La Repubblica 8.4.08
"Poesia e ritratto nel Rinascimento" di Lina Bolzoni
Quell’amore allo specchio
di Benedetta Craveri
Era stato Petrarca a riaprire il dibattito sui legami tra pittura e scrittura dedicando due sonetti al ritratto di Laura eseguito da Simone Martini
Si racconta che nel 1560 la contessa Caterina Mandella, nuora di Baldassarre Castiglione, scoprì per caso che «un grande e bellissimo specchio», che decorava la parete di una stanza della casa d´Urbino dove un tempo aveva abitato suo suocero, era dotato di un congegno segreto. Esso si apriva a comando e rivelava, custodito nell´incasso del supporto di legno della cornice, «un ritratto di bellissima e principalissima signora, di mano di Rafael Sanzio d´Urbino». Nel nascondiglio erano conservati ugualmente due sonetti composti quarantatré anni prima da Castiglione. È possibile che il ritratto di Raffaello fosse quello di Elisabetta Gonzaga, duchessa d´Urbino, oggi conservato agli Uffizi, e che fosse lei l´oggetto di quell´«amore troppo alto e troppo sublime» che l´autore de Il Cortegiano era costretto a celebrare nel più profondo segreto.
Ben lungi dall´essere solo un semplice accorgimento pratico, l´espediente del nascondiglio dietro lo specchio obbediva a una precisa simbologia amorosa di ascendenza platonica: riflesso nello specchio, il volto dell´amante veniva a sovrapporsi all´effigie dell´amata e le due immagini si congiungevano così in una simbiosi segreta. Ai versi custoditi all´interno del mistico scrigno spettava invece il compito di dar voce al dialogo, altrimenti muto, delle immagini.
È proprio la lettura di questi celebri "Sonetti dello specchio" a costituire il momento culminante del viaggio dotto e appassionante di cui Lina Bolzoni ci illustra l´itinerario nel suo Poesia e Ritratto nel Rinascimento (testi a cura di Federica Pich, Laterza, pagg. 288, euro 38). I due componimenti di Castiglione condensano, infatti, i principali temi di una lunga riflessione poetica incentrata sul rapporto tra la parola e l´immagine, tra l´arte e la natura.
Era stato Francesco Petrarca, un secolo e mezzo prima, a riaprire il dibattito, che già aveva appassionato gli antichi, sulle diverse potenzialità espressive proprie alla scrittura e alla pittura e di cui Orazio aveva proposto la sintesi con la sua celebre formula Ut pictura poesis. Con i due sonetti del Canzoniere, composti tra 1338 e il 1343, in cui Petrarca evocava il ritratto di Laura, da lui stesso commissionato a Simone Martini e purtroppo andato smarrito, aveva infatti inizio una tradizione poetica che, scrive la Bolzoni, prendeva spunto dall´immagine pittorica «per variare e celebrare il lavoro della scrittura letteraria, per trarne materiale che permette di declinare in modo nuovo i topoi tradizionali del linguaggio amoroso». Una tradizione di cui la studiosa, che ha fatto del rapporto tra memoria, letteratura e immagine uno degli assi portanti della sua ricerca, ricostruisce oggi, in questo bel saggio, i momenti più significativi.
Nel primo sonetto Petrarca celebra la natura divina dell´ispirazione del pittore che è salito in cielo per contemplare l´immagine spirituale di Laura, infinitamente più bella della sua incarnazione terrestre: «Ma certo il mio Simon fu in paradiso/ onde questa gentil donna si parte:/ivi la vide, et la ritrasse in carte/ per far fede qua giù del suo bel viso». Quel «qua giù» annuncia, tuttavia, i limiti dell´impresa pittorica e la «incolmabile distanza tra il cielo e la terra», tra la visione della bellezza perfetta e originaria ideata da Dio e la sua impossibile rappresentazione. Come ci dice il secondo sonetto, la straordinaria capacità illusionistica del ritratto di Simone Martini - «benignamente assai par che m´ascolte,/ se risponder savesse a´ detti miei» - rende ancora più acuto il dolore per la perdita della donna amata e lascia intendere, al tempo stesso, come solo la poesia abbia la facoltà di dare voce a questa sofferenza e di commemorarla all´infinito.
Il progressivo diffondersi della pratica del ritratto in strati sempre più ampi della società doveva favorire, nel corso dei due secoli successivi, il confronto tra poesia e pittura, evidenziandone di volta in volta affinità e divergenze. Gli esempi propostici da Lina Bolzoni non potrebbero essere più suggestivi: sono qui Giovanni Della Casa e Tiziano, Castiglione e Raffaello, Niccolò da Correggio e Leonardo, Serafino Aquilano e Pinturicchio, Gian Battista Marino e Caravaggio a dialogare insieme a partire da un modello comune.
