La Repubblica 22.1.08
Renato Poggioli. Una vittima illustre delle censure del Pci
di Mario Pirani
L´ostracismo all’antologia dello slavista Renato Poggioli
Quando il Pci censurò i poeti russi dell´Einaudi
Lo slavista fu attaccato per aver raccolto nell´antologia"Il fiore del verso russo" i poeti perseguitati da Stalin. Nel centenariodella nascita Harvard, dove ha insegnato, lo celebra, in Italia è dimenticato
L´emblematica vicenda va collocata nei primi anni del dopoguerra quando la guerra fredda si allarga a tutti i domini della cultura
Ebbe rapporti con numerosi editori italiani e con Einaudi l´avvìo è folgorante: "siamo incantati, gli scrive Cesare Pavese, della Sua proposta"
Dall´America dirigeva la rivista "Inventario" che ebbe un taglio internazionale con contributi di Eliot, Nabokov, Lowell, Ungaretti e Quasimodo
Quando esce il "Fiore" Einaudi cerca di prendere le distanze dall´antologia con una prefazione, ma ai comunisti questo non basta
Tre Università americane – Massachusetts, Brown ed Harvard – hanno organizzato nelle rispettive sedi per tre giorni consecutivi (25, 26, 27 ottobre) un simposio internazionale di studi su Renato Poggioli (1907-1963) nel primo centenario della nascita. Dal 1946 fino alla morte ricoprì ad Harvard la cattedra di letteratura comparata ma, pur essendo trascorsi oltre quarant´anni, resta un personaggio assai noto fra gli studiosi statunitensi interessati alla slavistica e all´italianistica (il suo libro più celebre, Il fiore del verso russo del 1949, viene ancor oggi ristampato). In Italia, per contro, ha subito una vera e propria damnatio memoriae, malgrado la sua figura sia stata di primo piano soprattutto per la cultura del nostro Paese. Non, però, la polvere inesorabile del tempo ha ricoperto le orme lasciate da Poggioli ma l´impalpabile rimozione ideologica indotta dalla guerra fredda e dagli effetti che la pavida osservanza dei dettami stalinisti ebbe in quella stagione su larga parte degli intellettuali, anche fra i migliori, e dell´editoria più prestigiosa.
Lo provano la corrispondenza fra Poggioli, Pavese, Giulio Einaudi, Vito Laterza, Eugenio Montale, Paolo Milano, Isaiah Berlin ed altri, fornitaci dalla figlia Sylvia, e gli esaurienti riscontri analizzati a suo tempo da Luisa Mangoni nella sua monumentale storia della casa editrice Einaudi (Pensare i libri, Torino 1999, Bollati Boringhieri). L´emblematica vicenda cultural-editoriale va collocata nei primissimi anni del dopoguerra, quando la guerra fredda si proietta anche nella battaglia delle idee e si allarga a tutti i domini della cultura, dalla letteratura alla musica, dalla biologia alla linguistica, dalle arti figurative alla storiografia.
Secondo i dettami di Stalin e di Zdanov, cui è affidata la gestione dell´ideologia, la produzione culturale deve essere rigidamente «realista nella forma, socialista nel contenuto». Se nell´Urss e nei paesi del «socialismo reale» la mancata osservanza di questo schema porterà a pesanti persecuzioni con conseguenze tragiche, lunghi internamenti nei gulag, spietate esecuzioni, disperati suicidi, in Occidente, soprattutto in Italia e Francia dove grande è la forza dei partiti comunisti, gli ukase di Zdanov si tradurranno in condanne ideologiche, rotture politiche, censure editoriali, velenose polemiche. Certo, in Italia l´ortodossia è stemperata dal filtro gramsciano, dalla duttilità togliattiana, dalla specificità originale del Pci, ma la radice persecutoria resta pur sempre di marchio stalinista e, soprattutto nella prima fase della guerra fredda, è saldamente coerente con quella impronta.
