La Repubblica 6.2.08
Celine. Le confidenze private di uno scrittore incandescente
di Daria Galateria
Esce in Francia un volume che raccoglie cinquecento lettere scritte tra il 1936 e il 1960 , in pratica quasi tutta la carriera letteraria, dall´autore di "Morte a credito" alla sua segretaria Marie Canavaggia
Il 16 dicembre 1945, l´edicolante di una Copenhagen glaciale - lo stretto tra la Danimarca e la Svezia era gelato - segnalò alla polizia il signore senza cappotto che parlava francese, e si mostrava tanto nostalgico della patria. «Sono come uno scafandro immerso nell´acqua dell´esilio e con un piccolo tubo», «vivo solo delle vostre lettere», scriveva in ottobre Céline alla segretaria, la devota Marie Canavaggia: lei ormai potrà smettere però di mandargli giornali francesi, arriva tutto - su Le Monde Céline legge anzi le prime testimonianze sui campi di concentramento, e comincia a parlarne con sbalordimento: «Credo che niente di tanto mostruoso nessun fanatismo tanto rabbioso si sia mai abbattuto su una genia di uomini, né ebrei né cristiani».
Intanto con la sua più bella lingua tutta di imprecazioni e tenerezze, e ininterrottamente inventiva a forza di non trovare mai, in tutto il francese esistente, la misura espressiva della sua indignazione, descrive il mondo nuovo dei vincitori, privo di mezze tinte: «E´ curioso come il mondo è arrivato a essere composto mirabilmente - da un lato i mostri, i vampiri gli sciacalli i demoni di tutti i vizi, tare, pustole, imbecillità e canaglierie e dall´altro i prodi, gli arcangeli, i liberatori, i doni, tutte le luci! La vita è facile. E idioti quelli che non vanno sempre dalla parte del più forte - automaticamente».
Le Lettres à Marie Canavaggia (1936-1960) sono cinquecento, coprono quasi tutta la carriera letteraria di Céline, e per la prima volta - dopo un´edizione quasi clandestina del 1995 - arrivano al grande pubblico, sempre nella preziosa cura, riveduta e accresciuta, di Jean-Paul Louis (Gallimard, pagg 758, euro 39). C´è tutto Céline, in queste lettere, e sempre alla sua incandescente temperatura d´umore e di scrittura - come nei romanzi.
Il suo lavoro, intanto: «solo medico a bordo» a suturare e incidere feriti tutta una notte di sbieco, su una nave che lentamente sta affondando (e d´improvviso, una nota apre un universo: «il mare dà l´infanzia»). O la rocambolesca fuga raccontata nella Trilogia del Nord dalla Francia in fiamme attraverso le rovine del Reich: «Bébert e i manoscritti» - Bébert, il gatto comperato ai magazzini Samaritaine e portato via nel taschino - «hanno attraversato più obici di quanti ne occorrano per diventare marescialli di Francia». Altissimo sempre il capitolo delle bestie: «Guardate gli animali, maestri nostri in destino - come si tengono saggiamente e pateticamente al loro vecchio tappeto»; bisogna esser scacciati da tutto e dappertutto, spiega Céline, «per tornare molto semplici, molto semplici, per pensare come un cane».
Marie Canavaggia, nel 1936, ha quarant´anni; è figlia di un magistrato corso, traduce. Entrando al servizio, di segretaria e curatrice dei testi di Céline - che ha 42 anni e tutta la fama dannata del Viaggio al termine della notte - si mette subito al livello dello scrittore. Lui corregge le ultime 45 pagine di Mort à crédit, «le più ribelli; bisogna strangolarle una dopo l´altra»; impassibile, lei chiosa i particolari più osceni («sbatterlo, è la parola?»); la minima virgola mi appassiona, le scrive lui. A volte si indovina che Marie ha disturbato Céline con richieste affettive. Lui allora si lamenta, lei lo «intontisce» di isterie e complicazioni sentimentali; chiede a un mutilato di entrambe le braccia di giocare a bocce.
«In altri tempi vi avrei fatto rotolare nelle peggiori sardanapalerie voi ne sareste uscita tutta semplificata, disingelosita, guarita e non meno incantevole e meravigliosamente intelligente come siete».