Pronta a celebrare la suggestione di ritratti di cui ancora oggi ci è dato di ammirare lo splendore, la poesia trovava un´alleata nella pittura, se ne serviva come fonte di immagini, di metafore e di ispirazione erotica, o ne denunciava le pericolose illusioni, ma non transigeva sulla sua superiorità. Se, come aveva teorizzato Leon Battista Alberti, la pittura possedeva la capacità di «far vedere ai vivi, molti secoli dopo, coloro che sono morti», garantendone così la memoria, la poesia sola si arrogava la facoltà di dare voce alle immagini e penetrare nell´interiorità delle persone ritratte.
A sua volta la pittura rispondeva alla sfida tentando di appropriarsi della parola poetica, ritraendo con sempre maggiore frequenza delle persone con in mano delle lettere o dei libri, o inserendo la scrittura all´interno stesso del quadro. È il caso del ritratto della incantevole Giovanna degli Albizzi Tornabuoni, eseguito da Domenico Ghirlandaio nel 1488, dove spicca sullo sfondo la scritta: «Arte, se potessi rappresentare anche i costumi e l´animo, non esisterebbe in terra quadro più bello». Ed è ancor più il caso dello straordinario ritratto di Laura Battiferri, dipinto intorno al 1560 da Bronzino, dove i rinvii tra pittura e poesia si fanno vertiginosi. Rappresentata di profilo, la poetessa schiva lo sguardo dello spettatore ma tiene invece, con ambo le mani, un libro bene aperto su cui è possibile leggere due sonetti trascritti dal Canzoniere di Petrarca, che diventano parola e anima del ritratto. Il quadro stesso, inoltre, aveva dato luogo a uno scambio di versi tra il Bronzino e la sua modella circa la possibilità di esternare l´interiorità in forme visibili.
Come scrive la Bolzoni, «la parola poetica penetra così nel cuore dell´immagine (...) e crea un complesso circuito di messaggi, ricco di allusioni e di sottintesi, che tuttora mette alla prova le capacità interpretative dei critici».
Per consentire, invece, ai lettori di seguirla più agevolmente nella sua esplorazione erudita, la studiosa ha provveduto a fornire loro, in appendice al suo saggio, l´insieme dei testi a cui ella fa riferimento, affidandoli alle cure di Federica Pich.
Sul filo di questa doppia lettura e delle immagini pittoriche che l´accompagnano ci troveremo al cuore di una civiltà per cui il mito del Parnaso ed il concerto armonioso delle Muse non erano ancora ridotti a stereotipi letterari, ma rispondevano a una concezione interdisciplinare delle arti e dei saperi dagli esiti meravigliosamente fecondi.
"Poesia e ritratto nel Rinascimento" di Lina Bolzoni
Quell’amore allo specchio
di Benedetta Craveri
Era stato Petrarca a riaprire il dibattito sui legami tra pittura e scrittura dedicando due sonetti al ritratto di Laura eseguito da Simone Martini
Si racconta che nel 1560 la contessa Caterina Mandella, nuora di Baldassarre Castiglione, scoprì per caso che «un grande e bellissimo specchio», che decorava la parete di una stanza della casa d´Urbino dove un tempo aveva abitato suo suocero, era dotato di un congegno segreto. Esso si apriva a comando e rivelava, custodito nell´incasso del supporto di legno della cornice, «un ritratto di bellissima e principalissima signora, di mano di Rafael Sanzio d´Urbino». Nel nascondiglio erano conservati ugualmente due sonetti composti quarantatré anni prima da Castiglione. È possibile che il ritratto di Raffaello fosse quello di Elisabetta Gonzaga, duchessa d´Urbino, oggi conservato agli Uffizi, e che fosse lei l´oggetto di quell´«amore troppo alto e troppo sublime» che l´autore de Il Cortegiano era costretto a celebrare nel più profondo segreto.
Ben lungi dall´essere solo un semplice accorgimento pratico, l´espediente del nascondiglio dietro lo specchio obbediva a una precisa simbologia amorosa di ascendenza platonica: riflesso nello specchio, il volto dell´amante veniva a sovrapporsi all´effigie dell´amata e le due immagini si congiungevano così in una simbiosi segreta. Ai versi custoditi all´interno del mistico scrigno spettava invece il compito di dar voce al dialogo, altrimenti muto, delle immagini.
È proprio la lettura di questi celebri "Sonetti dello specchio" a costituire il momento culminante del viaggio dotto e appassionante di cui Lina Bolzoni ci illustra l´itinerario nel suo Poesia e Ritratto nel Rinascimento (testi a cura di Federica Pich, Laterza, pagg. 288, euro 38). I due componimenti di Castiglione condensano, infatti, i principali temi di una lunga riflessione poetica incentrata sul rapporto tra la parola e l´immagine, tra l´arte e la natura.
