La Stampa
01/05/2001
Marco Belpoliti
Il potere della Mummia
Dal corpo di Mazzini ai manifesti elettorali: uno studioso spiega come.
Lunedì 11 marzo 1872 Giuseppe Mazzini muore a Pisa in casa della famiglia Rosselli. Chiamato da un telegramma arriva Agostino Bertani, medico curante e politico mazziniano di spicco. In una rapida riunione dei discepoli intorno al letto di morte del maestro, Bertani propone di mummificare il corpo del cospiratore e teorico repubblicano, padre nobile del Risorgimento, e di traslarne la salma a Genova in una bara con uno sportello di cristallo per rendere visibile il suo prezioso profilo. Nelle intenzioni di Bertani la salma imbalsamata di Mazzini è come uno strumento di guerra contro Casa Savoia, la Chiesa Cattolica, e insieme un mezzo per serrare le fila del partito repubblicano diviso in tante anime. La battaglia che il partito laico combatte contro la monarchia ereditaria è davvero difficile. Nell'antico regime i re hanno un doppio corpo: quello fisico, destinato a perire, e quello politico e invisibile, che non muore ed è consegnato al successore. Anche il funerale del Re e dell'Imperatore è doppio: uno riservato alla tumulazione del corpo mortale, l'altro destinato alla glorificazione della sua immagine. E' una battaglia ardua da vincere. Come fare per trasformare «Mazzini morto» in un «Mazzini vivo»? Come iscriverlo nella storia non solo come persona o come nome, ma in quanto istituzione? Sergio Luzzatto, in un singolare libro dedicato al corpo mummificato del capo repubblicano, “La mummia della Repubblica. Storia di Mazzini imbalsamato 1872-1946” (Rizzoli, pp. 222, lire 32.000), ricostruisce la storia di questa vicenda altamente simbolica che ha ancora molto da dirci riguardo ai meccanismi nascosti che governano la politica, oltre che sulle vicende della nostra storia patria. Da tempo sappiamo che la politica senza rituali o cerimoniali, senza icone e simboli, è solo una scatola vuota, incapace di muovere le passioni e i desideri degli uomini. Tutti i regimi politici privi di trasmissione ereditaria, per perpetuare se stessi, hanno cercato di percorrere la strada della conservazione della salma del Fondatore: la mummia di Lenin e di Mao ne sono l'esempio manifesto. Bertani, dice Luzzatto, ha il medesimo scopo: «investire sul potere carismatico del profeta garantendo al suo corpo una visibilità perenne». I simboli più forti sono quelli visivi: anche nel mondo moderno sono più le persone che guardano di quelle che leggono. Inoltre, in un paese come l'Italia, in cui l'impersonalità dello Stato è debole, scrive l'autore, viene spontaneo affidarsi al corpo del politico d'eccezione. E' il ritorno di quella sacralità che il pensiero laico e razionalista ha sempre rifiutato. La figura del santo, taumaturgo e operatore di miracoli, per quanto profano, è più forte di ogni altra immagine, anche in politica. Nel raccontare il viaggio della salma mineralizzata di Mazzini attraverso l'Italia - il feretro segue un percorso che da Pisa attraversa la pianura padana e poi giunge a Genova - che provoca l'accorrere di folle nelle stazioni di sosta, Luzzatto evoca un tema molto importante: quello che contrappone le forme dinamiche di dominio del tempo e dello spazio allestite dal mondo moderno - il treno, ad esempio - e invece la loro antitesi: la fissità della morte. In questa occasione il poeta-vate del Risorgimento, Giosuè Carducci, affida una sua poesia a un «foglio volante», distribuito nelle stazioni di sosta e appeso ai muri, esempio di quella propaganda politica che di lì a poco, con la mobilitazione delle masse nella Prima guerra mondiale e la partecipazione di D'Annunzio, diventerà uno dei tratti caratteristici delle società di massa. La posta in gioco, dice Luzzatto, è quella di «fondare intorno ai rituali funerari una religione civile; e non si dà religione senza liturgia, né mistero della fede senza ostensione del sacrificio». In questo la monarchia sabauda è in difficoltà: a causa della sue tradizionali diffidenze verso l'interclassismo e del carattere schivo e riservato dei Savoia, nessun re, neppure Vittorio Emanuele II, è stato in grado di fondare un culto intorno alla propria figura. A mummificare Mazzini provvede uno strano personaggio, lo scienziato lodigiano Paolo Gorini, un po' medico e un po'alchimista, anche lui mazziniano e anticlericale. Un anno dopo la traslazione, il 10 marzo 1873, al cimitero di Staglieno, luogo deputato per la