Naturalmente, la specialità di Céline sono le invettive. Trova Arthur Miller banale, per esempio: un paese che produce bombe atomiche dovrebbe avere autori «cataclomici», e invece veramente non conosce niente di più «ripetuto, arcipontificato» di Miller, la sciatteria convenzionale del Montparnasse americano, «il borghese epatato di Kansans City marcito di letteratura» - quando gli riferiscono che Miller sta mobilitando gli intellettuali americani per una petizione in suo favore, Céline mostra qualche rimorso: «tanto meglio, le mie riflessioni erano tra me e voi».
Nella solitudine di Copenhagen, e poi nelle lettere a matita dal carcere, riaffiorano le geografie dei sentimenti; «ho dappertutto morti in sofferenza». Che Canavaggia non si immagini un «esilio Coblenza», come per gli squisiti émigrés della Rivoluzione francese: un esilio circondato dai fiori dello spirito e dagli incanti carnali di mirabili nordiche. La verità è un´altra, «furtiva, umiliata da vomitare, paria e intoccabili». Una quarantena pesa su lui e la moglie Lucette, mai invitati a un tè «o a un pranzo o niente»; un po´ come un passeggero clandestino tollerato per ragioni umanitarie a condizione che non venga mai a parlare sul ponte.
Céline ha l´ossessione di non crepare su quel suolo incomprensibile - però alla Bibliothèque Royale che incredibile ricchezza di libri francesi! Così, quando gli consentono di lasciare il «frigidaire baltico» e di tornare in Francia («i suoi libri antisemiti hanno fatto pensare che quest´uomo fosse praticamente matto»), Céline non vuole più vedere nessuno; «indietro isterici curiosi viziosi», lui non trova pittoresca la sua miseria. Il quotidiano l´Humanité gli promette la morte al ritorno in Francia? «Prima di crepare, voglio rendere centomila rospi delle Lettere epilettici, tetanici - non mi scoraggeranno facilmente dal rivoluzionare la Letteratura».
Celine. Le confidenze private di uno scrittore incandescente
di Daria Galateria
Esce in Francia un volume che raccoglie cinquecento lettere scritte tra il 1936 e il 1960 , in pratica quasi tutta la carriera letteraria, dall´autore di "Morte a credito" alla sua segretaria Marie Canavaggia
Il 16 dicembre 1945, l´edicolante di una Copenhagen glaciale - lo stretto tra la Danimarca e la Svezia era gelato - segnalò alla polizia il signore senza cappotto che parlava francese, e si mostrava tanto nostalgico della patria. «Sono come uno scafandro immerso nell´acqua dell´esilio e con un piccolo tubo», «vivo solo delle vostre lettere», scriveva in ottobre Céline alla segretaria, la devota Marie Canavaggia: lei ormai potrà smettere però di mandargli giornali francesi, arriva tutto - su Le Monde Céline legge anzi le prime testimonianze sui campi di concentramento, e comincia a parlarne con sbalordimento: «Credo che niente di tanto mostruoso nessun fanatismo tanto rabbioso si sia mai abbattuto su una genia di uomini, né ebrei né cristiani».
Intanto con la sua più bella lingua tutta di imprecazioni e tenerezze, e ininterrottamente inventiva a forza di non trovare mai, in tutto il francese esistente, la misura espressiva della sua indignazione, descrive il mondo nuovo dei vincitori, privo di mezze tinte: «E´ curioso come il mondo è arrivato a essere composto mirabilmente - da un lato i mostri, i vampiri gli sciacalli i demoni di tutti i vizi, tare, pustole, imbecillità e canaglierie e dall´altro i prodi, gli arcangeli, i liberatori, i doni, tutte le luci! La vita è facile. E idioti quelli che non vanno sempre dalla parte del più forte - automaticamente».
