Islam e cristianesimo, sfida nell’Africa pagana
Un saggio di Gianpaolo Romanato ricostruisce la vita del missionario che sarà canonizzato il 5 ottobre
Pubblichiamo la prima parte della postfazione di Sergio Romano al volume di Gianpaolo Romanato «L’Africa Nera fra Cristianesimo e Islam, l’esperienza di Daniele Comboni 1831-1881», edito da Corbaccio (pagine 432, 24,50). Il religioso sarà canonizzato il prossimo 5 ottobre. La «corsa all'Africa» delle potenze europee negli ultimi decenni dell'Ottocento offrì alle Chiese cristiane e soprattutto alla Chiesa cattolica una grande occasione. La «Sacra Congregatio de Propaganda Fide», costituita da Gregorio XV nel 1622, dovette attrezzarsi per un nuovo compito in un continente mal conosciuto, privo di vie di comunicazione e abitato da popolazioni selvagge. Ma il suo lavoro fu straordinariamente facilitato dall'entusiasmo con cui una larga parte del clero e della opinione pubblica cattolica risposero alla sfida. Nacquero in quegli anni nuove congregazioni; istituti per la formazione dei missionari, iniziative per la raccolta del denaro necessario, e si riunì con straordinaria rapidità una sorta di «corpo di spedizione» multinazionale costituito da francescani, domenicani, gesuiti, salesiani, a cui si unirono, verso la fine degli anni Sessanta, i «pères blancs» della Société des missionaires d'Afrique e le Soeurs missionaires de Notre Dame d'Afrique. Vi furono quindi in Africa durante quegli anni molte conquiste: quella economica dei mercanti e degli avventurieri, quella geografica e scientifica degli esploratori, quella militare e politica delle potenze europee, quella religiosa e spirituale delle Chiese cristiane. Tale coincidenza ha favorito la nascita di una convinzione, molto diffusa soprattutto fra gli storici anticolonialisti, secondo cui le Chiese trassero vantaggio dall’imperialismo delle potenze coloniali e ne furono complici. Il libro di Gianpaolo Romanato allarga il quadro con alcuni nuovi elementi e corregge questa vulgata. Il primo di questi elementi è temporale. L'interesse della Chiesa cattolica per l'Africa precede di alcuni decenni la grande spartizione coloniale della seconda metà del secolo. La causa del grande fervore religioso per la evangelizzazione del continente non è il taglio dell’istmo di Suez nel 1869, la ricerca delle fonti del Nilo o la conferenza di Berlino del 1884-1885. La scintilla scocca nel momento in cui un imperialismo «indigeno» sconvolge improvvisamente gli equilibri del continente. Lo Stato imperiale è l'Egitto, provincia autonoma dell’Impero ottomano. Il governatore della provincia, ricorda Romanato, è Mohammed Ali, «un ... ufficiale ottomano nato nella città macedone di Kavala, oggi in Grecia, e inviato in Egitto dal governo di Costantinopoli» a combattere contro la spedizione francese del generale Bonaparte. Ma negli anni seguenti Mohammed Ali si emancipa dal governo imperiale, trasforma il potere delegato in potere personale, dimostra di essere un coraggioso modernizzatore e crea rapidamente, con l'aiuto di tecnici e professionisti stranieri, una pubblica amministrazione, un esercito, una flotta. Ormai pressoché indipendente da Costantinopoli, l'Egitto ha la sua politica estera e aspira a diventare la potenza egemone della regione. Estende la sua influenza alla penisola araba, si spinge sino ai luoghi Santi musulmani, controlla le due sponde del mar Rosso, cerca inutilmente di impadronirsi della Siria e lancia una spedizione militare lungo il Nilo alla conquista della Nubia, del Sennar e del Kordofan, vale a dire delle regioni che formano oggi la Repubblica islamica del Sudan. Il colonialismo egiziano e ottomano ebbe l'effetto di aprire le porte di una parte dell'Africa che aveva vissuto, sino ad allora, in un grande cono d'ombra. È questa l'occasione che la Chiesa di Roma decise di cogliere, è attraverso questo varco che si spinsero negli anni seguenti, insieme ai mercanti e ai diplomatici, i missionari della Chiesa di Roma, decisi a conquistare spiritualmente i popoli dell’Africa centrale. Dopo avere esitato fra due diverse strategie - una missione in Africa occidentale, fra il Kordofan e il Golfo di Guinea, o in Africa centrorientale, nelle terre bagnate dal Nilo - la Santa Sede scelse la seconda. Romanato racconta con quale inabituale rapidità la Congregazione de Propaganda Fide decise la creazione di un Vicariato africano che avrebbe avuto sede a Khartoum. Per qualche anno, fino alla sconfitta degli Asburgo nelle guerre del 1859 e del 1866, le missioni cattoliche poterono contare sulla protezione dell'Impero austriaco. Ma fu necessario anzitutto ottenere le autorizzazioni e la benevolenza del governo egiziano. Fedele alla sua politica modernizzatrice e filoeuropea, Mohammed Ali favorì l'insediamento dei missionari cattolici in Sudan. Pose tuttavia una condizione: pretese che si astenessero da qualsiasi forma di proselitismo fra i musulmani. Avrebbero avuto una sorta di «opzione» spirituale sulle popolazioni animiste del Sudan meridionale, ma avrebbero dovuto rispettare quelle convertite all’islam nelle generazioni precedenti. Comincia così, all'insegna di una potenziale contraddizione, la storia del Vicariato di Khartoum e degli uomini che dedicarono la loro vita alla propagazione della fede nelle grandi regioni attraversate dal Nilo Azzurro e dal Nilo Bianco, fra cui, in particolare, Daniele Comboni, protagonista di questo libro. Il Drang nach Süden dell’imperialismo egiziano preparò la scena su cui due grandi monoteismi, da quel momento, si sarebbero contesi le anime dell’Africa pagana. In un periodo in cui i trionfanti imperi europei si spartirono il continente africano, la religione del decadente Impero ottomano contrastò efficacemente la diffusione del cristianesimo.