L´avventura letteraria di Renato Poggioli si colloca in quel contesto, pur se le premesse germogliano nel decennio precedente quando studia e si sposta per approfondire le conoscenze linguistico letterarie a Vienna, Praga e Varsavia. In quegli anni, però, punto di riferimento, per prolungati soggiorni, è Firenze, la città natìa. Così lo ricorderà molti anni dopo Carlo Bo in un articolo rievocativo della vita letteraria fiorentina negli anni Trenta: «All´epoca c´erano a Firenze due università, la prima la statale a piazza San Marco, le seconda che aveva tante succursali quanti erano i caffè di Firenze, dove a seconda dell´ora si riunivano scrittori, alcuni già famosi, la maggioranza principianti. Renato Poggioli era il Presidente di questa anonima università ed ogni giorno teneva lezione su una gamma di argomenti letterari». In un altro articolo, apparso nel ‘63 sull´Europeo, Bo definirà Poggioli come «il maestro dei nostri primi passi... conosceva letterature che noi ignoravamo e, infatti, è stato merito suo se già da allora abbiamo potuto affrontare poeti come Anna Achmatova e Pasternak.
Poggioli arrivava puntualmente tutte le mattine, verso mezzogiorno, con un nuovo libro sotto il braccio e teneva lezione: una lezione estremamente viva, poco o niente accademica... Molti anni dopo si seppe che aveva approdato in America e insegnava in una di quelle università. Oggi è un maestro di Harvard (era titolare di slavistica e letteratura comparata, ndr)». E, infatti Poggioli, che nel frattempo si era sposato con una allieva italiana di Ortega y Gasset, Renata Nordio, informato che le autorità fasciste diffidavano della sua attività e stavano per prendere misure contro di lui, era riuscito nel 1938 ad emigrare in America, anche grazie ai rapporti della moglie con Gaetano Salvemini, già esule negli Stati Uniti. E qui si legò politicamente con la Mazzini Society e con gli antifascisti che gravitavano, appunto, attorno a Salvemini. Se la guerra interruppe i rapporti con l´Italia, questi ripresero immediatamente con la Liberazione in due direzioni. La prima fu la fondazione, assieme ad un suo amico fiorentino, il poeta Luigi Berti, di una rivista unica nel suo genere che battezzò Inventario cui ambiva affidare il compito di sprovincializzare la cultura italiana. Usciva a Firenze – editore Parenti – ma Poggioli la dirigeva dall´America. Durò fino al 1963 – anno della morte quasi contemporanea dei due promotori – ed ebbe un taglio internazionale senza confronti, dovuto appunto al prestigio di Poggioli che era riuscito a far confluire nel comitato direttivo nomi come T. S. Eliot, Vladimir Nabokov, Jorge Guillen, Robert Lowell, Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo, Pedro Salinas, Allen Tate ed altri. Tra i collaboratori, fin dal primo numero, Thomas Mann e St John Perse. Contemporaneamente Poggioli avviò una sua periodica collaborazione di critica letteraria con Il Mondo di Pannunzio.
Nello stesso tempo s´impegnò con uno slancio davvero straordinario nel tentativo di imprimere un profilo cosmopolita all´asfittica vita culturale italiana tessendo un carteggio imponente con gli editori americani perché scoprissero poeti e scrittori italiani ma, soprattutto, rivolto ai maggiori editori del nostro paese, da Einaudi, il suo preferito, a Bompiani, da Laterza a Guanda, da Mondadori a Neri Pozza, ecc. fornendo a tutti note, schede, proposte motivate, suggerimenti riguardanti romanzi, saggi critici e politici, poesie. Il carteggio è di grandissimo interesse. Montale scherzosamente si dichiara «un po´ vergognoso di scrivere a un full professor giunto tanto in alto», si dilunga sull´invio di testi, destinati ad editori americani, accenna a due suoi scritti che potrebbero venir tradotti per il pubblico d´Oltreoceano e spiega che sono «apparsi su Società, la rivista paracomunista che stampa Einaudi. Io, però, non ho trovato asilo nel p. c.; sono politicamente roofless (senza tetto, ndr) e tale mi manterrò se potrò, dopo molte delusioni». Tra gli