Corriere della Sera 14.4.08
Dialoghi Lo scienziato italiano e il fondatore della «grammatica generativa» esaminano i nuovi sviluppi delle discipline cognitive
Il cervello non è relativista
Pensiero e genetica, incontro tra Piattelli Palmarini e Noam Chomsky «Esistono componenti biologiche innate nella mente e nel linguaggio»
di Massimo Piattelli Palmarini
Piattelli Palmarini insegna Scienze cognitive all'Università dell'Arizona Nato nel 1928, Noam Chomsky è professore emerito di Linguistica al Mit
A livello profondo le strutture logiche mostrano una fondamentale semplicità
Sono appena usciti, negli Stati Uniti, due eccellenti dvd destinati ai corsi universitari, a cura del noto psicologo della Harvard University Howard Gardner. Uno è intitolato La mente di Noam Chomsky, l'altro Noam Chomsky: linguaggio e pensiero (www.classroommedia.
com). Osannato da alcuni come il Galileo delle scienze cognitive e il Copernico della linguistica, detestato da altri come un arido riduzionista delle squisite sottigliezze del linguaggio e della mente, una recente ricerca statistica ha rivelato che Chomsky, oggi ottantenne e sempre attivissimo, è l'intellettuale vivente più citato al mondo. Inoltre è stato il più noto e uno dei più inflessibili avversari della guerra in Vietnam, militanza che gli ha anche procurato brevi detenzioni nelle patrie galere. Le sue posizioni politiche di matrice anarchica sono ben note e non mi ci soffermerò qui. La lista di autori, di articoli e di libri anti chomskiani sarebbe molto lunga, ma bastino due recenti esempi: nel 2006, la psicologa inglese Margaret Boden pretendeva di smascherare «dieci miti su Chomsky». Dello stesso tenore, e con simili fraintendimenti ed errori, è un articolo appena pubblicato su Libero (martedì 1 aprile) a firma Lucio d'Arcangelo, intitolato «Vacilla il mito del linguista più scientifico del mondo».
Chomsky ha pazientemente e molto dettagliatamente, nel corso di decenni, ribattuto alle critiche e messo in evidenza gli errori e i fraintendimenti. Prima di dargli la parola in un'intervista in esclusiva sulle scienze cognitive, vorrei citare solo alcuni dati di fatto. Da molti anni leggo i lavori di grammatica generativa (così si chiama esattamente il filone di linguistica inaugurato da Chomsky intorno alla metà degli Anni Cinquanta), ho a suo tempo seguito dieci interi corsi semestrali di Chomsky al Mit e circa altri dieci di linguisti suoi colleghi e collaboratori. Ciò nonostante, non ho problemi ad ammettere che molti dettagli tecnici ancora mi sfuggono.
Il messaggio, qui, è che si tratta di una scienza immensamente complessa e profonda e che ogni ritocco a un'ipotesi, a una teoria, riverbera con inevitabili ritocchi su molte altre ipotesi e teorie e su dati già noti per varie lingue. Sbalordisco quando vedo criticata con sicumera la grammatica generativa da chi, con ogni evidenza, ne sa poco o niente. Un altro dato, diciamo, demografico: hanno contribuito a questa scienza, nel corso di mezzo secolo, circa duemila studiosi, in vari Paesi. Importanti ricadute della teoria e notevoli conferme sono venute anche da altri campi come la genetica, le neuroscienze, le simulazioni su calcolatori, le patologie del linguaggio, la psicologia animale. Formidabile è stato il potere di attrattiva di questa scienza su menti di straordinario calibro, su studiosi di matematica, fisica, ingegneria, scienze di calcolo e biologia. Questa comunità ha offerto, offre e continuerà a offrire una grande diversità di teorie, di ipotesi e di indirizzi, non di rado in aspra polemica, anche con lo stesso Chomsky, come è naturale che sia in una scienza viva e in incessante progresso. Vengo ora alla mia intervista.
Piattelli Palmarini — Se dovesse scegliere un'idea, un evento, un'ipotesi o un campo di ricerca che ritiene essere il più importante per la nascita delle scienze cognitive, quale sarebbe?
Chomsky — Penso che l'evento centrale sia stato riconoscere come i fenomeni mentali possano e debbano essere studiati come gli altri fenomeni naturali, non attraverso metodi per manipolare il comportamento, né osservandoli superficialmente, ma indagandone i meccanismi interni, quelli che sono alla base dei comportamenti e spiegano i dati osservabili.
Piattelli Palmarini — Ritiene giustificata l'espressione «rivoluzione cognitiva»?
