Corriere della Sera 13.3.08
Presentata l'edizione critica. Salvatore Settis: escluso che sia dell'800. I dubbi filologici
«Artemidoro, il papiro non è un falso», Gli esperti a Berlino: l'analisi chimica lo fa risalire al I secolo dopo Cristo
di Dino Messina
BERLINO — Il papiro di Artemidoro campeggia da ieri in una sala dell'Altes Museum di Berlino, circondato da altri antichi reperti ellenistici ed egizi. E con l'apertura della mostra viene esibita anche un'edizione critica senza eguali, considerata dai curatori, Claudio Gallazzi, antichista dell'università di Milano, Barbel Kramer, dell'università di Treviri, e Salvatore Settis, storico dell'arte antica e direttore della Normale di Pisa, la «prova del nove» che quella sottile e preziosa pergamena acquisita dalla Fondazione per l'arte della Compagnia di San Paolo per 2.750.000 euro sia autentica. O meglio, proprio di Artemidoro non è, ma è una copia che risale «almeno al primo secolo dopo Cristo».
In realtà di argomentazioni per contestare l'ipotesi del falso sostenuta da Luciano Canfora ne sono state portate parecchie. Lo ha fatto ieri sera Settis durante una lectio magistralis, continueranno oggi gli altri studiosi italiani e stranieri in un convegno interdisciplinare.
Innanzitutto per la prima volta verranno resi noti dal fisico Pier Andrea Mandò, del Labec, il Laboratorio per i beni culturali di Firenze, le conclusioni delle analisi chimico fisiche condotte sul papiro e sull'inchiostro. «Le analisi condotte con il carbonio 14, utilizzando la tecnica della spettroscopia di massa con acceleratore su tre campioni del papiro — ci ha detto Mandò — ci fa dire che al 95% il reperto può essere datato tra il 40 avanti Cristo e il 130 dopo Cristo: al 68% l'intervallo di probabilità è compreso tra il 15 e l'85 dopo Cristo». Anche sulla base di questi risultati, ha confessato Gallazzi, «abbiamo spostato, di circa un secolo la datazione del testo, rispetto a una prima ipotesi del 1998. Dal I secolo avanti Cristo al primo dopo Cristo». Non l'originale dunque del II libro della Geografia di Artemidoro, ma una sua copia fatta su un papiro che secondo la famosa teoria delle tre vite, ribadita ieri sera da Settis, fu abbandonato per un errore, quindi servì in un primo tempo come repertorio con disegni di animali reali o fantastici in una bottega artigiana, quindi fu usato per disegni anatomici. Le analisi chimiche hanno riguardato anche l'inchiostro. «Il papiro di Artemidoro — ha detto Mandò — è stato scritto con inchiostro vegetale, a base puramente organica, non con inchiostro metallo-gallico, basato cioè su sali metallici, come si usava nell'Ottocento». Una affermazione che escluderebbe totalmente l'ipotesi avanzata da Canfora secondo cui il papiro potrebbe essere opera di un falsario greco vissuto nell'Ottocento, Costantino Simonidis.
E la prova di polvere di grafite che un anno fa trapelò da un laboratorio di Brescia? «Si tratta di cristallizzazioni di sostanze vegetali avvenute successivamente ». Dall'analisi chimico fisica a quella dello stile, i curatori del volume non hanno trascurato nessun aspetto, tanto da chiedere il contributo del filologo della Sapienza di Roma, Albio Cesare Cassio, convinto assertore dell'autenticità ma anche del fatto che Artemidoro, soprattutto nelle prime due colonne del testo, una sorta di proemio che canta le lodi della geografia, «era scrittore a tratti involuto, diremmo oggi barocco, raro esempio di prosa "asiana". Ma di qui a sostenere, come fa Luciano Bossina, che si tratti di un linguaggio teologico risalente a epoche bizantine ce ne corre. L'errore che fanno i sostenitori dell'ipotesi che il papiro sia un falso è di non considerare quanto sia grande il patrimonio perso della cultura antica, sicché quasi ogni papiro scoperto ci propone una parola che non conoscevano o ci fa retrodatare di secoli l'uso di un altro termine».
Questo è l'argomento usato contro chi come Stefano Micunco ha sostenuto che alcune parole, quali
kenalopex, anatra con volpe, fossero state attinte dal falsario Simonidis addirittura da repertori del 1600. «Considero Canfora — ci confida Cassio — uno studioso di intelligenza e competenze superiori alla media, ma questa volta lui e i suoi allievi si sono innamorati di una ipotesi sbagliata».
