Corriere della Sera 29.4.08
Il neurologo-scrittore indaga il rapporto tra mente e musica e parla del nuovo libro
Sacks: c'è un'orchestra nel cervello
Smemorati che suonano tutto Bach, medici che riconoscono solo la Marsigliese
di Livia Manera
Il nuovo libro di Oliver Sacks Musicofilia (in libreria da domani per Adelphi, traduzione di Isabella Blum, pp. 434, e 23) comincia un giorno del 1994 in cui un chirurgo americano di nome Tony Cicoria entra in una cabina telefonica durante un forte temporale e viene trafitto da un fulmine. Cicoria stramazza, è sbalzato all'indietro, ha il tempo di dire a se stesso «Oh, merda, sono morto», entra in un tunnel di velocità estatica in cui rivede tutta la propria vita, poi «Slam!», torna in sé, e da quel momento è un altro uomo. Nel senso che il suo cervello si riempie d'ora in poi di un desiderio irresistibile di musica. Soprattutto Chopin. A quel punto Cicoria si mette a studiare il piano da solo e nel giro di tre mesi non fa più quasi nient'altro che suonare e comporre. «Mi alzavo alle quattro del mattino e suonavo fino al momento di andare al lavoro», racconta al neurologo-scrittore Oliver Sacks. «E poi quando tornavo a casa rimanevo al piano tutta la sera. Mia moglie non era molto contenta. Ero posseduto ».
Sacks sorride versandosi il tè: «Ricordo il primo genio musicale che ho incontrato, era un uomo ritardato che conosceva a memoria duemila opere». Stiamo facendo la prima colazione in un albergo che l'autore di Risvegli sceglie sempre quando va a Londra, perché è vicino a una piscina, e lui ci tiene a nuotare ogni mattina alle sei. «Aveva preso la meningite da piccolo ed era incapacitato in molte cose, eppure aveva questa memoria musicale prodigiosa. Mi ha sempre colpito come la musica s'insinui nel nostro cervello: come un brano musicale ci insegni la sua struttura e i suoi segreti anche quando non ci accorgiamo di avergli prestato ascolto. Forse perché sono cresciuto in una famiglia in cui le forze dominanti erano la musica e la scienza. Mia madre faceva fatica a ricordare un brano musicale, ma mio padre sembrava avesse un'intera orchestra nel cervello».
Se non fossimo soli nella sala da pranzo di quest'albergo, daremmo sicuramente nell'occhio. Perché se nei modi Sacks ha conservato la timidezza di un adolescente malgrado i settantacinque anni, nell'aspetto sembra un astronauta in tenuta tecnica o un architetto molto alla moda, vestito com'è con una maglietta nera a maniche lunghe e pantaloni neri e modernissime scarpe da ginnastica bianche. I capelli e la barba sono bianchi anche loro, e l'accento è rimasto quello dell'Inghilterra in cui è cresciuto, malgrado quarant'anni passati a lavorare nell'ospedale psichiatrico di New York, nel Bronx, prima di approdare lo scorso autunno alla Columbia University, dove gli hanno confezionato due corsi su misura, uno di neuropsichiatria e l'altro di scrittura creativa.
Musicofilia è dunque il suo ultimo libro ed è una raccolta di ventinove saggi in cui Sacks esplora il rapporto tra la musica e la mente concentrandosi su casi neurologici che sono in parte nuovi e in parte derivati da libri precedenti come L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello e Un antropologo su Marte. C'è quello del musicologo inglese Clive Wearing a cui un'infezione cerebrale azzera continuamente la memoria, il quale ogni volta che vede sua moglie la saluta come se fosse il loro primo incontro, ma se si siede al piano riesce a suonare un intero preludio di Bach. Ci sono malati di Alzheimer o persone affette da sindrome di Tourette che trovano pace solo quando suonano o ascoltano brani musicali. Ci sono persone torturate dalla musica come Schumann che da vecchio era tormentato da allucinazioni musicali che degeneravano in una singola nota prolungata. E altre che vengono prese dalle convulsioni come la moglie di un compositore moderno che ha una crisi epilettica ogni qual volta sente una musica simile a quella del marito — e qui magari Freud, anche se era insensibile alla musica, avrebbe qualcosa da dire. Sacks si diletta parecchio con i casi di «amusia». Cita quello di Nabokov, per cui l'alfabeto era colorato come un arcobaleno, ma che pativa qualunque melodia come «una successione arbitraria di suoni più o meno irritanti». E quello di un neurologo francese che di qualsiasi brano musicale gli confessa di saper dire soltanto se sia o non sia la Marsigliese.
