Il Manifesto, 07/12/2003, Tommaso Di Francesco
Pasdaran d'Occidente
Un saggio-inchiesta di Eric Laurent sul «potere occulto» della Casa bianca che, in nome delle «forze del bene», arriva al monoteismo della guerra globale, preventiva e infinita
Pregano ogni giorno, più volte al giorno, osservando scrupolosamente tutti i riti, dichiarano che ora il problema è «combattere o morire», legano sempre più insistentemente il nome di dio alla guerra. Sono gli integralisti e i kamikaze islamici? No, sono gli uomini della nuova destra conservatrice mondiale, vale a dire la leadership dell'Amministrazione americana che sostiene le sorti della presidenza Bush: Perle, Bolton, Podhorez, Kagan, Kristol, Cheney, Abrams, Wolfowitz, Ashcroft. Di questo, e non solo, parla un libro importante Il potere occulto di George W, Bush. Rreligione, affari, legami segreti dell'uomo alla guida del mondo (Mondadori, pp. 195, € 14) di Eric Laurent, inviato speciale di Le Figaro e autore di un altro libro sulla presidenza americana e i suoi riflessi affaristico-familistici, La guerra dei Bush (uscito quest'anno con la Fandango). Il libro traccia una impietosa rappresentazionedell'ideologia materiale di Bush: dall'eccezionalità della sua elezione controversa, solo con 337.576 voti di scarto su Al Gore, da scatenare dure proteste nello stato che più contestò quei voti, la Florida, ai trionfi «immateriali» del presidente americano. Basta pensare all'ultima rincorsa del consenso nel voler festeggiare a Baghdad il giorno del ringraziamento con truppe ormai demotivate e terrorizzate dall'essere da sei mesi nel mirino degli insurgent iracheni e, perdipiù, davanti ad un tacchino che alla fine si è dimostrato essere finto. Ma senza dimenticare i trionfi meno noti al pubblico internazionale, e invece fondativi della tenuta presidenziale, come quello del 10 febbraio scorso, in Tennessee. In quel giorno, che suggellava un lungo rapporto con l'occulto e la religione americana, George W. Bush ha presieduto nientemeno che il congresso nazionale dei telepredicatori religiosi tenutosi a Nashville; di fronte ad una folla che l'applaudiva calorosamente - ricorda nel libro Eric Laurent - è stato presentato dagli organizzatori come «il nostro amico e fratello in Dio». Vestendo i panni di comandante in capo del paese, il presidente americano ha pronunciato un discorso in cui problemi internazionali, interni ed economici, venivano letti e presentati in termini spirituali. Discorso che, aperto con la frase: «Saluto la fede. Saluto la fede che aiuta a risolvere i problemi più profondi del paese», è stato punteggiato dai presenti con cori di «Amen» di approvazione ad ogni ripetuta pausa. Nulla però rispetto al peso massiccio del legame storico tra Bush e le sette cristiane estremiste, in particolare al ruolo dei «cristiani dispensazioinisti» o «cristiani sionisti», quelli che, per intenderci, pensano che «la Bibbia è il verbo di dio», tout-court, e che vedono nell'avvento di una grande Israele proprio l'avverarsi di queste verità, al punto da aver trasformato Sharon - del quale danno riferimenti biblici perfino per il suo ruolo nella strage di Sabra e Shatila - in una rockstar che dal 1982 - quand'era solo ministro della difesa isrealiano - festeggiano negli Stati uniti in assemblee e riti di massa. Con la «piccola», fastidiosa verità che i «cristiani» della Christian Coalition, che amano definirsi «sionisti», dichiarano che aspettano l'Armageddon, la guerra finale per la verità, che l'Anticristo sarà «ebreo» e che alla fine bisognerà «vedersela anche con loro». Che c'entra questa setta e le altre con l'unica potenza rimasta sul pianeta? Il fatto è che determina un «clima» particolare, una ideologia, che regna nel cuore dell'esecutivo americano. E' infatti la setta che ha eletto direttamente - per l'organizzazione del voto personale e per le pressioni sulla nomina - il ministro della giustizia Ashcroft a loro da sempre collegato e organico quanto a credo. Un clima - ricorda il libro - che vede la moglie del segretario generale alla presidenza, Andrew Card, essere ministro del culto metodista; il padre di Condoleezza Rice a capo del Consiglio della sicurezza nazionale, che è predicatore in Alabama; Michael Gerson, direttore del team che scrive i discorsi presidenziali, che aderisce alle profezie dell'estrema destra cristiana, che crede all'imminente Armageddon e al ritorno dell'Anticristo, cui seguirà l'avvento del nuovo Messia. Un clima nel quale ogni giorno il personale della Casa bianca partecipa a gruppi di studio sulla Bibbia, trasformando la presidenza «in una vasta sala da preghiera dove, tra una lettura collettiva della Bibbia e l'altra, gli uomini in carica gestiscono gli affari dell'America e del mondo». E' in questo clima, in questa ideologia, che è nato l'annuncio e la pratica della «guerra preventiva e infinita». Fino all'influenza diretta dei fondamentalisti cristiani sull'esercito americano. «Persino