Chomsky — C'è stato un cambiamento importante di prospettiva a partire dagli Anni Cinquanta. Sostanzialmente si è trattato di un recupero di intuizioni e riflessioni che risalivano al XVII e al XVIII secolo, ma che furono spinte in direzioni nuove. Non amo troppo il termine «rivoluzione», e ho sempre ritenuto che, se proprio lo si vuole adottare, quello che è successo negli Anni Cinquanta sia una seconda rivoluzione cognitiva.
Piattelli Palmarini — È d'accordo con me che due componenti sono state centrali: l'importanza e la complessità dei processi detti
bottom-up (cioè che procedono dal basso in alto, dai dati dei sensi al pensiero) e la modularità della mente, cioè la suddivisione della mente e del cervello in molte unità relativamente autonome?
Chomsky — Sì, ma mi chiedo se non siano conseguenze dell'aver adottato con successo un approccio biologico alla cognizione. Speculando un po', ho il sospetto che tra un secolo, guardando indietro verso il presente, si concluderà che la componente veramente centrale è stata la scoperta di un livello profondo. I processi mentali superiori mostrano, a questo livello, una fondamentale semplicità, forse il risultato di un'evoluzione biologica relativamente improvvisa e recente.
Piattelli Palmarini — Il titolo del mio libro usa l'aggettivo «classiche» per distinguere le scienze cognitive dal ritorno odierno di tendenze del passato, cioè modelli che vogliono ritornare a un'analisi generica, superficiale, statistica. Che ne pensa?
Chomsky — È certo che c'è, oggi, una pressione possente verso un ritorno allo studio dei fenomeni mentali in superficie, enfatizzando le differenze culturali, le stranezze, le frequenze statistiche. Perfino la fisica, fino a circa un secolo fa, era soprattutto basata su misure di fenomeni osservabili. Uno scienziato del calibro di Henri Poincaré riteneva che avessimo adottato l'ipotesi della natura molecolare dei gas solo perché ci sono familiari i rimpalli delle biglie, delle bocce e delle palle da biliardo. I principi della chimica erano ritenuti dai massimi studiosi essere solo utili semplificazioni di calcolo, senza una vera realtà fisica. C'è, quindi, una certa somiglianza con l'assurdo dogma che i processi mentali, se reali, debbano essere accessibili alla nostra coscienza (Chomsky ha polemizzato su questo per anni con il famoso filosofo americano John Searle, nda). Cercare, per i processi mentali superiori, teorie che siano genuinamente esplicative e non solo superficialmente descrittive rappresenta, con ogni evidenza, uno sforzo psicologico. Ci è difficile ammettere che ciò che sentiamo e pensiamo è il prodotto di meccanismi invisibili e di principi astratti, inaccessibili, se ci limitiamo a semplici induzioni e a piatte generalizzazioni.
Piattelli Palmarini — Le critiche anti chomskiane di Margaret Boden e del giornalista di Libero, tra gli altri, rivelano una forte resistenza ad ammettere che esiste una grammatica universale e delle forti componenti biologiche nel linguaggio e nel pensiero. Come mai le tendenze al relativismo e al generalismo cognitivo sono così diffuse e possenti?
Chomsky — Ho risposto recentemente in dettaglio a Margaret Boden e nel corso degli anni a tanti altri critici. Esiste, purtroppo, una forte tentazione a essere dualisti, cioè a ritenere che il mondo dei fenomeni naturali e il mondo della mente siano due settori distinti e separati. Anche coloro che non lo ammettono fino in fondo, cioè anche quando non sono dualisti in senso metafisico, lo sono in senso metodologico. Cioè non ammettono che gli stessi standard razionali di indagine delle normali scienze e gli stessi metodi di ricerca delle scienze possano essere applicati anche allo studio della mente. Sarebbe interessante capire perché il dualismo sia ancora oggi tanto diffuso. C'è un'assurdità nel rifiutare la grammatica universale, cioè nel rifiutarsi di ammettere che esiste una componente genetica della facoltà di linguaggio. Come ho cercato di mostrare in dettaglio per molti anni, se così fosse davvero, cioè se non esistesse questa componente innata, l'acquisizione del linguaggio nel bambino diventerebbe un miracolo.
