Eroine oppure analfabete. L’Ottocento e le donne
di Anna Tito
ANTOLOGIE Fu André Breton, tra i padri del movimento, a dichiarare morti «maschilismo e fallocrazia». Una raccolta indaga il ruolo contraddittorio che questa avanguardia attribuì al «genio femminile»
Agli uomini la penna per scrivere, alle donne il filo per cucire, e tutto funzionerà a dovere: appare davvero sorprendente che un illuminista ateo e convinto, anarchico ante litteram, nonché compagno di strada del precursore del comunismo Gracchus Babeuf quale fu il francese Sylvain Maréchal (1750-1803), abbia potuto soltanto concepire l’idea di un Progetto di legge per vietare alle donne a imparare a leggere (1801). Il tutto denunciando, all’indomani della Rivoluzione, l’avvento dei «nuovi tiranni» e propugnando un’assoluta e totale eguaglianza sociale. All’ateismo il versatile Maréchal aveva già dedicato il Dizionario degli atei antichi e moderni, proibito dalla censura proprio nel 1801 e non aveva mancato di dare il proprio contributo al genere erotico con La Bibliothèque des amants, odes érotiques (1786). Ammiratore di Rousseau, del quale condivideva i pregiudizi contro il sesso femminile e grande lettore dei padri dell’Illuminismo, andò maturando la concezione di una sorta di anarco-comunismo d’impronta agro-pastorale. Visse l’ebbrezza della Rivoluzione e l’avvento della dea Ragione in sostituzione del Dio cristiano: proprio per seguire i dettami della dea Ragione, a suo avviso, giunse alla conclusione che le donne non dovessero assolutamente imparare a leggere. Come poté un coraggioso assertore del principio secondo il quale «poiché tutti hanno eguali esigenze e uguali facoltà», vi sarà per tutti «una sola educazione», giungere a proporre una così pesante e reazionaria discriminazione come quella d’impedire, addirittura per legge, alle donne l’accesso alla cultura? La spiegazione sta nel fatto che non soltanto egli continuava a sognare una società popolata di agricoltori e di pastori, dove le donne filano la lana, ma le sue idee godevano di ampio credito fra i contemporanei: nonostante la Rivoluzione, e la tanto conclamata égalité, i tempi, per le donne, non erano affatto maturi. «Imparare a leggere per le donne è qualcosa di superfluo e nocivo al loro naturale ammaestramento: è un lusso, il cui pressoché costante risultato fu la corruzione e la rovina dei costumi» e il «grazioso cicaleccio femminile compenserà con gli interessi l’assenza della penna»: con tali argomentazioni l’autore stilò l’articolo 1 del suo Progetto, che recita: «La Ragione vuole che le donne, nubili, maritate o vedove, non ficchino mai il naso in un libro, né impugnino mai una penna». D’altronde «se Caterina de’ Medici non avesse saputo leggere, non ci sarebbe stata la notte di san Bartolomeo».
Di tutt’altro tenore e assai più propositivo appare il capolavoro tradotto da Gaia Panfili La guerra delle donne di Alexandre Dumas, fresco di stampa in Italia e inedito in Francia fino al 2003, un nuovo affresco sugli anni della Fronda, intorno al 1650, un periodo di «pennacchi», di cospirazioni e di alcove che a Dumas piaceva in particolar modo. Cosa accade nel mondo de I tre moschettieri coniugato al femminile? Come si articola, sotto l’abilissima penna di Dumas, quell’universo fatto di intrighi e di avventure, di coraggio e spavalderia, di sentimenti di onore e di passione intensi quando sono le donne a combattersi, e senza esclusione di colpi? L’elemento romantico della fedeltà alla loro stessa passione, della determinazione incrollabile nel perseguire i propri obiettivi, della continuità dei loro sentimenti, fanno delle donne di questo romanzo delle eroine, tanto da essere tentati di attribuire all’autore una sensibilità «di genere». La guerra delle donne apparve per la prima volta nel 1844, con sulla scena la regina Anna d’Austria appoggiata dal ministro Mazzarino, e impegnata a fronteggiare la ribellione della nobiltà che ha eletto a proprio simbolo la principessa di Condé; entrambe le madri lottano per conto dei figli legittimi, Luigi XIV per la prima, e il piccolo Condé per la seconda. Altre due donne - eroine dai tratti contrapposte - Nanon de Lartigues e Claire de Cambes, schierate sulle opposte sponde, tessono la trama dei loro fili diplomatici, ciascuna per far vincere la propria parte, pur condividendo, ma se ne accorgeranno solo alla fine, la passione per lo stesso uomo.
Se ai personaggi maschili della storia non resta che ribadire il cliché dell’onore e del coraggio, o al contrario della furbizia gretta e canagliesca, vengono le donne a presentarsi con un inedito spessore di abnegazione e di fedeltà alla causa ritenuta giusta.
