martedì 23 novembre 2010

Giappone, il pianeta dell’eros

l’Unità 20.11.10
Giappone, il pianeta dell’eros
Storia del piacere Phaidon pubblica un magnifico volume curato dallo studioso d’arte orientale Gian Carlo Calza: un vertiginoso mare d’immagini firmate dai maestri Utamaro e Hokusai. Pornografia o trionfo della natura?
di Giuseppe Montesano

Il titolo del libro è musicale e evocativo, come i fiori di peonia che sbocciano negli haiku del poeta Basho e nei dipinti di seta che decorano la vita del Principe Genji, e gli autori delle stampe che cantano i misteri sessuali nascosti e rivelati dai paraventi delle camere da letto sono pittori straordinari e raffinati tra i quali ci sono Utamaro e Hokusai: ma le stampe erotiche che formano Il canto del guanciale, uno straordinario volume curato da Gian Carlo Calza e pubblicato dalla Phaidon con 462 pagine tutte illustrate a colori, sono esplicite fino al grottesco e al fantastico. Molte delle stampe del libro del guanciale si spingono sull’orlo di quel vuoto che chiamiamo pornografia e quasi ci cadono, altre danzano su quell’orlo con una voluttà insieme fragilmente algida e ironicamente libera, inquietando lo sguardo occidentale. Se la pornografia sta nell’evidenza del dettaglio isolato dal contesto, allora molte di queste stampe sarebbero pornografiche e non erotiche: i dettagli non sono risparmiati, con lo scopo di attirare chi guarda nelle spirali dell’eccitazione. Ma il dettaglio dei sessi e delle posizioni erotiche è colto in ritardo dallo sguardo, come un panorama nella nebbia: un turbinare di linee che si intricano sinuose, di colori di kimono slacciati a metà e paraventi trasparenti ipnotizza l’occhio, lo devia dal dettaglio fisiologico, lo allontana dalla fissità a cui la pornografia chiede il suo unico cibo, lo travolge e lo fa galleggiare trasportandolo nelle volute delle onde di Hokusai che diventano abiti femminili o maschili, e lo lascia cadere nelle maree sessuali del mondo fluttuante.
CREPACCI E VALLATE
Scene esplicite di amori e congiungimenti sono invase da rami di pesco che entrano dalle finestre o sono dipinti sui muri di carta, gli allacciamenti visti in ogni particolare e in posizioni non di rado impossibili o come minimo difficoltose sono sommerse da piogge di stoffe ricoperte da petali, ghirigori, curve e ondulazioni, curve e ondulazioni che sembrano proseguire nelle curve dei corpi, i corpi che si distinguono dai paraventi e dalle vesti solo perché non sono colorati ma pallidamente lunari o carnalmente rosati; e quando l’occhio del pittore che lavora per i voyeurs che frequentavano le case di piacere di Edo, di Kyoto, di Osaka, si incanta sugli organi sessuali, li disegna in maniera da renderli iperreali e, soprattutto, affini a quel mondo di rami di ciliegio, fiori e stoffe di seta: i luoghi della sessualità fioriscono come crepacci e vallate, si ergono come tronchi di foreste preistoriche e bizzarre, germogliano di petali che sembrano lacrime di pioggia o gocce di rugiada, fanno spuntare fili d’erba che si arricciolano e si incurvano come fiori liberty. Se si ritagliassero gli organi sessuali ritratti nel Canto del guanciale e li si separasse dai corpi, essi apparirebbero come paesaggi naturali, anamorfosi alla Arcimboldo o alla Dalì, visioni e sogni arrivati dall’eros rimosso. I pittori del mondo narrato da Ihara Saikaku nella Vita di un libertino, nelle Cinque donne amorose o nel Grande specchio dell’omosessualità maschile, non smettevano di praticare la loro arte anche quando erano chiamati a fornire un servizio ai gaudenti che frequentavano le case galleggianti dove il piacere veniva venduto da cortigiane arrivate ai vertici dell’eleganza. Cortigiane capaci di improvvisare delicati haiku sulle stagioni, donne che potevano permettersi di rifiutare i clienti se li trovavano arroganti o cafoni, e che vivevano a stretto contatto con il teatro Kabuki, facendo del piacere una rappresentazione artistica, il teatro sempre uguale e sempre diverso dell’erotismo. Dietro lo spumeggiare del «mondo fluttuante», che valutava la vita per l’attimo di piacere che l’ebbrezza amorosa sa dare e conosceva fino alla feccia la fragilità dell’attimo che se ne va, c’era il mondo orrendo dello sfruttamento della prostituzione che arrivava a esporre le donne in gabbia: ma quello che Hokusai, Utamaro e gli altri artisti cantarono non fu il mondo reale, fu un sogno. La festa che questi Watteau e Boucher senza veli riuscirono a esprimere nelle loro stampe più riuscite e meno mercantili fu il perenne desiderio della partenza per l’isola felice, l’imbarco per Citera che sospende l’orrore della vita con il piacere, l’invito al viaggio verso il luogo dove «tutto è ordine e bellezza, lusso, calma e voluttà»: ma quel mondo non poteva essere detto nella raffigurazione esplicita, che è sempre pornografica, e loro tentarono di trasformarlo come la musica trasforma un tema. Questa lezione non andò dispersa, arrivò a VanGogh e a Klimt, a Klinea Wols a Mathieu e oltre: quello che si dissipò e svanì fu il fluttuante sogno del piacere senza fine, ma quello svanisce sempre.