Il problema, incalza Settis, «non è l'interpretazione di Canfora, ma i problemi aperti da questo papiro che nemmeno l'edizione critica riesce a risolvere appieno. Qual è per esempio la funzione di quella cartina in cui si vedono strade, fiumi e vignette ma senza precise indicazioni toponomastiche?». Forse si tratta di una parte della Spagna descritta nelle colonne quarta e quinta del testo, ma non ne siamo sicuri.
E l'obiezione di fondo secondo cui il papiro di Artemidoro conterrebbe una sintesi fatta da Marciano, poi ripresa da Stefano di Bisanzio, quindi nel decimo secolo da Costantino Porfirogenito, quindi edita e corretta nel 1800 da August Meinecke? Rivelerebbe insomma tutti questi passaggi e sarebbe perciò un falso.
Secondo Settis, «questa obiezione non sta in piedi. Canfora e i suoi allievi hanno in realtà rovesciato i termini del problema e hanno creduto così di ricostruire il falso». Quanto alle «congetture» apportate da Meinecke, «a mio avviso — aggiunge Cassio — ci restituiscono l'Artemidoro autentico».
Insomma in questi due giorni berlinesi si parla molto di filologia, chimica, fisica, papirologia. Al centro della discussione Artemidoro, ma anche Luciano Canfora, che non si sa perché non sia stato invitato. Avrebbe potuto rispondere alle obiezioni a lui mosse fra le pagine 56 e 60 dell'edizione critica pubblicata dalla Led. Compresa questa: «Se si guardano i disegni al microscopio, si vede agevolmente che essi furono tracciati su un supporto perfettamente integro, giacché non ci sono sbavature di inchiostro nei fori, né segni stesi su fibre scomposte, né tratti interrotti prima dei buchi, che sono indizi di contraffazione. Non è pensabile che un rotolo di 3 metri senza la minima lesione possa essere venuto nelle mani di un falsario, il quale lo avrebbe imbrattato di disegni, per poi farlo a pezzi e nasconderlo dentro un ammasso di papier maché da vendere per pochi soldi a Saiyd Khashaba Pasha».
Presentata l'edizione critica. Salvatore Settis: escluso che sia dell'800. I dubbi filologici
«Artemidoro, il papiro non è un falso», Gli esperti a Berlino: l'analisi chimica lo fa risalire al I secolo dopo Cristo
di Dino Messina
BERLINO — Il papiro di Artemidoro campeggia da ieri in una sala dell'Altes Museum di Berlino, circondato da altri antichi reperti ellenistici ed egizi. E con l'apertura della mostra viene esibita anche un'edizione critica senza eguali, considerata dai curatori, Claudio Gallazzi, antichista dell'università di Milano, Barbel Kramer, dell'università di Treviri, e Salvatore Settis, storico dell'arte antica e direttore della Normale di Pisa, la «prova del nove» che quella sottile e preziosa pergamena acquisita dalla Fondazione per l'arte della Compagnia di San Paolo per 2.750.000 euro sia autentica. O meglio, proprio di Artemidoro non è, ma è una copia che risale «almeno al primo secolo dopo Cristo».
In realtà di argomentazioni per contestare l'ipotesi del falso sostenuta da Luciano Canfora ne sono state portate parecchie. Lo ha fatto ieri sera Settis durante una lectio magistralis, continueranno oggi gli altri studiosi italiani e stranieri in un convegno interdisciplinare.
Innanzitutto per la prima volta verranno resi noti dal fisico Pier Andrea Mandò, del Labec, il Laboratorio per i beni culturali di Firenze, le conclusioni delle analisi chimico fisiche condotte sul papiro e sull'inchiostro. «Le analisi condotte con il carbonio 14, utilizzando la tecnica della spettroscopia di massa con acceleratore su tre campioni del papiro — ci ha detto Mandò — ci fa dire che al 95% il reperto può essere datato tra il 40 avanti Cristo e il 130 dopo Cristo: al 68% l'intervallo di probabilità è compreso tra il 15 e l'85 dopo Cristo». Anche sulla base di questi risultati, ha confessato Gallazzi, «abbiamo spostato, di circa un secolo la datazione del testo, rispetto a una prima ipotesi del 1998. Dal I secolo avanti Cristo al primo dopo Cristo». Non l'originale dunque del II libro della Geografia di Artemidoro, ma una sua copia fatta su un papiro che secondo la famosa teoria delle tre vite, ribadita ieri sera da Settis, fu abbandonato per un errore, quindi servì in un primo tempo come repertorio con disegni di animali reali o fantastici in una bottega artigiana, quindi fu usato per disegni anatomici. Le analisi chimiche hanno riguardato anche l'inchiostro. «Il papiro di Artemidoro — ha detto Mandò — è stato scritto con inchiostro vegetale, a base puramente organica, non con inchiostro metallo-gallico, basato cioè su sali metallici, come si usava nell'Ottocento». Una affermazione che escluderebbe totalmente l'ipotesi avanzata da Canfora secondo cui il papiro potrebbe essere opera di un falsario greco vissuto nell'Ottocento, Costantino Simonidis.