Era stato Francesco Petrarca, un secolo e mezzo prima, a riaprire il dibattito, che già aveva appassionato gli antichi, sulle diverse potenzialità espressive proprie alla scrittura e alla pittura e di cui Orazio aveva proposto la sintesi con la sua celebre formula Ut pictura poesis. Con i due sonetti del Canzoniere, composti tra 1338 e il 1343, in cui Petrarca evocava il ritratto di Laura, da lui stesso commissionato a Simone Martini e purtroppo andato smarrito, aveva infatti inizio una tradizione poetica che, scrive la Bolzoni, prendeva spunto dall´immagine pittorica «per variare e celebrare il lavoro della scrittura letteraria, per trarne materiale che permette di declinare in modo nuovo i topoi tradizionali del linguaggio amoroso». Una tradizione di cui la studiosa, che ha fatto del rapporto tra memoria, letteratura e immagine uno degli assi portanti della sua ricerca, ricostruisce oggi, in questo bel saggio, i momenti più significativi.
Nel primo sonetto Petrarca celebra la natura divina dell´ispirazione del pittore che è salito in cielo per contemplare l´immagine spirituale di Laura, infinitamente più bella della sua incarnazione terrestre: «Ma certo il mio Simon fu in paradiso/ onde questa gentil donna si parte:/ivi la vide, et la ritrasse in carte/ per far fede qua giù del suo bel viso». Quel «qua giù» annuncia, tuttavia, i limiti dell´impresa pittorica e la «incolmabile distanza tra il cielo e la terra», tra la visione della bellezza perfetta e originaria ideata da Dio e la sua impossibile rappresentazione. Come ci dice il secondo sonetto, la straordinaria capacità illusionistica del ritratto di Simone Martini - «benignamente assai par che m´ascolte,/ se risponder savesse a´ detti miei» - rende ancora più acuto il dolore per la perdita della donna amata e lascia intendere, al tempo stesso, come solo la poesia abbia la facoltà di dare voce a questa sofferenza e di commemorarla all´infinito.
Il progressivo diffondersi della pratica del ritratto in strati sempre più ampi della società doveva favorire, nel corso dei due secoli successivi, il confronto tra poesia e pittura, evidenziandone di volta in volta affinità e divergenze. Gli esempi propostici da Lina Bolzoni non potrebbero essere più suggestivi: sono qui Giovanni Della Casa e Tiziano, Castiglione e Raffaello, Niccolò da Correggio e Leonardo, Serafino Aquilano e Pinturicchio, Gian Battista Marino e Caravaggio a dialogare insieme a partire da un modello comune.
Pronta a celebrare la suggestione di ritratti di cui ancora oggi ci è dato di ammirare lo splendore, la poesia trovava un´alleata nella pittura, se ne serviva come fonte di immagini, di metafore e di ispirazione erotica, o ne denunciava le pericolose illusioni, ma non transigeva sulla sua superiorità. Se, come aveva teorizzato Leon Battista Alberti, la pittura possedeva la capacità di «far vedere ai vivi, molti secoli dopo, coloro che sono morti», garantendone così la memoria, la poesia sola si arrogava la facoltà di dare voce alle immagini e penetrare nell´interiorità delle persone ritratte.
A sua volta la pittura rispondeva alla sfida tentando di appropriarsi della parola poetica, ritraendo con sempre maggiore frequenza delle persone con in mano delle lettere o dei libri, o inserendo la scrittura all´interno stesso del quadro. È il caso del ritratto della incantevole Giovanna degli Albizzi Tornabuoni, eseguito da Domenico Ghirlandaio nel 1488, dove spicca sullo sfondo la scritta: «Arte, se potessi rappresentare anche i costumi e l´animo, non esisterebbe in terra quadro più bello». Ed è ancor più il caso dello straordinario ritratto di Laura Battiferri, dipinto intorno al 1560 da Bronzino, dove i rinvii tra pittura e poesia si fanno vertiginosi. Rappresentata di profilo, la poetessa schiva lo sguardo dello spettatore ma tiene invece, con ambo le mani, un libro bene aperto su cui è possibile leggere due sonetti trascritti dal Canzoniere di Petrarca, che diventano parola e anima del ritratto. Il quadro stesso, inoltre, aveva dato luogo a uno scambio di versi tra il Bronzino e la sua modella circa la possibilità di esternare l´interiorità in forme visibili.
Come scrive la Bolzoni, «la parola poetica penetra così nel cuore dell´immagine (...) e crea un complesso circuito di messaggi, ricco di allusioni e di sottintesi, che tuttora mette alla prova le capacità interpretative dei critici».
Per consentire, invece, ai lettori di seguirla più agevolmente nella sua esplorazione erudita, la studiosa ha provveduto a fornire loro, in appendice al suo saggio, l´insieme dei testi a cui ella fa riferimento, affidandoli alle cure di Federica Pich.
Sul filo di questa doppia lettura e delle immagini pittoriche che l´accompagnano ci troveremo al cuore di una civiltà per cui il mito del Parnaso ed il concerto armonioso delle Muse non erano ancora ridotti a stereotipi letterari, ma rispondevano a una concezione interdisciplinare delle arti e dei saperi dagli esiti meravigliosamente fecondi.