«Mio padre si fece un dovere di darci un'istruzione musicale fin da quando eravamo piccoli — sta raccontando Sacks — e ci trovò un insegnante molto focoso, alla Toscanini, che picchiava la testa contro il pianoforte. A cinque anni avrei detto che le cose al mondo che preferivo erano il salmone affumicato e Bach ». A differenza di allora, oggi, spiega Sacks, a uno specialista basta una risonanza magnetica per riconoscere il cervello di un musicista. Ma il rapporto tra musica e cervello rimane ancora pieno di misteri. Un caso che lo incuriosisce e gli sfugge allo stesso tempo è quello delle «infezioni musicali», quei motivetti che improvvisamente ci entrano nella testa e che non riusciamo a scacciare nemmeno se vogliamo. «Mi colpisce moltissimo la frequenza della musica interiore, forse perché c'è sempre un brano che risuona consciamente o inconsciamente nella mia mente. Un anno fa, in occasione della dipartita di un mio fratello, ha cominciato a ronzarmi in testa un capriccio di Bach. Poi pensandoci mi sono accorto che Bach aveva scritto quel brano in occasione della partenza di un suo fratello. Ma aveva diciannove anni, e si trattava di tutt'un altro tipo di viaggio».
Parliamo dell'influenza dell'IPod sulla vita delle persone («A prima vista sembrerebbe una cosa fantastica, se pensa che Darwin doveva viaggiare fino a Londra per sentire un concerto. Ma mi chiedo se questa esposizione costante alla musica non abbia una responsabilità nell'aumento delle allucinazioni musicali»), e parliamo del suo rapporto personale con la musica, oggi. «Per me non esiste una giornata senza musica. Ascolto la radio, vado ai concerti, mi siedo al piano almeno mezz'ora al giorno. Mi piace suonare con la sinistra mentre prendo appunti con la destra. Nietzsche diceva che scrivere ascoltando Bizet lo rendeva un filosofo migliore. Non so se rendo un torto alla musica in questo modo, ma a me è così che piace scrivere le mie cose. Mi aiuta a concentrarmi ».
Il neurologo-scrittore indaga il rapporto tra mente e musica e parla del nuovo libro
Sacks: c'è un'orchestra nel cervello
Smemorati che suonano tutto Bach, medici che riconoscono solo la Marsigliese
di Livia Manera
Il nuovo libro di Oliver Sacks Musicofilia (in libreria da domani per Adelphi, traduzione di Isabella Blum, pp. 434, e 23) comincia un giorno del 1994 in cui un chirurgo americano di nome Tony Cicoria entra in una cabina telefonica durante un forte temporale e viene trafitto da un fulmine. Cicoria stramazza, è sbalzato all'indietro, ha il tempo di dire a se stesso «Oh, merda, sono morto», entra in un tunnel di velocità estatica in cui rivede tutta la propria vita, poi «Slam!», torna in sé, e da quel momento è un altro uomo. Nel senso che il suo cervello si riempie d'ora in poi di un desiderio irresistibile di musica. Soprattutto Chopin. A quel punto Cicoria si mette a studiare il piano da solo e nel giro di tre mesi non fa più quasi nient'altro che suonare e comporre. «Mi alzavo alle quattro del mattino e suonavo fino al momento di andare al lavoro», racconta al neurologo-scrittore Oliver Sacks. «E poi quando tornavo a casa rimanevo al piano tutta la sera. Mia moglie non era molto contenta. Ero posseduto ».
Sacks sorride versandosi il tè: «Ricordo il primo genio musicale che ho incontrato, era un uomo ritardato che conosceva a memoria duemila opere». Stiamo facendo la prima colazione in un albergo che l'autore di Risvegli sceglie sempre quando va a Londra, perché è vicino a una piscina, e lui ci tiene a nuotare ogni mattina alle sei. «Aveva preso la meningite da piccolo ed era incapacitato in molte cose, eppure aveva questa memoria musicale prodigiosa. Mi ha sempre colpito come la musica s'insinui nel nostro cervello: come un brano musicale ci insegni la sua struttura e i suoi segreti anche quando non ci accorgiamo di avergli prestato ascolto. Forse perché sono cresciuto in una famiglia in cui le forze dominanti erano la musica e la scienza. Mia madre faceva fatica a ricordare un brano musicale, ma mio padre sembrava avesse un'intera orchestra nel cervello».