sepoltura - Mazzini come Mao aveva chiesto di essere cremato - viene esposta al pubblico la salma pietrificata del leader repubblicano. Arrivano trentamila persone. Molti vedono per la prima volta l'uomo così tante volte evocato, la cui immagine era affidata solo alle stampe. L'iconografia dei grandi della storia patria, da Garibaldi a Mazzini, da Vittorio Emanuele II a Pio IX, fino ad arrivare a Mussolini, che con il suo corpo in immagine ha riempito la vita di almeno due generazioni di italiani, è uno dei capitoli della storia del Novecento su cui sarebbe opportuno riflettere, soprattutto oggi che la politica torna a personalizzarsi, a far tutt'uno con l'immagine fisica dei leader trasmessa dai mass media, dopo l'epoca democristiana, dominata, salvo i primi anni della Repubblica, da figure fisiche quasi trasparenti, ben attente a non lasciare una traccia fisica di se stesse. La figura ieratica di Mazzini, nero vestita - il lutto per l'oppressione dell'Italia - era già diventata proverbiale. E se Mazzini era la fronte (la polizia pontificia la definisce «bellissima»), l'intelligenza, la sottigliezza del disegno politico, ma anche la cospirazione delle menti, Garibaldi, scrive Luzzatto, era la mano: «Possa la mano mia (?) servire la causa della libertà», aveva scritto sotto un suo ritratto. La fronte e la mano: il pensiero e l'azione, tutto il Risorgimento cospirativo, ribellistico, eroico è raccolto nel binomio. La scommessa di Bertani è tuttavia fallita. Nonostante l'abnegazione di Gorini, l'imbalsamazione non è riuscita, e dopo aver eretto la tomba a Staglieno, il pellegrinaggio mazziniano è andato spegnendosi nei decenni seguenti; nonostante che il Fascismo si sia appropriato della sua figura di Padre fondatore, sul culto mazziniano non si è costruita una mitologia che sfida il tempo. Nella parte conclusiva del suo breve ma stimolante saggio, Sergio Luzzatto avanza alcune ipotesi sulla storia dell'Italia moderna. Staglieno, con la tomba di Mazzini e con quella degli altri mazziniani che la circondano, compreso Ferruccio Parri, sarebbe una sorta di Piazzale Loreto alla rovescia: alla Milano partigiana che sente il bisogno di esporre il corpo «come un cacciatore esibisce la sua preda», risponde Genova repubblicana che all'indomani del referendum che decreta la fine della monarchia, riesuma il corpo della sua reliquia. Il 23 giugno 1946, sotto la pioggia, sfila una coda ininterrotta di persone che rende omaggio alla salma imbalsamata di Mazzini. Luzzatto che al corpo di Mussolini postmortem ha dedicato un libro notevole, “Il corpo del duce” (Einaudi, 1998), sostiene che tra queste due salme, quella tumefatta, maciullata e degradata di Benito Mussolini, esposta a testa in giù, e quella reliquiaria ma altrettanto mal conservata di Mazzini, passa l'intera problematica della mistica del corpo del Capo nell'Italia moderna e contemporanea. La sua storia sarebbe una storia di sangue, cadaveri e lutti. Dopo la pietrificazione di Mazzini, e quelle mancate di Garibaldi e Vittorio Emmanuele II, c'è lo shock corporale dell'omicidio di Umberto I a Monza, nel 1900, poi il delitto Matteotti - alter ego corporale del Duce e suo vaticinio di morte -, poi la fucilazione di Mussolini e l'esibizione a piazzale Loreto, e infine il delitto Moro, nel 1978, con il corpo adagiato nel bagagliaio della R4 rossa, oltre che nella fotografia ostensiva scattata dai brigatisti. E a legare questi delitti politici non è solo il corpo stesso dei Capi, ma, dice l'autore, il susseguirsi di fallimenti politici e di rivalse mal amministrate: il fallimento del Risorgimento repubblicano arma la mano di Bresci contro il «Re buono»; la debolezza della monarchia sabauda consente la violenza fascista che culmina nel delitto di Stato contro Matteotti, che a sua volta produce la nemesi di Piazzale Loreto, così come il mito della liberazione nazionale, della «Resistenza tradita» si manifesta nell'assassinio di Moro. Stanno davvero così le cose? E se Luzzatto avesse ragione - ma la tesi su Moro è tutta da verificare - cosa ci riserverebbe il futuro, ora che la politica di identificazione del Capo sembra così prepotentemente tornata di attualità con l'immagine dei «Signor-tutti-noi» che ci sorridono dai cartelloni pubblicitari? Forse oggi il Corpo del capo non è più ieratico e distante; il Potere si è molto avvicinato all'uomo comune e la pubblicità, anche elettorale, ci dà l'illusione di parteciparvi, almeno in immagine.