editori vi è chi ringrazia come Valentino Bompiani che in data 7 settembre 1946 scrive: «Io penso che la sua attività sia di grande importanza per la letteratura e l´editoria italiana e per parte mia sarò lietissimo se in qualunque momento e in qualunque modo riuscirò a dimostrarle la mia gratitudine». E vi è chi declina, come Vito Laterza, che otto anni dopo, il 17 novembre 1954, avendo ricevuto da Poggioli alcune schede di segnalazione che comprendono il Diario parigino di Trotzkij e altri saggi storico-sociologici sull´Urss e sulla Cina di Mao, tutti curati dalla Harvard University Press, dichiara: «La situazione culturale e politica del nostro Paese è così tesa che affrontare certi argomenti comporta rischi notevoli, ma soprattutto fastidiosi. Un´opera sul comunismo o sulla Russia, anche se disinteressata e seria e obbiettiva, si presta a impensate critiche e a impensate lodi, e comunque sempre a reazioni assai poco pertinenti... se il libro critica alcuni aspetti negativi di quell´ideologia e di quella società, ci sarà sempre qualcuno che ne trarrà spunto per discorsi volgarmente anticomumisti e intimamente reazionari». Con Einaudi l´avvìo è folgorante: «Tanto io che Einaudi – gli scrive Cesare Pavese – siamo incantati della Sua proposta di collaborazione con noi». Sarà l´inizio di una corrispondenza fittissima che culminerà nel 1949 con la pubblicazione dell´opera che sta più a cuore a Poggioli, Il fiore del verso russo, una sua antologia critica e storica della poesia russa tra Ottocento e Novecento, con particolare riguardo alle correnti decadenti, simboliste e futuriste a cavallo della Rivoluzione di Ottobre «che pesa ancora – scriverà nel prologo – come una promessa e una minaccia sulla Russia, sull´Europa e sul mondo». Un ampio saggio, corredato da biografie e note, guida il lettore alla lettura di grandi lirici, in quel tempo quasi sconosciuti in Occidente, dalla Achmatova a Pasternak, da Mandelstam ad Essenin, da Block a Majakovskij alla Cvetaeva non tacendo della tragica fine di molti, perché «la nuova età, spietata come ogni cosa barbara e naturale, molti di loro anche uccise, o con le armi o con il solo suo avvento». A questo punto l´idillio con la Einaudi subisce gravi contraccolpi anche se le prime avvisaglie sembrano ancora amichevoli. Il 5 ottobre 1949 Pavese scrive a Poggioli: «Oggi il Fiore entra in stampa: suoni le campane. Einaudi che scorre i libri soltanto in ultime bozze ha deciso, per varie ragioni, di premettere al Fiore una sua avvertenza... La veda, mi pare piccante». Accenna poi in termini entusiastici ad un altro libro che Poggioli sta scrivendo per la casa editrice sulla cultura d´avanguardia e dichiara: «Ho letto l´altra puntata dell´Arte d´avanguardia e sono sempre più interessato e impaziente di averla tutta fra le mani per fare il libro». Ma cosa è questa inconsueta prefazione dell´editore ad un libro da lui pubblicato? Lo ha raccontato con dettagli strabilianti Luisa Mangoni (opera citata) riportando quale irritazione stesse montando nel gruppo dirigente del partito quando trapela che sta per essere pubblicato da un editore considerato amico un libro che cita le persecuzioni staliniste contro i maggiori poeti russi. Giulio Einaudi tenta, quindi, di prendere qualche distanza dal Fiore, pur senza sconfessarlo. «A noi preme osservare – scrive nella prefazione – che l´interpretazione che l´antologista dà dello sviluppo di questa poesia e l´asprezza di qualche suo giudizio sulle sue più recenti vicende, sono testimonianza, una fra le molte, della crisi della cultura contemporanea, della sua tragica mutilazione e fungibilità di valori».
Nel frattempo la discussione coinvolge tutto il gruppo di intellettuali che facevano capo all´Einaudi (oltre Pavese, Antonio Giolitti, Felice Balbo, Natalia Ginzburg, Carlo Muscetta, Francesco Jovine ed altri), che in una riunione apposita convengono sulla opportunità di orientare i recensori che scriveranno sui giornali comunisti perché la critiche siano almeno rispettose.
