lunedì 18 febbraio 2008

TIMBUKTU: LE SCIENZE PERDUTE SONO TRA LE SABBIE

Tst 13 feb. ’08

TIMBUKTU: LE SCIENZE PERDUTE SONO TRA LE SABBIE

Corsa per salvare la biblioteca di "Leggeremo manoscritti di mille armi fa"
Tra Medioevo e computer
La storia di una fetta di mondo è sul punto di essere buttata via e riscritta da
capo, ma prima bisogna sporcarsi le mani con i dollari del presidente
sudafricano Thabo Mbeki: dare la caccia alle termiti e ai topi, togliere
tonnellate di polvere, rimuovere la sabbia che sfigura le parole come una
grattugia: Si devono rimettere assieme migliaia di pagine sul punto di
sfarinarsi, incollare serie interminabili di testi su strati di carta
giapponese, rilegare quantità indefinite di libri sottosopra come cubi di Rubik.
E poi si scannerizzerà riga dopo riga e, mentre milioni di frasi e di versi
verranno depositati, ancora convalescenti, prima nelle memorie elettroniche e
poi in scatole sigillate, si comincerà a leggere, tradurre e interpretare,
cercando di non farsi soffocare dall'attesa rivelazione. Ecco che cosa succede
quando si affondano le mani nella Alessandria d'Egitto dell'Africa Nera e si
tenta di rianimare i messaggi di una labirintica biblioteca che si disfa un po'
ogni giorno e vanta tesori antichi anche un migliaio di anni. A Timbuktu, in
Mali, tutti conoscono luci e ombre della sceneggiatura: ai turisti si fanno
vedere malinconici depositi in disordine, dalle fondazioni europee e americane
si pretendono finanziamenti, ai ricercatori volenterosi si affidano mucchi
instabili, come le carte che entro fine anno saranno ordinate nel nuovo centro
voluto dal governo di Pretoria vie!no alla moschea Sankoré e all'ancora più
fotografato minareto piramidale. E si ripete sempre lo stesso mantra: prima o
poi la verità verrà fuori, come un forziere dalle dune, e la storia sarà da
rivedere, quella africana, quella del Medio Oriente, quella dell'Islam e quella
europea. Risentiremo finalmente le mille voci di un'Africa inaspettata, che tra
il Medioevo e il Rinascimento dei bianchi è stata uno dei forzieri del sapere
universale.
Questo - è evidente - non è il cuore di tenebra di Conrad o il fumettone di
Tarzan. E' il continente dei grandi imperi - Ghana, Mali e Songhai, fioriti tra
l’VIII e il XVI secolo e poi inabissatisi - e delle fantastiche ricchezze d'oro,
d'avorio e di schiavi, delle autostrade commerciali lungo il deserto del Sahara
e il fiume Niger, delle università e degli intellettuali e soprattutto dei 100
mila manoscritti (probabilmente di più), che giacciono, sopravvivendo a stento o
già in decomposizione, in una delle città-simbolo del passato, la Timbuktu
trasfigurata dalle leggende e riscoperta nel 1828 da un esausto francese, René
Caillé. Lui si dichiarò sconvolto dalla miseria e soprattutto dalla spaventosa
sporcizia. Oggi a stupire è semmai la persistenza di una tradizione di
tolleranza, che cerca ossigeno nei soldi dei turisti e nelle donazioni di
associazioni e governi, come gli otto milioni garantiti da Mbeki.
II presidente li ha messi insieme dopo un'illuminazione: la commossa visita
all'KAhmed Baba Institute», una delle 20 biblioteche private che per generazio
ni hanno raccolto spasmodicamente libri e che da oltre quattro secoli, dopo il
declino seguito all'invasione marocchina del 1591, tentano di tramandarne i
resti. Lì ce ne sono 30 mila. «E' tra i tesori più importanti di tutta
l'Africa», ha detto Mbeki e il team rapidamente mobilitato ha cominciato a
trasferire su computer i testi. «Vogliamo creare una libreria virtuale, a
disposizione degli studiosi del mondo», spiega con entusiasmo uno dei
ricercatori, Muhammad Diagayete, lui stesso preso alla gola da tanta abbondanza.
Vergati in arabo e in diverse lingue africane (gli esperti parlano di Hijazi,
Maghribi, Sudani, Suqi, Naskh e altre ancora), i manoscritti coprono ogni
disciplina immaginabile, dalla storia alla medicina, dalla legge penale ai
diritti di proprietà, dall'astronomia alla filosofia, dalla matematica alla
letteratura, dalla botanica alla religione (non solo islamica), a cui si
aggiungono le liste di registrazioni che fanno felici gli storici: nascite e
morti, transazioni e contratti, processi e condanne, confessioni private e
disposizioni ufficiali. Tramandata su diversi tipi di carta, su pelli di
gazzella e su cortecce d'albero, questa babelica enciclopedia distrugge lo
stereotipo ottocentesco di un'Africa primitiva, senza parola e senza scrittura,
popolata di «selvaggi» anziché di dinastie reali e di scienziati. Mentre svela
un Islam curioso di sé e del mondo, modernamente multiculturale, spalanca anche
le porte a un orgoglio continentale fondato sugli stessi primati culturali
dell'Europa. Se uno dei primi a rivendicarlo è stato Henry Louis Gates, lo
storico afroamericano della Harvard University diventato una celebrità negli
Anni 90, ora comincia a sentirsi un benefico effetto-valanga: ci si impegna, per
esempio, nel salvataggio del «Fondo Kati Bibliothèque», fenomenale per le
avventure che l'hanno creato. Molti testi furono impacchettati a ime XII e XIII
secolo dagli antenati del proprietario, Ismael Haidara, quando lasciarono
l'Andalusia e dopo un epico viaggio nel deserto si fermarono a Timbuktu. E
intanto continua l'opera di restauro alla «Mama Haidara Library», dove grazie ai
dollari spediti dagli Usa si sta digitalizzando la collezione di 9 mila opere e
costruendo spazi per studiosi e turisti, accanto all'indispensabile Internet
café.
Molte biblioteche infatti si autopromuovono in Rete (lo si vede all’indìrizzo
http://www.sum.uio.no/research/mali/timbuktu/privates/mamma/index.html) e
tentano di farsi concorrenza, come accadeva mezzo millennio fa. AL volante di
auto scassate, in groppa ai cammelli e incastrati su piccole canoe, gli inviati
dell'«Ahmed Baba Institute» battono i villaggi alla ricerca di libri preziosi,
in cambio di soldi o capre. E altri «cacciatori», quando si riesce a
persuaderli, tracciano mappe di innumerevoli tesori. A Ber, a due ore da
Timbuktu, ce ne sarebbero tantissimi, sepolti sotto la sabbia. I proprietari,
anche se spesso analfabeti, tengono le bocche cucite. Non vogliono profanatori
nella loro città sotterranea di parole e numeri.