01/05/2001
Marco Belpoliti
Il potere della Mummia
Dal corpo di Mazzini ai manifesti elettorali: uno studioso spiega come.
Lunedì 11 marzo 1872 Giuseppe Mazzini muore a Pisa in casa della famiglia Rosselli. Chiamato da un telegramma arriva Agostino Bertani, medico curante e politico mazziniano di spicco. In una rapida riunione dei discepoli intorno al letto di morte del maestro, Bertani propone di mummificare il corpo del cospiratore e teorico repubblicano, padre nobile del Risorgimento, e di traslarne la salma a Genova in una bara con uno sportello di cristallo per rendere visibile il suo prezioso profilo. Nelle intenzioni di Bertani la salma imbalsamata di Mazzini è come uno strumento di guerra contro Casa Savoia, la Chiesa Cattolica, e insieme un mezzo per serrare le fila del partito repubblicano diviso in tante anime. La battaglia che il partito laico combatte contro la monarchia ereditaria è davvero difficile. Nell'antico regime i re hanno un doppio corpo: quello fisico, destinato a perire, e quello politico e invisibile, che non muore ed è consegnato al successore. Anche il funerale del Re e dell'Imperatore è doppio: uno riservato alla tumulazione del corpo mortale, l'altro destinato alla glorificazione della sua immagine. E' una battaglia ardua da vincere. Come fare per trasformare «Mazzini morto» in un «Mazzini vivo»? Come iscriverlo nella storia non solo come persona o come nome, ma in quanto istituzione? Sergio Luzzatto, in un singolare libro dedicato al corpo mummificato del capo repubblicano, “La mummia della Repubblica. Storia di Mazzini imbalsamato 1872-1946” (Rizzoli, pp. 222, lire 32.000), ricostruisce la storia di questa vicenda altamente simbolica che ha ancora molto da dirci riguardo ai meccanismi nascosti che governano la politica, oltre che sulle vicende della nostra storia patria. Da tempo sappiamo che la politica senza rituali o cerimoniali, senza icone e simboli, è solo una scatola vuota, incapace di muovere le passioni e i desideri degli uomini. Tutti i regimi politici privi di trasmissione ereditaria, per perpetuare se stessi, hanno cercato di percorrere la strada della conservazione della salma del Fondatore: la mummia di Lenin e di Mao ne sono l'esempio manifesto. Bertani, dice Luzzatto, ha il medesimo scopo: «investire sul potere carismatico del profeta garantendo al suo corpo una visibilità perenne». I simboli più forti sono quelli visivi: anche nel mondo moderno sono più le persone che guardano di quelle che leggono. Inoltre, in un paese come l'Italia, in cui l'impersonalità dello Stato è debole, scrive l'autore, viene spontaneo affidarsi al corpo del politico d'eccezione. E' il ritorno di quella sacralità che il pensiero laico e razionalista ha sempre rifiutato. La figura del santo, taumaturgo e operatore di miracoli, per quanto profano, è più forte di ogni altra immagine, anche in politica. Nel raccontare il viaggio della salma mineralizzata di Mazzini attraverso l'Italia - il feretro segue un percorso che da Pisa attraversa la pianura padana e poi giunge a Genova - che provoca l'accorrere di folle nelle stazioni di sosta, Luzzatto evoca un tema molto importante: quello che contrappone le forme dinamiche di dominio del tempo e dello spazio allestite dal mondo moderno - il treno, ad esempio - e invece la loro antitesi: la fissità della morte. In questa occasione il poeta-vate del Risorgimento, Giosuè Carducci, affida una sua poesia a un «foglio volante», distribuito nelle stazioni di sosta e appeso ai muri, esempio di quella propaganda politica che di lì a poco, con la mobilitazione delle masse nella Prima guerra mondiale e la partecipazione di D'Annunzio, diventerà uno dei tratti caratteristici delle società di massa. La posta in gioco, dice Luzzatto, è quella di «fondare intorno ai rituali funerari una religione civile; e non si dà religione senza liturgia, né mistero della fede senza ostensione del sacrificio». In questo la monarchia sabauda è in difficoltà: a causa della sue tradizionali diffidenze verso l'interclassismo e del carattere schivo e riservato dei Savoia, nessun re, neppure Vittorio Emanuele II, è stato in grado di fondare un culto intorno alla propria figura. A mummificare Mazzini provvede uno strano personaggio, lo scienziato lodigiano Paolo Gorini, un po' medico e un po'alchimista, anche lui mazziniano e anticlericale. Un anno dopo la traslazione, il 10 marzo 1873, al cimitero di Staglieno, luogo deputato per la sepoltura - Mazzini come Mao aveva chiesto di essere cremato - viene esposta al pubblico la salma pietrificata del leader repubblicano. Arrivano trentamila persone. Molti vedono per la prima volta l'uomo così tante volte evocato, la cui immagine era affidata solo alle stampe. L'iconografia dei grandi della storia patria, da Garibaldi a Mazzini, da Vittorio Emanuele II a Pio IX, fino ad arrivare a Mussolini, che con il suo corpo in immagine ha riempito la vita di almeno due generazioni di italiani, è uno dei capitoli della storia del Novecento su cui sarebbe opportuno riflettere, soprattutto oggi che la politica torna a personalizzarsi, a far tutt'uno con l'immagine fisica dei leader trasmessa dai mass media, dopo l'epoca democristiana, dominata, salvo i primi anni della Repubblica, da figure fisiche quasi trasparenti, ben attente a non lasciare una traccia fisica di se stesse. La figura ieratica di Mazzini, nero vestita - il lutto per l'oppressione dell'Italia - era già diventata proverbiale. E se Mazzini era la fronte (la polizia pontificia la definisce «bellissima»), l'intelligenza, la sottigliezza del disegno politico, ma anche la cospirazione delle menti, Garibaldi, scrive Luzzatto, era la mano: «Possa la mano mia (?) servire la causa della libertà», aveva scritto sotto un suo ritratto. La fronte e la mano: il pensiero e l'azione, tutto il Risorgimento cospirativo, ribellistico, eroico è raccolto nel binomio. La scommessa di Bertani è tuttavia fallita. Nonostante l'abnegazione di Gorini, l'imbalsamazione non è riuscita, e dopo aver eretto la tomba a Staglieno, il pellegrinaggio mazziniano è andato spegnendosi nei decenni seguenti; nonostante che il Fascismo si sia appropriato della sua figura di Padre fondatore, sul culto mazziniano non si è costruita una mitologia che sfida il tempo. Nella parte conclusiva del suo breve ma stimolante saggio, Sergio Luzzatto avanza alcune ipotesi sulla storia dell'Italia moderna. Staglieno, con la tomba di Mazzini e con quella degli altri mazziniani che la circondano, compreso Ferruccio Parri, sarebbe una sorta di Piazzale Loreto alla rovescia: alla Milano partigiana che sente il bisogno di esporre il corpo «come un cacciatore esibisce la sua preda», risponde Genova repubblicana che all'indomani del referendum che decreta la fine della monarchia, riesuma il corpo della sua reliquia. Il 23 giugno 1946, sotto la pioggia, sfila una coda ininterrotta di persone che rende omaggio alla salma imbalsamata di Mazzini. Luzzatto che al corpo di Mussolini postmortem ha dedicato un libro notevole, “Il corpo del duce” (Einaudi, 1998), sostiene che tra queste due salme, quella tumefatta, maciullata e degradata di Benito Mussolini, esposta a testa in giù, e quella reliquiaria ma altrettanto mal conservata di Mazzini, passa l'intera problematica della mistica del corpo del Capo nell'Italia moderna e contemporanea. La sua storia sarebbe una storia di sangue, cadaveri e lutti. Dopo la pietrificazione di Mazzini, e quelle mancate di Garibaldi e Vittorio Emmanuele II, c'è lo shock corporale dell'omicidio di Umberto I a Monza, nel 1900, poi il delitto Matteotti - alter ego corporale del Duce e suo vaticinio di morte -, poi la fucilazione di Mussolini e l'esibizione a piazzale Loreto, e infine il delitto Moro, nel 1978, con il corpo adagiato nel bagagliaio della R4 rossa, oltre che nella fotografia ostensiva scattata dai brigatisti. E a legare questi delitti politici non è solo il corpo stesso dei Capi, ma, dice l'autore, il susseguirsi di fallimenti politici e di rivalse mal amministrate: il fallimento del Risorgimento repubblicano arma la mano di Bresci contro il «Re buono»; la debolezza della monarchia sabauda consente la violenza fascista che culmina nel delitto di Stato contro Matteotti, che a sua volta produce la nemesi di Piazzale Loreto, così come il mito della liberazione nazionale, della «Resistenza tradita» si manifesta nell'assassinio di Moro. Stanno davvero così le cose? E se Luzzatto avesse ragione - ma la tesi su Moro è tutta da verificare - cosa ci riserverebbe il futuro, ora che la politica di identificazione del Capo sembra così prepotentemente tornata di attualità con l'immagine dei «Signor-tutti-noi» che ci sorridono dai cartelloni pubblicitari? Forse oggi il Corpo del capo non è più ieratico e distante; il Potere si è molto avvicinato all'uomo comune e la pubblicità, anche elettorale, ci dà l'illusione di parteciparvi, almeno in immagine.