Le Lettres à Marie Canavaggia (1936-1960) sono cinquecento, coprono quasi tutta la carriera letteraria di Céline, e per la prima volta - dopo un´edizione quasi clandestina del 1995 - arrivano al grande pubblico, sempre nella preziosa cura, riveduta e accresciuta, di Jean-Paul Louis (Gallimard, pagg 758, euro 39). C´è tutto Céline, in queste lettere, e sempre alla sua incandescente temperatura d´umore e di scrittura - come nei romanzi.
Il suo lavoro, intanto: «solo medico a bordo» a suturare e incidere feriti tutta una notte di sbieco, su una nave che lentamente sta affondando (e d´improvviso, una nota apre un universo: «il mare dà l´infanzia»). O la rocambolesca fuga raccontata nella Trilogia del Nord dalla Francia in fiamme attraverso le rovine del Reich: «Bébert e i manoscritti» - Bébert, il gatto comperato ai magazzini Samaritaine e portato via nel taschino - «hanno attraversato più obici di quanti ne occorrano per diventare marescialli di Francia». Altissimo sempre il capitolo delle bestie: «Guardate gli animali, maestri nostri in destino - come si tengono saggiamente e pateticamente al loro vecchio tappeto»; bisogna esser scacciati da tutto e dappertutto, spiega Céline, «per tornare molto semplici, molto semplici, per pensare come un cane».
Marie Canavaggia, nel 1936, ha quarant´anni; è figlia di un magistrato corso, traduce. Entrando al servizio, di segretaria e curatrice dei testi di Céline - che ha 42 anni e tutta la fama dannata del Viaggio al termine della notte - si mette subito al livello dello scrittore. Lui corregge le ultime 45 pagine di Mort à crédit, «le più ribelli; bisogna strangolarle una dopo l´altra»; impassibile, lei chiosa i particolari più osceni («sbatterlo, è la parola?»); la minima virgola mi appassiona, le scrive lui. A volte si indovina che Marie ha disturbato Céline con richieste affettive. Lui allora si lamenta, lei lo «intontisce» di isterie e complicazioni sentimentali; chiede a un mutilato di entrambe le braccia di giocare a bocce.
«In altri tempi vi avrei fatto rotolare nelle peggiori sardanapalerie voi ne sareste uscita tutta semplificata, disingelosita, guarita e non meno incantevole e meravigliosamente intelligente come siete».
Naturalmente, la specialità di Céline sono le invettive. Trova Arthur Miller banale, per esempio: un paese che produce bombe atomiche dovrebbe avere autori «cataclomici», e invece veramente non conosce niente di più «ripetuto, arcipontificato» di Miller, la sciatteria convenzionale del Montparnasse americano, «il borghese epatato di Kansans City marcito di letteratura» - quando gli riferiscono che Miller sta mobilitando gli intellettuali americani per una petizione in suo favore, Céline mostra qualche rimorso: «tanto meglio, le mie riflessioni erano tra me e voi».
Nella solitudine di Copenhagen, e poi nelle lettere a matita dal carcere, riaffiorano le geografie dei sentimenti; «ho dappertutto morti in sofferenza». Che Canavaggia non si immagini un «esilio Coblenza», come per gli squisiti émigrés della Rivoluzione francese: un esilio circondato dai fiori dello spirito e dagli incanti carnali di mirabili nordiche. La verità è un´altra, «furtiva, umiliata da vomitare, paria e intoccabili». Una quarantena pesa su lui e la moglie Lucette, mai invitati a un tè «o a un pranzo o niente»; un po´ come un passeggero clandestino tollerato per ragioni umanitarie a condizione che non venga mai a parlare sul ponte.
Céline ha l´ossessione di non crepare su quel suolo incomprensibile - però alla Bibliothèque Royale che incredibile ricchezza di libri francesi! Così, quando gli consentono di lasciare il «frigidaire baltico» e di tornare in Francia («i suoi libri antisemiti hanno fatto pensare che quest´uomo fosse praticamente matto»), Céline non vuole più vedere nessuno; «indietro isterici curiosi viziosi», lui non trova pittoresca la sua miseria. Il quotidiano l´Humanité gli promette la morte al ritorno in Francia? «Prima di crepare, voglio rendere centomila rospi delle Lettere epilettici, tetanici - non mi scoraggeranno facilmente dal rivoluzionare la Letteratura».