In proposito Carlo Muscetta scrive ad Einaudi che si atterrà a questa sollecitazione anche se giudica il testo «sostanzialmente schifoso». La Ginzburg, per contro, rivolgendosi a Jovine sostiene che sarebbe bene recensisse lui il «bellissimo volume... anzitutto perché altri difficilmente saprebbero apprezzare sia le finezze della traduzione che il commento, e poi perché trattandosi, come vedrai di un libro che non può non essere attaccato sull´Unità, avremmo caro fossi tu ad attaccarlo alla luce dell´intelligenza e dell´intendimento poetico, col criterio e il discernimento che meritano e Poggioli e il volume». Infine Antonio Giolitti, come ultima istanza, pensa a Togliatti e chiede di vederlo. Togliatti, però, è in viaggio e Giolitti, per saggiare il terreno, sottopone una delle prime copie a Felice Platone, molto vicino al capo del partito. La reazione è drastica e Giolitti, con una lettera ne informa Torino: «L´amico filosofo (per il nome, evidentemente, ndr) ha annusato il fiore e ne è rimasto disgustato: addirittura si è posto la domanda se Einaudi possa continuare ad essere l´editore di certe opere complete.
Ritiene – e in coscienza non so dargli torto – che quel libro superi ogni più largo limite consentito. La missione presso il principale si fa assai delicata». E, infatti, pochi giorni dopo Togliatti rientra a Roma e telegrafa ad Einaudi invitandolo a sospendere «edizione miei scritti da me non autorizzata». Mentre sul Corriere Montale recensisce il Fiore con un lungo articolo, ricco di lodi, sui giornali del Pci appaiono articoli in cui si accusa Poggioli di essere un agente al soldo degli Stati Uniti e si lasciano trasparire velate minacce all´Einaudi.
I rapporti tra Botteghe Oscure e la casa editrice minacciano di volgere al peggio. Non resta per ricomporli che sacrificare Poggioli sull´altare della ragion politica.
Pavese gli manda una lettera in data 16/2/1950 in cui rinnega l´impegno a pubblicare il secondo libro, Teoria dell´arte d´avanguardia, con questa parole: «Il libro non si fa... Si tratta di non liquidare l´unità del consiglio editoriale insistendo sul Suo nome: se Einaudi lo facesse, si troverebbe praticamente l´indomani senza i collaboratori, che, bene o male l´hanno fatto chi è, e si precluderebbe un largo nascente pubblico... Badi, però, che il Suo rifiuto – "né rosso né nero" – significa attualmente in Italia "sospeso tra cielo e terra", "né dentro né fuori", "né vestito né ignudo" – insomma una situazione quale soltanto Bertoldo seppe sostenere e con una facezia dopo tutto. In Italia, ripeto, non so altrove». Il libro verrà pubblicato dal Mulino nel 1962, ma, per quanto riguarda la pubblicistica di sinistra, il nome di Poggioli, che morirà in un incidente d´auto nel 1963, sarà totalmente bandito. Con effetti che andranno anche al di là dell´ambito culturale cosiddetto progressista. Nel ´98 Carlo Bo si rammarica del velo di silenzio caduto su un intellettuale benemerito per la cultura italiana «tanto che il suo nome non si trova neppure nella Treccanetta, dove di Poggioli c´è soltanto il regista». Del resto neppure l´ultima Garzantina ne fa cenno. La damnatio memoriae, infatti, si perpetua ancora oggi. Nel centenario della nascita di Pavese la Einaudi ha deciso infatti l´uscita di un volume sulla sua attività di editor della casa editrice e il curatore si è rivolto alla figlia di Poggioli, Sylvia, per ottenere l´assenso alla pubblicazione del carteggio tra i due, ben 59 lettere. In questi giorni marcia indietro: l´Einaudi ha informato che pubblicherà solo le lettere dei collaboratori regolarmente stipendiati dalla casa editrice.
Poggioli non era tra questi e lo scambio epistolare tra lui e Pavese resterà inedito. L´ombra di Zdanov si proietta ancora su via Biancamano?
