giovedì 16 aprile 2009

«Impariamo a maneggiare il nostro corpo la nostra libertà»

l’Unità 16.4.09
Intervista a Michel Onfray
«Impariamo a maneggiare il nostro corpo la nostra libertà»
di Silvio Bernelli

Il filosofo francese presenta in Italia il suo nuovo libro, «La potenza di esistere», sintesi di tutti i suoi interessi: etica, bioetica ed estetica

«La potenza di esistere. Manifesto edonista» di Michel Onfray è edito dalla casa editrice Ponte alle Grazie, collana «Saggi» (pagine 203, euro 15,00)

Francese, cinquantenne, Michel Onfray è un personaggio a tutto tondo, capace di accendere entusiasmi e attirarsi le critiche più feroci. Autore di una trentina di libri, tra i quali il celebre Trattato di ateologia pubblicato in Italia da Fazi, interviene spesso nel dibattito sulla laicità dello stato, la libertà dei comportamenti sessuali e la politica della sinistra europea. Incontriamo Michel Onfray in un albergo del centro di Torino, poco prima della presentazione al Circolo dei Lettori del suo La potenza di esistere, appena pubblicato in Italia da Ponte alla Grazie. Capelli bianchi scompigliati, camicia di lino chiara, pantaloni neri, modi di fare più che informali: Onfray assomiglia assai più a un giovane ribelle che a un pensatore serioso.
In molte sue opere, «Teoria del corpo amoroso» ad esempio, (edito in Italia da Fazi, n.d.a.), lei si occupa del corpo. Da dove nasce questo interesse?
«Con la fine del marxismo e il declino della religione cristiana, da quando i grandi temi stanno scomparendo insomma, l’argomento più allettante rimasto è il corpo. Da qui nascono gli interrogativi che oggi sono sulla bocca di tutti. Che cos’è il corpo? Cosa si può fare con il proprio corpo? Ho scritto molto su temi bioetici, quali l’eutanasia, ma anche la procreazione assistita, il problema dei trapianti e dell’eugenetica. Sono sempre stato favorevole a un uomo capace di riappropriarsi del proprio corpo, un uomo post-cristiano».
Pare che le istituzioni, ma anche la società nel suo insieme, non siano ancora state capaci di produrre un’idea di famiglia che vada d’accordo con la nuova idea di libertà del corpo. Come risolvere questa contraddizione?
«In questo caso, sono d’accordo con quanto dice Benedetto XVI...»
Se lo dice lei, che è una specie di campione dell’ateismo, questa è una notizia...
«Volevo darle un titolo per il giornale (Onfray si lascia andare a una risata, n.d.a.)… A parte gli scherzi, sono contrario a una sessualità nichilista, al sesso per il sesso. Bisogna dare sempre un senso al corpo e a ciò che ne facciamo. Ogni persona deve essere libera di stipulare un contratto con il proprio partner, dove in cambio dell’esclusività sessuale si riceve la possibilità di costruire qualcosa».
È d’accordo con Benedetto XVI anche per quanto riguarda la dichiarazione sui profilattici che non servirebbero a combattere l’Aids?
«È un’affermazione che non mi sorprende, in linea con la dottrina cattolica. Mi sembra comunque che rispetto a Giovanni Paolo II, molto sensibile alle dinamiche dei mass media, Benedetto XVI lo sia molto meno. Detto ciò, è un uomo molto colto, un filosofo che ha sempre il merito di sapere cosa dice».
Lei è un pensatore individualista e libertario, fa parte di una corrente di pensiero che il comunismo europeo, in particolare quello italiano, e credo anche quello francese, ha sempre detestato. Pensa che l’attuale incapacità della sinistra di comprendere la società nasca proprio da questa frattura?
«Il marxismo è passato come un rullo compressore sulla nostra società, e non a caso oggi la sinistra deve essere post-marxista. Dopo le terribili tragedie del XX secolo, è necessario ripensare la resistenza al capitalismo non in termini di rivoluzione. Bisogna imparare a maneggiare la propria libertà e cercare di costruire una società anti-dogmatica, federata, basata su tanti micro-sistemi collegati in un network».
Una sinistra vista così non sembra un partito. Quale forma potrebbe avere?
«La sinistra deve essere anche un partito. Se ci fosse una sinistra unita, forte, anti-liberista potrebbe costituire una forza capace di raggiungere una massa critica tale da condizionare la società».
Con quali parole presenta ai nostri lettori il suo libro «La potenza di esistere»?
«Ogni libro appartiene alle persone che lo leggono, ciascuno ci trova il filo che gli è più congeniale. La potenza di esistere comincia con un parte autobiografica in cui racconto i quattro anni vissuti da bambino in un orfanotrofio salesiano. Non è stata comunque questa esperienza a fare di me un ateo: è che non ho mai avuto il senso della trascendenza. Da piccolo, quando mi sentivo raccontare la storia di Gesù, l’ascoltavo come fosse quella di Zorro, come un’avventura. Per il resto, La potenza di esistere è un po’ la sintesi di tutti i miei interessi: l’etica, la bio-etica, l’estetica».
Il sottotitolo di «La potenza di esistere» è «Manifesto edonista». Questo aggettivo viene per lo più percepito con un significato molto vicino a egoista. È un segno di come certe parole abbiano ormai perso il loro significato originario, siano state consumate dal tempo?
«Questo della perdita di senso delle parole è un vero problema. È un fenomeno di consunzione molto forte anche nel campo della filosofia. Pensiamo al significato del termine “materialista”, che oggi non ha più niente a che fare con Democrito, che non parlava affatto di attaccamento al denaro; oppure al termine “stoicismo”, che non significa accettare con rassegnazione di prendersi un pugno in faccia, come sembra voglia dire oggi. Questa svalutazione dei termini porta, per forza di cose, a un mondo triviale, dominato da parole senza valore, che faremmo bene a combattere».