noi ignoriamo - ha scritto in un suo reportage da Baghdad, Robert Fisk - il reverendo Franklin Graham che ha descritto l'Islam come "una religione malvagia e perfida" prima di andare a fare lezione ai funzionari del Pentagono. E cosa dovremmo dire dell'ufficiale che ha il compito di dare la caccia a Osama bin Laden, il tenente generale William "Jerry" Boykin che, in Oregon, dinanzi ad un folto pubblico ha detto che i musulmani odiano gli Stati uniti perché "siamo una nazione cristiana e perché le nostre radice sono giudaico-cristiane e il nostro nemico è un tizio chiamato Satana». Boykin, diventato di recente sottosegretario alla difesa per l'Intelligence, parlando della guerra alla quale ha partecipato in Somalia contro Aidid, ha detto: «Sapevo che il mio dio era più grande del suo, sapevo che il mio era un vero Dio e il suo un idolo». Ha scritto, in un saggio apparso sull'ultimo numero della rivista di filosofia Iride, Danilo Zolo: «La nuova guerra è "globale" in un senso che si può dire monoteista, anzitutto per il costante richiamo a valori universali da parte delle potenze (occidentali) che la promuovono: esse giustificano la guerra in nome non di interessi di parte o di obiettivi particolari, ma di un punto di vista superiore e imparziale e di valori che si ritengono condivisi e condivisibili dall'umanità intera». E' in buona sostanza la guerra delle «forze del bene», materialmente rappresentata da una classe superiore «scandalosamente ricca e dalle illimitate rapacità» - scrive Eric Laurent - contro l'«asse del male» nella retorica elementare di George W. Bush, con la quale «il weberiano "politeismo" delle morali - scrive ancora Zolo - e delle fedi religiose è sistematicamente negato, I teorici della guerra globale contrappongono una visione monoteistica del mondo (in particolare quella biblica e fervidamente cristiana dell'attuale gruppo dirigente degli Stati uniti, composto da metodisti, anabbattisti, presbiteriani, episcopali e luterani) al pluralismo dei valori e alla complessità del mondo. Dichiarando di combattere l'ideologia disumana e sanguinaria del terrorismo globale - continua il saggio su Iride di Zolo - in realtà gli Stati uniti respingono tutto ciò che si oppone all'egemonia del monoteismo occidentale e combattano in modo tutto particolare la cultura islamica che in questo momento tenta di resistere più di ogni altra al processo di occidentalizzazione del mondo al quale si riduce in larga parte ciò che chiamiamo "globalizzazione"».
Pasdaran d'Occidente
Un saggio-inchiesta di Eric Laurent sul «potere occulto» della Casa bianca che, in nome delle «forze del bene», arriva al monoteismo della guerra globale, preventiva e infinita
Pregano ogni giorno, più volte al giorno, osservando scrupolosamente tutti i riti, dichiarano che ora il problema è «combattere o morire», legano sempre più insistentemente il nome di dio alla guerra. Sono gli integralisti e i kamikaze islamici? No, sono gli uomini della nuova destra conservatrice mondiale, vale a dire la leadership dell'Amministrazione americana che sostiene le sorti della presidenza Bush: Perle, Bolton, Podhorez, Kagan, Kristol, Cheney, Abrams, Wolfowitz, Ashcroft. Di questo, e non solo, parla un libro importante Il potere occulto di George W, Bush. Rreligione, affari, legami segreti dell'uomo alla guida del mondo (Mondadori, pp. 195, € 14) di Eric Laurent, inviato speciale di Le Figaro e autore di un altro libro sulla presidenza americana e i suoi riflessi affaristico-familistici, La guerra dei Bush (uscito quest'anno con la Fandango). Il libro traccia una impietosa rappresentazionedell'ideologia materiale di Bush: dall'eccezionalità della sua elezione controversa, solo con 337.576 voti di scarto su Al Gore, da scatenare dure proteste nello stato che più contestò quei voti, la Florida, ai trionfi «immateriali» del presidente americano. Basta pensare all'ultima rincorsa del consenso nel voler festeggiare a Baghdad il giorno del ringraziamento con truppe ormai demotivate e terrorizzate dall'essere da sei mesi nel mirino degli insurgent iracheni e, perdipiù, davanti ad un tacchino che alla fine si è dimostrato essere finto. Ma senza dimenticare i trionfi meno noti al pubblico internazionale, e invece fondativi della tenuta presidenziale, come quello del 10 febbraio scorso, in Tennessee. In quel giorno, che suggellava un lungo rapporto con l'occulto e la religione americana, George W. Bush ha presieduto nientemeno che il congresso nazionale dei telepredicatori religiosi tenutosi a Nashville; di fronte ad una folla che l'applaudiva calorosamente - ricorda nel libro Eric Laurent - è stato presentato dagli organizzatori come «il nostro amico e fratello in Dio». Vestendo i panni di comandante in capo del paese, il presidente americano ha pronunciato un discorso in cui problemi internazionali, interni ed economici, venivano letti e presentati in termini spirituali. Discorso che, aperto con la frase: «Saluto la fede. Saluto la fede che aiuta a risolvere i problemi più profondi del paese», è stato punteggiato dai presenti con cori di «Amen» di approvazione ad ogni ripetuta pausa. Nulla però rispetto al peso massiccio del legame storico tra Bush e le sette cristiane estremiste, in particolare al ruolo dei «cristiani dispensazioinisti» o «cristiani sionisti», quelli che, per intenderci, pensano che «la Bibbia è il verbo di dio», tout-court, e che vedono nell'avvento di una grande Israele proprio l'avverarsi di queste verità, al punto da aver trasformato Sharon - del quale danno riferimenti biblici perfino per il suo ruolo nella strage di Sabra e Shatila - in una rockstar che dal 1982 - quand'era solo ministro della difesa isrealiano - festeggiano negli Stati uniti in assemblee e riti di massa. Con la «piccola», fastidiosa verità che i «cristiani» della Christian Coalition, che amano definirsi «sionisti», dichiarano che aspettano l'Armageddon, la guerra finale per la verità, che l'Anticristo sarà «ebreo» e che alla fine bisognerà «vedersela anche con loro». Che c'entra questa setta e le altre con l'unica potenza rimasta sul pianeta? Il fatto è che determina un «clima» particolare, una ideologia, che regna nel cuore dell'esecutivo americano. E' infatti la setta che ha eletto direttamente - per l'organizzazione del voto personale e per le pressioni sulla nomina - il ministro della giustizia Ashcroft a loro da sempre collegato e organico quanto a credo. Un clima - ricorda il libro - che vede la moglie del segretario generale alla presidenza, Andrew Card, essere ministro del culto metodista; il padre di Condoleezza Rice a capo del Consiglio della sicurezza nazionale, che è predicatore in Alabama; Michael Gerson, direttore del team che scrive i discorsi presidenziali, che aderisce alle profezie dell'estrema destra cristiana, che crede all'imminente Armageddon e al ritorno dell'Anticristo, cui seguirà l'avvento del nuovo Messia. Un clima nel quale ogni giorno il personale della Casa bianca partecipa a gruppi di studio sulla Bibbia, trasformando la presidenza «in una vasta sala da preghiera dove, tra una lettura collettiva della Bibbia e l'altra, gli uomini in carica gestiscono gli affari dell'America e del mondo». E' in questo clima, in questa ideologia, che è nato l'annuncio e la pratica della «guerra preventiva e infinita». Fino all'influenza diretta dei fondamentalisti cristiani sull'esercito americano. «Persino noi ignoriamo - ha scritto in un suo reportage da Baghdad, Robert Fisk - il reverendo Franklin Graham che ha descritto l'Islam come "una religione malvagia e perfida" prima di andare a fare lezione ai funzionari del Pentagono. E cosa dovremmo dire dell'ufficiale che ha il compito di dare la caccia a Osama bin Laden, il tenente generale William "Jerry" Boykin che, in Oregon, dinanzi ad un folto pubblico ha detto che i musulmani odiano gli Stati uniti perché "siamo una nazione cristiana e perché le nostre radice sono giudaico-cristiane e il nostro nemico è un tizio chiamato Satana». Boykin, diventato di recente sottosegretario alla difesa per l'Intelligence, parlando della guerra alla quale ha partecipato in Somalia contro Aidid, ha detto: «Sapevo che il mio dio era più grande del suo, sapevo che il mio era un vero Dio e il suo un idolo». Ha scritto, in un saggio apparso sull'ultimo numero della rivista di filosofia Iride, Danilo Zolo: «La nuova guerra è "globale" in un senso che si può dire monoteista, anzitutto per il costante richiamo a valori universali da parte delle potenze (occidentali) che la promuovono: esse giustificano la guerra in nome non di interessi di parte o di obiettivi particolari, ma di un punto di vista superiore e imparziale e di valori che si ritengono condivisi e condivisibili dall'umanità intera». E' in buona sostanza la guerra delle «forze del bene», materialmente rappresentata da una classe superiore «scandalosamente ricca e dalle illimitate rapacità» - scrive Eric Laurent - contro l'«asse del male» nella retorica elementare di George W. Bush, con la quale «il weberiano "politeismo" delle morali - scrive ancora Zolo - e delle fedi religiose è sistematicamente negato, I teorici della guerra globale contrappongono una visione monoteistica del mondo (in particolare quella biblica e fervidamente cristiana dell'attuale gruppo dirigente degli Stati uniti, composto da metodisti, anabbattisti, presbiteriani, episcopali e luterani) al pluralismo dei valori e alla complessità del mondo. Dichiarando di combattere l'ideologia disumana e sanguinaria del terrorismo globale - continua il saggio su Iride di Zolo - in realtà gli Stati uniti respingono tutto ciò che si oppone all'egemonia del monoteismo occidentale e combattano in modo tutto particolare la cultura islamica che in questo momento tenta di resistere più di ogni altra al processo di occidentalizzazione del mondo al quale si riduce in larga parte ciò che chiamiamo "globalizzazione"».