il cristianesimo, non semplicemente «scrollarselo di dosso».
Alla scuola del grande ateismo moderno (da Spinoza a Feuerbach su su fino a Ivan Karamazov, «fratello di sangue») Nietzsche ha imparato che la battaglia contro il cristianesimo dev´essere condotta con armi cristiane. Solo chi è intellettualmente onesto può permettersi di dichiarare che la fede non è più credibile. Ma è stato il cristianesimo ad instillare nei cuori quel particolare tipo di morale che consiste nel volere la verità a tutti i costi.
La verità incondizionata, assoluta, non una parvenza di verità, e tanto meno una verità buona a consolare ma non a convincere. In un´ottica cristiana Dio non esita a mandare al diavolo i suoi teologi, così premurosi e falsi, e a informarli che solo Giobbe ha avuto il coraggio di dire la verità su di lui.
Per un verso Nietzsche usa i toni più duri e sprezzanti: «A chi oggi mi risulta ambiguo nei riguardi del cristianesimo non do neppure la mano: c´è un solo modo di essere onesti in proposito: un no assoluto». Per l´altro parla di una tensione spirituale la cui origine è cristiana: «Anche noi che oggi indaghiamo, noi atei e antimetafisici, continuiamo a prendere il fuoco dall´incendio scatenato da una fede millenaria». Con Goethe Nietzsche ripete: solo Dio contro Dio, ci vuole Dio per far fuori Dio. La negazione e la soppressione del cristianesimo sono cosa del cristianesimo. Quel cristianesimo che costringe l´uomo ad aprire gli occhi sulla morte di Dio.
Che cosa rimane alla fine di questa tragedia più grande di qualsiasi tragedia del passato, anche se si tratta piuttosto di un naufragio, di un inabissarsi di ogni speranza e di ogni senso fin qui tenuti per certi? La risposta di Nietzsche è netta, inequivocabile: non resta più niente. O se si preferisce, resta il grande niente, resta il grande vuoto. Della cui vastità non abbiamo che una pallida idea, come dimostrano coloro, e sono i più, che vi si sono tranquillamente adattati, mentre altri, maggiormente consapevoli, continuano a porre domande.
Naturalmente è possibile tentar di colmare questa specie di sperdimento mentale o di vertigine con i detriti che il fiume della storia ha trascinato con sé. Tra di essi c´è per l´appunto la dottrina dell´eterno ritorno e l´idea del superuomo. Ma c´è anche la sostituzione del dio cristiano con Dioniso. Per non parlare del vagheggiamento d´un certo eroismo sublime, che dice sì alla vita così com´è, col suo carico di gioia e di sofferenza e indifferente al bene e al male. Cui segue però da parte di Nietzsche la confessione: «Sono l´opposto d´una natura eroica», immediatamente affiancata dal riconoscimento d´una certa affinità con Gesù, il mite predicatore delle beatitudini. Fino all´identificazione con la più improbabile delle divinità: Dioniso crocifisso.
Insomma, tutto e il contrario di tutto. Sembra che Nietzsche si diverta a fare le prove generali del fantastico spettacolo in allestimento per quando il mondo si sarà liberato dal cristianesimo. Per sé egli riserva la parte della stella danzante nel caos. Ma ci crede davvero? Non è lui il primo a sapere che la stella da cui viene un´ultima luce sul mondo è una stella ormai spenta? Qui Jaspers chiude con un avvertimento. Ed è che Nietzsche lancia «un grido micidiale» a coloro che si lasciano sedurre da lui e pretendono di portare avanti il suo pensiero, magari professandosi cristiani: «A questi uomini di oggi non voglio essere luce, da loro non voglio essere chiamato luce. Costoro, li voglio accecare: lampo della mia sapienza! Cavagli gli occhi!»