Progetto di legge per vietare alle donne a imparare a leggere di Sylvain Maréchal a cura di E. Badellino pp 135, euro 9,50 Archinto
La guerra delle donne Alexandre Dumas trad. di G. Panfili pp. 530, euro 28 Donzelli
di Anna Tito
ANTOLOGIE Fu André Breton, tra i padri del movimento, a dichiarare morti «maschilismo e fallocrazia». Una raccolta indaga il ruolo contraddittorio che questa avanguardia attribuì al «genio femminile»
Agli uomini la penna per scrivere, alle donne il filo per cucire, e tutto funzionerà a dovere: appare davvero sorprendente che un illuminista ateo e convinto, anarchico ante litteram, nonché compagno di strada del precursore del comunismo Gracchus Babeuf quale fu il francese Sylvain Maréchal (1750-1803), abbia potuto soltanto concepire l’idea di un Progetto di legge per vietare alle donne a imparare a leggere (1801). Il tutto denunciando, all’indomani della Rivoluzione, l’avvento dei «nuovi tiranni» e propugnando un’assoluta e totale eguaglianza sociale. All’ateismo il versatile Maréchal aveva già dedicato il Dizionario degli atei antichi e moderni, proibito dalla censura proprio nel 1801 e non aveva mancato di dare il proprio contributo al genere erotico con La Bibliothèque des amants, odes érotiques (1786). Ammiratore di Rousseau, del quale condivideva i pregiudizi contro il sesso femminile e grande lettore dei padri dell’Illuminismo, andò maturando la concezione di una sorta di anarco-comunismo d’impronta agro-pastorale. Visse l’ebbrezza della Rivoluzione e l’avvento della dea Ragione in sostituzione del Dio cristiano: proprio per seguire i dettami della dea Ragione, a suo avviso, giunse alla conclusione che le donne non dovessero assolutamente imparare a leggere. Come poté un coraggioso assertore del principio secondo il quale «poiché tutti hanno eguali esigenze e uguali facoltà», vi sarà per tutti «una sola educazione», giungere a proporre una così pesante e reazionaria discriminazione come quella d’impedire, addirittura per legge, alle donne l’accesso alla cultura? La spiegazione sta nel fatto che non soltanto egli continuava a sognare una società popolata di agricoltori e di pastori, dove le donne filano la lana, ma le sue idee godevano di ampio credito fra i contemporanei: nonostante la Rivoluzione, e la tanto conclamata égalité, i tempi, per le donne, non erano affatto maturi. «Imparare a leggere per le donne è qualcosa di superfluo e nocivo al loro naturale ammaestramento: è un lusso, il cui pressoché costante risultato fu la corruzione e la rovina dei costumi» e il «grazioso cicaleccio femminile compenserà con gli interessi l’assenza della penna»: con tali argomentazioni l’autore stilò l’articolo 1 del suo Progetto, che recita: «La Ragione vuole che le donne, nubili, maritate o vedove, non ficchino mai il naso in un libro, né impugnino mai una penna». D’altronde «se Caterina de’ Medici non avesse saputo leggere, non ci sarebbe stata la notte di san Bartolomeo».
Di tutt’altro tenore e assai più propositivo appare il capolavoro tradotto da Gaia Panfili La guerra delle donne di Alexandre Dumas, fresco di stampa in Italia e inedito in Francia fino al 2003, un nuovo affresco sugli anni della Fronda, intorno al 1650, un periodo di «pennacchi», di cospirazioni e di alcove che a Dumas piaceva in particolar modo. Cosa accade nel mondo de I tre moschettieri coniugato al femminile? Come si articola, sotto l’abilissima penna di Dumas, quell’universo fatto di intrighi e di avventure, di coraggio e spavalderia, di sentimenti di onore e di passione intensi quando sono le donne a combattersi, e senza esclusione di colpi? L’elemento romantico della fedeltà alla loro stessa passione, della determinazione incrollabile nel perseguire i propri obiettivi, della continuità dei loro sentimenti, fanno delle donne di questo romanzo delle eroine, tanto da essere tentati di attribuire all’autore una sensibilità «di genere». La guerra delle donne apparve per la prima volta nel 1844, con sulla scena la regina Anna d’Austria appoggiata dal ministro Mazzarino, e impegnata a fronteggiare la ribellione della nobiltà che ha eletto a proprio simbolo la principessa di Condé; entrambe le madri lottano per conto dei figli legittimi, Luigi XIV per la prima, e il piccolo Condé per la seconda. Altre due donne - eroine dai tratti contrapposte - Nanon de Lartigues e Claire de Cambes, schierate sulle opposte sponde, tessono la trama dei loro fili diplomatici, ciascuna per far vincere la propria parte, pur condividendo, ma se ne accorgeranno solo alla fine, la passione per lo stesso uomo.
Se ai personaggi maschili della storia non resta che ribadire il cliché dell’onore e del coraggio, o al contrario della furbizia gretta e canagliesca, vengono le donne a presentarsi con un inedito spessore di abnegazione e di fedeltà alla causa ritenuta giusta.
Progetto di legge per vietare alle donne a imparare a leggere di Sylvain Maréchal a cura di E. Badellino pp 135, euro 9,50 Archinto
La guerra delle donne Alexandre Dumas trad. di G. Panfili pp. 530, euro 28 Donzelli