Baldini Castoldi Dalai ha appena pubblicato il libro di Chomsky «Regole e rappresentazioni. Sei lezioni sul linguaggio» (pp. 542, e 18,50)
«Le scienze cognitive classiche: un panorama» è il titolo del saggio più recente di Piattelli Palmarini, uscito da Einaudi (pagine 534, e 23,50), a cura di Nicola Canessa e Alessandra Gorini
Dialoghi Lo scienziato italiano e il fondatore della «grammatica generativa» esaminano i nuovi sviluppi delle discipline cognitive
Il cervello non è relativista
Pensiero e genetica, incontro tra Piattelli Palmarini e Noam Chomsky «Esistono componenti biologiche innate nella mente e nel linguaggio»
di Massimo Piattelli Palmarini
Piattelli Palmarini insegna Scienze cognitive all'Università dell'Arizona Nato nel 1928, Noam Chomsky è professore emerito di Linguistica al Mit
A livello profondo le strutture logiche mostrano una fondamentale semplicità
Sono appena usciti, negli Stati Uniti, due eccellenti dvd destinati ai corsi universitari, a cura del noto psicologo della Harvard University Howard Gardner. Uno è intitolato La mente di Noam Chomsky, l'altro Noam Chomsky: linguaggio e pensiero (www.classroommedia.
com). Osannato da alcuni come il Galileo delle scienze cognitive e il Copernico della linguistica, detestato da altri come un arido riduzionista delle squisite sottigliezze del linguaggio e della mente, una recente ricerca statistica ha rivelato che Chomsky, oggi ottantenne e sempre attivissimo, è l'intellettuale vivente più citato al mondo. Inoltre è stato il più noto e uno dei più inflessibili avversari della guerra in Vietnam, militanza che gli ha anche procurato brevi detenzioni nelle patrie galere. Le sue posizioni politiche di matrice anarchica sono ben note e non mi ci soffermerò qui. La lista di autori, di articoli e di libri anti chomskiani sarebbe molto lunga, ma bastino due recenti esempi: nel 2006, la psicologa inglese Margaret Boden pretendeva di smascherare «dieci miti su Chomsky». Dello stesso tenore, e con simili fraintendimenti ed errori, è un articolo appena pubblicato su Libero (martedì 1 aprile) a firma Lucio d'Arcangelo, intitolato «Vacilla il mito del linguista più scientifico del mondo».
Chomsky ha pazientemente e molto dettagliatamente, nel corso di decenni, ribattuto alle critiche e messo in evidenza gli errori e i fraintendimenti. Prima di dargli la parola in un'intervista in esclusiva sulle scienze cognitive, vorrei citare solo alcuni dati di fatto. Da molti anni leggo i lavori di grammatica generativa (così si chiama esattamente il filone di linguistica inaugurato da Chomsky intorno alla metà degli Anni Cinquanta), ho a suo tempo seguito dieci interi corsi semestrali di Chomsky al Mit e circa altri dieci di linguisti suoi colleghi e collaboratori. Ciò nonostante, non ho problemi ad ammettere che molti dettagli tecnici ancora mi sfuggono.
Il messaggio, qui, è che si tratta di una scienza immensamente complessa e profonda e che ogni ritocco a un'ipotesi, a una teoria, riverbera con inevitabili ritocchi su molte altre ipotesi e teorie e su dati già noti per varie lingue. Sbalordisco quando vedo criticata con sicumera la grammatica generativa da chi, con ogni evidenza, ne sa poco o niente. Un altro dato, diciamo, demografico: hanno contribuito a questa scienza, nel corso di mezzo secolo, circa duemila studiosi, in vari Paesi. Importanti ricadute della teoria e notevoli conferme sono venute anche da altri campi come la genetica, le neuroscienze, le simulazioni su calcolatori, le patologie del linguaggio, la psicologia animale. Formidabile è stato il potere di attrattiva di questa scienza su menti di straordinario calibro, su studiosi di matematica, fisica, ingegneria, scienze di calcolo e biologia. Questa comunità ha offerto, offre e continuerà a offrire una grande diversità di teorie, di ipotesi e di indirizzi, non di rado in aspra polemica, anche con lo stesso Chomsky, come è naturale che sia in una scienza viva e in incessante progresso. Vengo ora alla mia intervista.
Piattelli Palmarini — Se dovesse scegliere un'idea, un evento, un'ipotesi o un campo di ricerca che ritiene essere il più importante per la nascita delle scienze cognitive, quale sarebbe?
Chomsky — Penso che l'evento centrale sia stato riconoscere come i fenomeni mentali possano e debbano essere studiati come gli altri fenomeni naturali, non attraverso metodi per manipolare il comportamento, né osservandoli superficialmente, ma indagandone i meccanismi interni, quelli che sono alla base dei comportamenti e spiegano i dati osservabili.
Piattelli Palmarini — Ritiene giustificata l'espressione «rivoluzione cognitiva»?
