Corriere della Sera 30.5.08
Donne fatali. Da Marie Duplessis a Lola Montez, le cortigiane viste da Giuseppe Scaraffia
Eros & potere: il catalogo delle belle e traviate
di Annamaria Andreoli
Marie Duplessis, la «Signora delle camelie», è la più celebre di una folta schiera di prostitute d'alto bordo che il secondo Ottocento farà brillare nel cielo del mito. Parigi, la capitale del secolo borghese, del secolo dell'industria, degli affari e del perbenismo, ha prodotto questo genere di divinità maledetta quale indispensabile valvola di sfogo: è il piacere che trionfa sul dovere, la bellezza sull'utile.
Di quella schiera di traviate, Giuseppe Scaraffia, assiduo frequentatore dell'Ottocento francese, offre alcuni ritratti che guardano però oltre il mito ( Cortigiane. Sedici donne fatali dell'Ottocento, Mondadori). Tutte bellissime, le sue mondane leggendarie usano la testa non meno del corpo per condurre alla rovina i più rispettabili gentiluomini. Al pari degli agenti di borsa esse sanno determinare la propria quotazione puntando sul valore simbolico dell'eros e diventando così, non a caso, protagoniste indiscusse della moda, dello charme e del lusso, contagi quanto mai immateriali a dispetto della merce che vendono. Un bisticcio di parole, coniato da Baudelaire, è il loro monito: «Per adorare bisogna dorare » (ovvero ricoprire letteralmente d'oro), dato che non è desiderabile se non ciò che si paga a caro prezzo.
I medaglioni di Cortigiane contengono un fuoco di fila di battute che sono altrettanti motti di spirito: segno che la femme fatale è qui chiamata in causa direttamente, attraverso memoriali e carteggi, al di fuori dell'ottica di parte maschile a cui si deve l'elaborazione del mito — Alexandre Dumas figlio in testa. Lola Montez o Marguerite Bellanger, Alice Ozy o Léonide Leblanc appaiono, oltre che allegre, accorte e lungimiranti. Donne libere, soprattutto, antesignane dell'emancipazione, le prime a lottare contro i segni dell'invecchiamento, a praticare lo sport e la dieta per conservare la linea. Spesso poi si sposano, e il matrimonio non è per calcolo con qualche decrepito babbeo facoltoso, ma, scelgono riamate un aitante e ricco rampollo di buona famiglia. Anche se fortuita, la morte precoce della tisica Marie Duplessis sembrò invece ai benpensanti il giusto destino sacrificale di ogni prostituta perché il tragico epilogo metteva in salvo la morale borghese. Esclusa la possibilità del riscatto, il mito poteva dunque prosperare, tant'è vero che le mondane si chiameranno «perdute » come i cavalieri erranti dei tempi remoti. Scaraffia le proietta piuttosto nel futuro per ritrarle come «dive» già capaci di servirsi della pubblicità e del feticismo, attrezzi del mestiere che collaudano al riparo della volgarizzazione novecentesca. Se un mito permane è solo quello, condiviso da Proust, della Belle Époque spazzata via dalla prima guerra mondiale.
Marie Duplessis è una delle protagoniste del libro di Giuseppe Scaraffia «Cortigiane», (Mondadori, pp. 288, € 18)
Donne fatali. Da Marie Duplessis a Lola Montez, le cortigiane viste da Giuseppe Scaraffia
Eros & potere: il catalogo delle belle e traviate
di Annamaria Andreoli
Marie Duplessis, la «Signora delle camelie», è la più celebre di una folta schiera di prostitute d'alto bordo che il secondo Ottocento farà brillare nel cielo del mito. Parigi, la capitale del secolo borghese, del secolo dell'industria, degli affari e del perbenismo, ha prodotto questo genere di divinità maledetta quale indispensabile valvola di sfogo: è il piacere che trionfa sul dovere, la bellezza sull'utile.
Di quella schiera di traviate, Giuseppe Scaraffia, assiduo frequentatore dell'Ottocento francese, offre alcuni ritratti che guardano però oltre il mito ( Cortigiane. Sedici donne fatali dell'Ottocento, Mondadori). Tutte bellissime, le sue mondane leggendarie usano la testa non meno del corpo per condurre alla rovina i più rispettabili gentiluomini. Al pari degli agenti di borsa esse sanno determinare la propria quotazione puntando sul valore simbolico dell'eros e diventando così, non a caso, protagoniste indiscusse della moda, dello charme e del lusso, contagi quanto mai immateriali a dispetto della merce che vendono. Un bisticcio di parole, coniato da Baudelaire, è il loro monito: «Per adorare bisogna dorare » (ovvero ricoprire letteralmente d'oro), dato che non è desiderabile se non ciò che si paga a caro prezzo.
I medaglioni di Cortigiane contengono un fuoco di fila di battute che sono altrettanti motti di spirito: segno che la femme fatale è qui chiamata in causa direttamente, attraverso memoriali e carteggi, al di fuori dell'ottica di parte maschile a cui si deve l'elaborazione del mito — Alexandre Dumas figlio in testa. Lola Montez o Marguerite Bellanger, Alice Ozy o Léonide Leblanc appaiono, oltre che allegre, accorte e lungimiranti. Donne libere, soprattutto, antesignane dell'emancipazione, le prime a lottare contro i segni dell'invecchiamento, a praticare lo sport e la dieta per conservare la linea. Spesso poi si sposano, e il matrimonio non è per calcolo con qualche decrepito babbeo facoltoso, ma, scelgono riamate un aitante e ricco rampollo di buona famiglia. Anche se fortuita, la morte precoce della tisica Marie Duplessis sembrò invece ai benpensanti il giusto destino sacrificale di ogni prostituta perché il tragico epilogo metteva in salvo la morale borghese. Esclusa la possibilità del riscatto, il mito poteva dunque prosperare, tant'è vero che le mondane si chiameranno «perdute » come i cavalieri erranti dei tempi remoti. Scaraffia le proietta piuttosto nel futuro per ritrarle come «dive» già capaci di servirsi della pubblicità e del feticismo, attrezzi del mestiere che collaudano al riparo della volgarizzazione novecentesca. Se un mito permane è solo quello, condiviso da Proust, della Belle Époque spazzata via dalla prima guerra mondiale.
Marie Duplessis è una delle protagoniste del libro di Giuseppe Scaraffia «Cortigiane», (Mondadori, pp. 288, € 18)