Se non fossimo soli nella sala da pranzo di quest'albergo, daremmo sicuramente nell'occhio. Perché se nei modi Sacks ha conservato la timidezza di un adolescente malgrado i settantacinque anni, nell'aspetto sembra un astronauta in tenuta tecnica o un architetto molto alla moda, vestito com'è con una maglietta nera a maniche lunghe e pantaloni neri e modernissime scarpe da ginnastica bianche. I capelli e la barba sono bianchi anche loro, e l'accento è rimasto quello dell'Inghilterra in cui è cresciuto, malgrado quarant'anni passati a lavorare nell'ospedale psichiatrico di New York, nel Bronx, prima di approdare lo scorso autunno alla Columbia University, dove gli hanno confezionato due corsi su misura, uno di neuropsichiatria e l'altro di scrittura creativa.
Musicofilia è dunque il suo ultimo libro ed è una raccolta di ventinove saggi in cui Sacks esplora il rapporto tra la musica e la mente concentrandosi su casi neurologici che sono in parte nuovi e in parte derivati da libri precedenti come L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello e Un antropologo su Marte. C'è quello del musicologo inglese Clive Wearing a cui un'infezione cerebrale azzera continuamente la memoria, il quale ogni volta che vede sua moglie la saluta come se fosse il loro primo incontro, ma se si siede al piano riesce a suonare un intero preludio di Bach. Ci sono malati di Alzheimer o persone affette da sindrome di Tourette che trovano pace solo quando suonano o ascoltano brani musicali. Ci sono persone torturate dalla musica come Schumann che da vecchio era tormentato da allucinazioni musicali che degeneravano in una singola nota prolungata. E altre che vengono prese dalle convulsioni come la moglie di un compositore moderno che ha una crisi epilettica ogni qual volta sente una musica simile a quella del marito — e qui magari Freud, anche se era insensibile alla musica, avrebbe qualcosa da dire. Sacks si diletta parecchio con i casi di «amusia». Cita quello di Nabokov, per cui l'alfabeto era colorato come un arcobaleno, ma che pativa qualunque melodia come «una successione arbitraria di suoni più o meno irritanti». E quello di un neurologo francese che di qualsiasi brano musicale gli confessa di saper dire soltanto se sia o non sia la Marsigliese.
«Mio padre si fece un dovere di darci un'istruzione musicale fin da quando eravamo piccoli — sta raccontando Sacks — e ci trovò un insegnante molto focoso, alla Toscanini, che picchiava la testa contro il pianoforte. A cinque anni avrei detto che le cose al mondo che preferivo erano il salmone affumicato e Bach ». A differenza di allora, oggi, spiega Sacks, a uno specialista basta una risonanza magnetica per riconoscere il cervello di un musicista. Ma il rapporto tra musica e cervello rimane ancora pieno di misteri. Un caso che lo incuriosisce e gli sfugge allo stesso tempo è quello delle «infezioni musicali», quei motivetti che improvvisamente ci entrano nella testa e che non riusciamo a scacciare nemmeno se vogliamo. «Mi colpisce moltissimo la frequenza della musica interiore, forse perché c'è sempre un brano che risuona consciamente o inconsciamente nella mia mente. Un anno fa, in occasione della dipartita di un mio fratello, ha cominciato a ronzarmi in testa un capriccio di Bach. Poi pensandoci mi sono accorto che Bach aveva scritto quel brano in occasione della partenza di un suo fratello. Ma aveva diciannove anni, e si trattava di tutt'un altro tipo di viaggio».
Parliamo dell'influenza dell'IPod sulla vita delle persone («A prima vista sembrerebbe una cosa fantastica, se pensa che Darwin doveva viaggiare fino a Londra per sentire un concerto. Ma mi chiedo se questa esposizione costante alla musica non abbia una responsabilità nell'aumento delle allucinazioni musicali»), e parliamo del suo rapporto personale con la musica, oggi. «Per me non esiste una giornata senza musica. Ascolto la radio, vado ai concerti, mi siedo al piano almeno mezz'ora al giorno. Mi piace suonare con la sinistra mentre prendo appunti con la destra. Nietzsche diceva che scrivere ascoltando Bizet lo rendeva un filosofo migliore. Non so se rendo un torto alla musica in questo modo, ma a me è così che piace scrivere le mie cose. Mi aiuta a concentrarmi ».