Chomsky — C'è stato un cambiamento importante di prospettiva a partire dagli Anni Cinquanta. Sostanzialmente si è trattato di un recupero di intuizioni e riflessioni che risalivano al XVII e al XVIII secolo, ma che furono spinte in direzioni nuove. Non amo troppo il termine «rivoluzione», e ho sempre ritenuto che, se proprio lo si vuole adottare, quello che è successo negli Anni Cinquanta sia una seconda rivoluzione cognitiva.
Piattelli Palmarini — È d'accordo con me che due componenti sono state centrali: l'importanza e la complessità dei processi detti
bottom-up (cioè che procedono dal basso in alto, dai dati dei sensi al pensiero) e la modularità della mente, cioè la suddivisione della mente e del cervello in molte unità relativamente autonome?
Chomsky — Sì, ma mi chiedo se non siano conseguenze dell'aver adottato con successo un approccio biologico alla cognizione. Speculando un po', ho il sospetto che tra un secolo, guardando indietro verso il presente, si concluderà che la componente veramente centrale è stata la scoperta di un livello profondo. I processi mentali superiori mostrano, a questo livello, una fondamentale semplicità, forse il risultato di un'evoluzione biologica relativamente improvvisa e recente.
Piattelli Palmarini — Il titolo del mio libro usa l'aggettivo «classiche» per distinguere le scienze cognitive dal ritorno odierno di tendenze del passato, cioè modelli che vogliono ritornare a un'analisi generica, superficiale, statistica. Che ne pensa?
Chomsky — È certo che c'è, oggi, una pressione possente verso un ritorno allo studio dei fenomeni mentali in superficie, enfatizzando le differenze culturali, le stranezze, le frequenze statistiche. Perfino la fisica, fino a circa un secolo fa, era soprattutto basata su misure di fenomeni osservabili. Uno scienziato del calibro di Henri Poincaré riteneva che avessimo adottato l'ipotesi della natura molecolare dei gas solo perché ci sono familiari i rimpalli delle biglie, delle bocce e delle palle da biliardo. I principi della chimica erano ritenuti dai massimi studiosi essere solo utili semplificazioni di calcolo, senza una vera realtà fisica. C'è, quindi, una certa somiglianza con l'assurdo dogma che i processi mentali, se reali, debbano essere accessibili alla nostra coscienza (Chomsky ha polemizzato su questo per anni con il famoso filosofo americano John Searle, nda). Cercare, per i processi mentali superiori, teorie che siano genuinamente esplicative e non solo superficialmente descrittive rappresenta, con ogni evidenza, uno sforzo psicologico. Ci è difficile ammettere che ciò che sentiamo e pensiamo è il prodotto di meccanismi invisibili e di principi astratti, inaccessibili, se ci limitiamo a semplici induzioni e a piatte generalizzazioni.
Piattelli Palmarini — Le critiche anti chomskiane di Margaret Boden e del giornalista di Libero, tra gli altri, rivelano una forte resistenza ad ammettere che esiste una grammatica universale e delle forti componenti biologiche nel linguaggio e nel pensiero. Come mai le tendenze al relativismo e al generalismo cognitivo sono così diffuse e possenti?
Chomsky — Ho risposto recentemente in dettaglio a Margaret Boden e nel corso degli anni a tanti altri critici. Esiste, purtroppo, una forte tentazione a essere dualisti, cioè a ritenere che il mondo dei fenomeni naturali e il mondo della mente siano due settori distinti e separati. Anche coloro che non lo ammettono fino in fondo, cioè anche quando non sono dualisti in senso metafisico, lo sono in senso metodologico. Cioè non ammettono che gli stessi standard razionali di indagine delle normali scienze e gli stessi metodi di ricerca delle scienze possano essere applicati anche allo studio della mente. Sarebbe interessante capire perché il dualismo sia ancora oggi tanto diffuso. C'è un'assurdità nel rifiutare la grammatica universale, cioè nel rifiutarsi di ammettere che esiste una componente genetica della facoltà di linguaggio. Come ho cercato di mostrare in dettaglio per molti anni, se così fosse davvero, cioè se non esistesse questa componente innata, l'acquisizione del linguaggio nel bambino diventerebbe un miracolo.
Baldini Castoldi Dalai ha appena pubblicato il libro di Chomsky «Regole e rappresentazioni. Sei lezioni sul linguaggio» (pp. 542, e 18,50)
«Le scienze cognitive classiche: un panorama» è il titolo del saggio più recente di Piattelli Palmarini, uscito da Einaudi (pagine 534, e 23,50), a cura di Nicola Canessa e Alessandra Gorini