Renato Poggioli. Una vittima illustre delle censure del Pci
di Mario Pirani
L´ostracismo all’antologia dello slavista Renato Poggioli
Quando il Pci censurò i poeti russi dell´Einaudi
Lo slavista fu attaccato per aver raccolto nell´antologia"Il fiore del verso russo" i poeti perseguitati da Stalin. Nel centenariodella nascita Harvard, dove ha insegnato, lo celebra, in Italia è dimenticato
L´emblematica vicenda va collocata nei primi anni del dopoguerra quando la guerra fredda si allarga a tutti i domini della cultura
Ebbe rapporti con numerosi editori italiani e con Einaudi l´avvìo è folgorante: "siamo incantati, gli scrive Cesare Pavese, della Sua proposta"
Dall´America dirigeva la rivista "Inventario" che ebbe un taglio internazionale con contributi di Eliot, Nabokov, Lowell, Ungaretti e Quasimodo
Quando esce il "Fiore" Einaudi cerca di prendere le distanze dall´antologia con una prefazione, ma ai comunisti questo non basta
Tre Università americane – Massachusetts, Brown ed Harvard – hanno organizzato nelle rispettive sedi per tre giorni consecutivi (25, 26, 27 ottobre) un simposio internazionale di studi su Renato Poggioli (1907-1963) nel primo centenario della nascita. Dal 1946 fino alla morte ricoprì ad Harvard la cattedra di letteratura comparata ma, pur essendo trascorsi oltre quarant´anni, resta un personaggio assai noto fra gli studiosi statunitensi interessati alla slavistica e all´italianistica (il suo libro più celebre, Il fiore del verso russo del 1949, viene ancor oggi ristampato). In Italia, per contro, ha subito una vera e propria damnatio memoriae, malgrado la sua figura sia stata di primo piano soprattutto per la cultura del nostro Paese. Non, però, la polvere inesorabile del tempo ha ricoperto le orme lasciate da Poggioli ma l´impalpabile rimozione ideologica indotta dalla guerra fredda e dagli effetti che la pavida osservanza dei dettami stalinisti ebbe in quella stagione su larga parte degli intellettuali, anche fra i migliori, e dell´editoria più prestigiosa.
Lo provano la corrispondenza fra Poggioli, Pavese, Giulio Einaudi, Vito Laterza, Eugenio Montale, Paolo Milano, Isaiah Berlin ed altri, fornitaci dalla figlia Sylvia, e gli esaurienti riscontri analizzati a suo tempo da Luisa Mangoni nella sua monumentale storia della casa editrice Einaudi (Pensare i libri, Torino 1999, Bollati Boringhieri). L´emblematica vicenda cultural-editoriale va collocata nei primissimi anni del dopoguerra, quando la guerra fredda si proietta anche nella battaglia delle idee e si allarga a tutti i domini della cultura, dalla letteratura alla musica, dalla biologia alla linguistica, dalle arti figurative alla storiografia.
Secondo i dettami di Stalin e di Zdanov, cui è affidata la gestione dell´ideologia, la produzione culturale deve essere rigidamente «realista nella forma, socialista nel contenuto». Se nell´Urss e nei paesi del «socialismo reale» la mancata osservanza di questo schema porterà a pesanti persecuzioni con conseguenze tragiche, lunghi internamenti nei gulag, spietate esecuzioni, disperati suicidi, in Occidente, soprattutto in Italia e Francia dove grande è la forza dei partiti comunisti, gli ukase di Zdanov si tradurranno in condanne ideologiche, rotture politiche, censure editoriali, velenose polemiche. Certo, in Italia l´ortodossia è stemperata dal filtro gramsciano, dalla duttilità togliattiana, dalla specificità originale del Pci, ma la radice persecutoria resta pur sempre di marchio stalinista e, soprattutto nella prima fase della guerra fredda, è saldamente coerente con quella impronta.
