sabato 12 aprile 2008

La bellezza è libertà: e Heidegger annunciò la scoperta di Schiller

Corriere della Sera 12.4.08
Documenti Recuperate le prime lezioni del filosofo sull'arte
La bellezza è libertà: e Heidegger annunciò la scoperta di Schiller
di Armando Torno

Heidegger riserva continuamente sorprese. Una sua ricerca, un viaggio, un corso suggeriscono sempre idee utili alla cultura contemporanea. Così è di un seminario tenuto a Friburgo nel semestre invernale 1936-37, dedicato alle Lettere sull'educazione estetica dell'uomo di Schiller, del quale è andato perduto il testo originale e restano soltanto frammentarie annotazioni. Le pagine non figurano nell'edizione tedesca in corso delle opere del filosofo, ma alcuni partecipanti presero appunti. Grazie a uno di essi, il medico attempato Wilhelm Hallwachs (era nato nel 1872 e seguiva il maestro dal 1930), è possibile ricostruire i dodici incontri, tra il 4 novembre 1936 e il 17 febbraio 1937.
Che importanza può avere un seminario su Schiller del pensatore tedesco? Diremo innanzitutto che le pagine, nate in un corso per matricole, affrontano temi di grande portata e riflettono una scelta esistenziale, giacché in quel tempo Heidegger resta appartato. C'è tuttavia qualcosa di più: come ben nota il curatore dell'edizione italiana, Adriano Ardovino, l'Introduzione all'estetica (uscita ora da Carocci) è un documento prezioso in cui si riflette «la definitiva centralità dell'arte all'interno di un pensiero che valorizza sempre più la storicità dell'esistenza umana». La posta in gioco è alta: Heidegger mostra — utilizziamo le conclusioni presenti nell'edizione italiana — come le Lettere di Schiller rappresentino uno dei tentativi più profondi per ritrovare nella riappropriazione estetica della natura sensibile la storia della libertà umana.
Il filosofo si lasciava alle spalle non poche questioni e alla fine del 1935 in una conferenza a Friburgo, ripetuta a Zurigo all'inizio del 1936, esponeva per la prima volta le sue tesi sull'arte, sulle quali si baserà l'opera definitiva L'origine dell'opera d'arte (tradotta dall'editore Marinotti). Quel 1936 fu un anno di studi, di domande, di tristezze. Schiller è anche un rifugio. Cosa racchiudono veramente queste lezioni?
Cominciamo a rispondere, ricordando che nella primavera — sempre del 1936 — il filosofo è invitato a Roma per dieci giorni. È la prima volta che vede il nostro Paese e ne visita la capitale. Il 2 aprile tiene la conferenza Hölderlin e l'essenza della poesia all'Istituto italiano di studi germanici, dove lo accoglie un pubblico entusiasta; l'8 legge alla Biblioteca Hertziana un testo dal titolo L'Europa e la filosofia tedesca. Rivede, tra i molti, il suo allievo Karl Löwith che, fuggito dal Reich, vive a Roma grazie a una borsa di studio ottenuta per interessamento dello stesso Heidegger. Non passerà molto tempo e dovrà riparare in Giappone.
Tornato in patria, ha uno scambio di corrispondenze e di testi con Jaspers. Emergono le difficoltà di entrambi: uno si sente emarginato, l'altro è preoccupato («...mi si blocca la parola! Nell'operosità silenziosa, però, finché è concesso, possiamo trovarci»). Non è difficile, d'altra parte, per Jaspers prevedere tempi difficili: avendo sposato un'ebrea, nel 1937 gli verrà interdetta la possibilità di insegnare e dal 1938 ogni pubblicazione. Anche Heidegger non sa più cosa siano i giorni di gloria: il 14 maggio il partito ordina accertamenti sulla sua attività, il 29 le informazioni raccolte sono inoltrate al Sicherheitsdienst (il servizio di sicurezza del Reich) e viene decisa la sorveglianza del filosofo.
In quei mesi, tuttavia, l'autore di Essere e tempo è come se guardasse altrove; abbandona sempre più quel che gli sembra superfluo e si immerge nelle ricerche, elaborando testi per i corsi. Tiene quello estivo del 1936 sul saggio dedicato da Schelling alla libertà, ed esercitazioni sulla Critica del giudizio di Kant, né dimentica Hölderlin e Nietzsche (pensa in quei giorni alle lezioni su «La volontà di potenza come arte»), mentre medita qualcosa per il Congresso internazionale su Cartesio del 1937 a Parigi, città dove si sarebbe recato nel-l'estate del 1935 per predisporre la strategia dell'evento (non ci andrà, la delegazione tedesca verrà guidata da Hans Heyse). Poi le lezioni su Schiller. Sembrano l'ultima fuga in una dimensione dove abita un'altra luce. Il 20 gennaio 1937 proferisce al seminario la frase: «I popoli si destano al loro inizio con la poesia e con la fuoruscita da essa giungono alla fine»; e sottolinea: «Nel colloquio, noi viviamo nel linguaggio ». Il 10 febbraio, quasi alla conclusione, afferma: «La forma è tutto. L'apparenza è l'essenza dell'arte. La bellezza è libertà del fenomeno. (Lo stato estetico è la prima forma di libertà, ossia ricettività spontanea). Libertà e forma devono essere lo stesso. Che significa libertà? Ciò che si determina da se stesso». Heidegger aveva dunque trovato nella bellezza la libertà, nella poesia il battito del cuore delle civiltà. Per questo poteva ripetere nella lezione del 2 dicembre 1936 con l'amato Schiller: «Le nature volgari pagano con ciò che fanno, quelle nobili con ciò che sono!».