E la prova di polvere di grafite che un anno fa trapelò da un laboratorio di Brescia? «Si tratta di cristallizzazioni di sostanze vegetali avvenute successivamente ». Dall'analisi chimico fisica a quella dello stile, i curatori del volume non hanno trascurato nessun aspetto, tanto da chiedere il contributo del filologo della Sapienza di Roma, Albio Cesare Cassio, convinto assertore dell'autenticità ma anche del fatto che Artemidoro, soprattutto nelle prime due colonne del testo, una sorta di proemio che canta le lodi della geografia, «era scrittore a tratti involuto, diremmo oggi barocco, raro esempio di prosa "asiana". Ma di qui a sostenere, come fa Luciano Bossina, che si tratti di un linguaggio teologico risalente a epoche bizantine ce ne corre. L'errore che fanno i sostenitori dell'ipotesi che il papiro sia un falso è di non considerare quanto sia grande il patrimonio perso della cultura antica, sicché quasi ogni papiro scoperto ci propone una parola che non conoscevano o ci fa retrodatare di secoli l'uso di un altro termine».
Questo è l'argomento usato contro chi come Stefano Micunco ha sostenuto che alcune parole, quali
kenalopex, anatra con volpe, fossero state attinte dal falsario Simonidis addirittura da repertori del 1600. «Considero Canfora — ci confida Cassio — uno studioso di intelligenza e competenze superiori alla media, ma questa volta lui e i suoi allievi si sono innamorati di una ipotesi sbagliata».
Il problema, incalza Settis, «non è l'interpretazione di Canfora, ma i problemi aperti da questo papiro che nemmeno l'edizione critica riesce a risolvere appieno. Qual è per esempio la funzione di quella cartina in cui si vedono strade, fiumi e vignette ma senza precise indicazioni toponomastiche?». Forse si tratta di una parte della Spagna descritta nelle colonne quarta e quinta del testo, ma non ne siamo sicuri.
E l'obiezione di fondo secondo cui il papiro di Artemidoro conterrebbe una sintesi fatta da Marciano, poi ripresa da Stefano di Bisanzio, quindi nel decimo secolo da Costantino Porfirogenito, quindi edita e corretta nel 1800 da August Meinecke? Rivelerebbe insomma tutti questi passaggi e sarebbe perciò un falso.
Secondo Settis, «questa obiezione non sta in piedi. Canfora e i suoi allievi hanno in realtà rovesciato i termini del problema e hanno creduto così di ricostruire il falso». Quanto alle «congetture» apportate da Meinecke, «a mio avviso — aggiunge Cassio — ci restituiscono l'Artemidoro autentico».
Insomma in questi due giorni berlinesi si parla molto di filologia, chimica, fisica, papirologia. Al centro della discussione Artemidoro, ma anche Luciano Canfora, che non si sa perché non sia stato invitato. Avrebbe potuto rispondere alle obiezioni a lui mosse fra le pagine 56 e 60 dell'edizione critica pubblicata dalla Led. Compresa questa: «Se si guardano i disegni al microscopio, si vede agevolmente che essi furono tracciati su un supporto perfettamente integro, giacché non ci sono sbavature di inchiostro nei fori, né segni stesi su fibre scomposte, né tratti interrotti prima dei buchi, che sono indizi di contraffazione. Non è pensabile che un rotolo di 3 metri senza la minima lesione possa essere venuto nelle mani di un falsario, il quale lo avrebbe imbrattato di disegni, per poi farlo a pezzi e nasconderlo dentro un ammasso di papier maché da vendere per pochi soldi a Saiyd Khashaba Pasha».