L´avventura letteraria di Renato Poggioli si colloca in quel contesto, pur se le premesse germogliano nel decennio precedente quando studia e si sposta per approfondire le conoscenze linguistico letterarie a Vienna, Praga e Varsavia. In quegli anni, però, punto di riferimento, per prolungati soggiorni, è Firenze, la città natìa. Così lo ricorderà molti anni dopo Carlo Bo in un articolo rievocativo della vita letteraria fiorentina negli anni Trenta: «All´epoca c´erano a Firenze due università, la prima la statale a piazza San Marco, le seconda che aveva tante succursali quanti erano i caffè di Firenze, dove a seconda dell´ora si riunivano scrittori, alcuni già famosi, la maggioranza principianti. Renato Poggioli era il Presidente di questa anonima università ed ogni giorno teneva lezione su una gamma di argomenti letterari». In un altro articolo, apparso nel ‘63 sull´Europeo, Bo definirà Poggioli come «il maestro dei nostri primi passi... conosceva letterature che noi ignoravamo e, infatti, è stato merito suo se già da allora abbiamo potuto affrontare poeti come Anna Achmatova e Pasternak.
Poggioli arrivava puntualmente tutte le mattine, verso mezzogiorno, con un nuovo libro sotto il braccio e teneva lezione: una lezione estremamente viva, poco o niente accademica... Molti anni dopo si seppe che aveva approdato in America e insegnava in una di quelle università. Oggi è un maestro di Harvard (era titolare di slavistica e letteratura comparata, ndr)». E, infatti Poggioli, che nel frattempo si era sposato con una allieva italiana di Ortega y Gasset, Renata Nordio, informato che le autorità fasciste diffidavano della sua attività e stavano per prendere misure contro di lui, era riuscito nel 1938 ad emigrare in America, anche grazie ai rapporti della moglie con Gaetano Salvemini, già esule negli Stati Uniti. E qui si legò politicamente con la Mazzini Society e con gli antifascisti che gravitavano, appunto, attorno a Salvemini. Se la guerra interruppe i rapporti con l´Italia, questi ripresero immediatamente con la Liberazione in due direzioni. La prima fu la fondazione, assieme ad un suo amico fiorentino, il poeta Luigi Berti, di una rivista unica nel suo genere che battezzò Inventario cui ambiva affidare il compito di sprovincializzare la cultura italiana. Usciva a Firenze – editore Parenti – ma Poggioli la dirigeva dall´America. Durò fino al 1963 – anno della morte quasi contemporanea dei due promotori – ed ebbe un taglio internazionale senza confronti, dovuto appunto al prestigio di Poggioli che era riuscito a far confluire nel comitato direttivo nomi come T. S. Eliot, Vladimir Nabokov, Jorge Guillen, Robert Lowell, Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo, Pedro Salinas, Allen Tate ed altri. Tra i collaboratori, fin dal primo numero, Thomas Mann e St John Perse. Contemporaneamente Poggioli avviò una sua periodica collaborazione di critica letteraria con Il Mondo di Pannunzio.
Nello stesso tempo s´impegnò con uno slancio davvero straordinario nel tentativo di imprimere un profilo cosmopolita all´asfittica vita culturale italiana tessendo un carteggio imponente con gli editori americani perché scoprissero poeti e scrittori italiani ma, soprattutto, rivolto ai maggiori editori del nostro paese, da Einaudi, il suo preferito, a Bompiani, da Laterza a Guanda, da Mondadori a Neri Pozza, ecc. fornendo a tutti note, schede, proposte motivate, suggerimenti riguardanti romanzi, saggi critici e politici, poesie. Il carteggio è di grandissimo interesse. Montale scherzosamente si dichiara «un po´ vergognoso di scrivere a un full professor giunto tanto in alto», si dilunga sull´invio di testi, destinati ad editori americani, accenna a due suoi scritti che potrebbero venir tradotti per il pubblico d´Oltreoceano e spiega che sono «apparsi su Società, la rivista paracomunista che stampa Einaudi. Io, però, non ho trovato asilo nel p. c.; sono politicamente roofless (senza tetto, ndr) e tale mi manterrò se potrò, dopo molte delusioni». Tra gli editori vi è chi ringrazia come Valentino Bompiani che in data 7 settembre 1946 scrive: «Io penso che la sua attività sia di grande importanza per la letteratura e l´editoria italiana e per parte mia sarò lietissimo se in qualunque momento e in qualunque modo riuscirò a dimostrarle la mia gratitudine». E vi è chi declina, come Vito Laterza, che otto anni dopo, il 17 novembre 1954, avendo ricevuto da Poggioli alcune schede di segnalazione che comprendono il Diario parigino di Trotzkij e altri saggi storico-sociologici sull´Urss e sulla Cina di Mao, tutti curati dalla Harvard University Press, dichiara: «La situazione culturale e politica del nostro Paese è così tesa che affrontare certi argomenti comporta rischi notevoli, ma soprattutto fastidiosi. Un´opera sul comunismo o sulla Russia, anche se disinteressata e seria e obbiettiva, si presta a impensate critiche e a impensate lodi, e comunque sempre a reazioni assai poco pertinenti... se il libro critica alcuni aspetti negativi di quell´ideologia e di quella società, ci sarà sempre qualcuno che ne trarrà spunto per discorsi volgarmente anticomumisti e intimamente reazionari». Con Einaudi l´avvìo è folgorante: «Tanto io che Einaudi – gli scrive Cesare Pavese – siamo incantati della Sua proposta di collaborazione con noi». Sarà l´inizio di una corrispondenza fittissima che culminerà nel 1949 con la pubblicazione dell´opera che sta più a cuore a Poggioli, Il fiore del verso russo, una sua antologia critica e storica della poesia russa tra Ottocento e Novecento, con particolare riguardo alle correnti decadenti, simboliste e futuriste a cavallo della Rivoluzione di Ottobre «che pesa ancora – scriverà nel prologo – come una promessa e una minaccia sulla Russia, sull´Europa e sul mondo». Un ampio saggio, corredato da biografie e note, guida il lettore alla lettura di grandi lirici, in quel tempo quasi sconosciuti in Occidente, dalla Achmatova a Pasternak, da Mandelstam ad Essenin, da Block a Majakovskij alla Cvetaeva non tacendo della tragica fine di molti, perché «la nuova età, spietata come ogni cosa barbara e naturale, molti di loro anche uccise, o con le armi o con il solo suo avvento». A questo punto l´idillio con la Einaudi subisce gravi contraccolpi anche se le prime avvisaglie sembrano ancora amichevoli. Il 5 ottobre 1949 Pavese scrive a Poggioli: «Oggi il Fiore entra in stampa: suoni le campane. Einaudi che scorre i libri soltanto in ultime bozze ha deciso, per varie ragioni, di premettere al Fiore una sua avvertenza... La veda, mi pare piccante». Accenna poi in termini entusiastici ad un altro libro che Poggioli sta scrivendo per la casa editrice sulla cultura d´avanguardia e dichiara: «Ho letto l´altra puntata dell´Arte d´avanguardia e sono sempre più interessato e impaziente di averla tutta fra le mani per fare il libro». Ma cosa è questa inconsueta prefazione dell´editore ad un libro da lui pubblicato? Lo ha raccontato con dettagli strabilianti Luisa Mangoni (opera citata) riportando quale irritazione stesse montando nel gruppo dirigente del partito quando trapela che sta per essere pubblicato da un editore considerato amico un libro che cita le persecuzioni staliniste contro i maggiori poeti russi. Giulio Einaudi tenta, quindi, di prendere qualche distanza dal Fiore, pur senza sconfessarlo. «A noi preme osservare – scrive nella prefazione – che l´interpretazione che l´antologista dà dello sviluppo di questa poesia e l´asprezza di qualche suo giudizio sulle sue più recenti vicende, sono testimonianza, una fra le molte, della crisi della cultura contemporanea, della sua tragica mutilazione e fungibilità di valori».
Nel frattempo la discussione coinvolge tutto il gruppo di intellettuali che facevano capo all´Einaudi (oltre Pavese, Antonio Giolitti, Felice Balbo, Natalia Ginzburg, Carlo Muscetta, Francesco Jovine ed altri), che in una riunione apposita convengono sulla opportunità di orientare i recensori che scriveranno sui giornali comunisti perché la critiche siano almeno rispettose.
In proposito Carlo Muscetta scrive ad Einaudi che si atterrà a questa sollecitazione anche se giudica il testo «sostanzialmente schifoso». La Ginzburg, per contro, rivolgendosi a Jovine sostiene che sarebbe bene recensisse lui il «bellissimo volume... anzitutto perché altri difficilmente saprebbero apprezzare sia le finezze della traduzione che il commento, e poi perché trattandosi, come vedrai di un libro che non può non essere attaccato sull´Unità, avremmo caro fossi tu ad attaccarlo alla luce dell´intelligenza e dell´intendimento poetico, col criterio e il discernimento che meritano e Poggioli e il volume». Infine Antonio Giolitti, come ultima istanza, pensa a Togliatti e chiede di vederlo. Togliatti, però, è in viaggio e Giolitti, per saggiare il terreno, sottopone una delle prime copie a Felice Platone, molto vicino al capo del partito. La reazione è drastica e Giolitti, con una lettera ne informa Torino: «L´amico filosofo (per il nome, evidentemente, ndr) ha annusato il fiore e ne è rimasto disgustato: addirittura si è posto la domanda se Einaudi possa continuare ad essere l´editore di certe opere complete.
Ritiene – e in coscienza non so dargli torto – che quel libro superi ogni più largo limite consentito. La missione presso il principale si fa assai delicata». E, infatti, pochi giorni dopo Togliatti rientra a Roma e telegrafa ad Einaudi invitandolo a sospendere «edizione miei scritti da me non autorizzata». Mentre sul Corriere Montale recensisce il Fiore con un lungo articolo, ricco di lodi, sui giornali del Pci appaiono articoli in cui si accusa Poggioli di essere un agente al soldo degli Stati Uniti e si lasciano trasparire velate minacce all´Einaudi.
I rapporti tra Botteghe Oscure e la casa editrice minacciano di volgere al peggio. Non resta per ricomporli che sacrificare Poggioli sull´altare della ragion politica.
Pavese gli manda una lettera in data 16/2/1950 in cui rinnega l´impegno a pubblicare il secondo libro, Teoria dell´arte d´avanguardia, con questa parole: «Il libro non si fa... Si tratta di non liquidare l´unità del consiglio editoriale insistendo sul Suo nome: se Einaudi lo facesse, si troverebbe praticamente l´indomani senza i collaboratori, che, bene o male l´hanno fatto chi è, e si precluderebbe un largo nascente pubblico... Badi, però, che il Suo rifiuto – "né rosso né nero" – significa attualmente in Italia "sospeso tra cielo e terra", "né dentro né fuori", "né vestito né ignudo" – insomma una situazione quale soltanto Bertoldo seppe sostenere e con una facezia dopo tutto. In Italia, ripeto, non so altrove». Il libro verrà pubblicato dal Mulino nel 1962, ma, per quanto riguarda la pubblicistica di sinistra, il nome di Poggioli, che morirà in un incidente d´auto nel 1963, sarà totalmente bandito. Con effetti che andranno anche al di là dell´ambito culturale cosiddetto progressista. Nel ´98 Carlo Bo si rammarica del velo di silenzio caduto su un intellettuale benemerito per la cultura italiana «tanto che il suo nome non si trova neppure nella Treccanetta, dove di Poggioli c´è soltanto il regista». Del resto neppure l´ultima Garzantina ne fa cenno. La damnatio memoriae, infatti, si perpetua ancora oggi. Nel centenario della nascita di Pavese la Einaudi ha deciso infatti l´uscita di un volume sulla sua attività di editor della casa editrice e il curatore si è rivolto alla figlia di Poggioli, Sylvia, per ottenere l´assenso alla pubblicazione del carteggio tra i due, ben 59 lettere. In questi giorni marcia indietro: l´Einaudi ha informato che pubblicherà solo le lettere dei collaboratori regolarmente stipendiati dalla casa editrice.
Poggioli non era tra questi e lo scambio epistolare tra lui e Pavese resterà inedito. L´ombra di Zdanov si proietta ancora su via Biancamano?