Bruciano i libri, università indifese
Il Riformista del 17 novembre 2006, pag. 7
di Gabriele Carchella
Alcuni liberati, altri torturati e uccisi. Il destino ha separato le strade degli ostaggi rapiti nel blitz di martedì in un edificio del ministero dell'Istruzione: una settantina di loro è tornata ieri in libertà, un'ottantina resta nelle mani degli aguzzini. Ammesso che siano ancora vivi, perché -raccontano i sopravvissuti - un numero imprecisato di ostaggi sono stati eliminati, mentre tutti avrebbero subito torture e maltrattamenti. Molti i punti oscuri della vicenda. In primis, non è chiaro chi siano gli elementi del commando che ha compiuto l'operazione. Secondo alcuni testimoni oculari, i rapitori hanno agito con indosso le uniformi della polizia. La circostanza, non nuova, suggerisce possibili connivenze con l'apparato statale. Le milizie paramilitari, secondo molti osservatori, agiscono per portare a termine vendette trasversali all'interno dello stesso governo. Il ministro dell'Istruzione Abed Dhiab al-Ujaili appartiene alla comunità sunnita, in minoranza nell'esecutivo diretto dal premier sciita Nuri Al Maliki. Il rapimento di massa di dipendenti e visitatori del ministero è visto come un colpo alla rappresentanza sunnita nel governo. La rivalità tra le comunità irachene, del resto, assomiglia sempre di più a una guerra totale in cui il gioco delle vendette incrociate rende difficile qualsiasi lettura. «Mi dimetto fino a quando qualcuno non si deciderà a fare qualcosa di concreto», ha annunciato il ministro Ujaili. «Bisognerebbe indagare sulle forze di polizia e mettere le persone giuste al posto giusto. Non c'è un governo efficace e penso di poter dire che siamo nell'anarchia». Parlando ai microfoni della tv Al Iraqiya, il ministro ha poi rivelato di aver chiesto 800 guardie a protezione di tutte le università irachene poco prima del sequestro. Ma la richiesta non è stata approvata. Il messaggio ai vertici del governo appare chiaro.
Oltre alla violenza inter-comunitaria, il rapimento di massa di martedì è stato letto come l'ennesimo crimine contro la classe colta irachena. Secondo alcune stime, negli ultimi tre anni sono quasi 200 gli accademici uccisi in Iraq. Tutto fa pensare ad azioni pianificate, a una sorta di operazione "tabula rasa" pensata per distruggere il sistema d'istruzione del paese. E impedire così una rinascita che non può prescindere dall'istruzione e dalla cultura. La deriva è cominciata nel 2003. La guerra irachena si è rivelata da subito un disastro per una delle culture più antiche del mondo. Due eventi dal forte valore simbolico hanno dato il via alla distruzione: l'incendio e il saccheggio della biblioteca nazionale e del museo archeologico di Baghdad. Migliaia di manoscritti antichissimi sono andati in fumo il 14 aprile del 2003, quando il fuoco è divampato nella biblioteca. «Una catastrofe per il patrimonio culturale dell'Iraq», secondo l'Unesco. Poche settimane dopo, gli impiegati della biblioteca, in maggioranza donne con il velo, facevano la fila per ritirare il salario sociale distribuito dai militari Usa. Del saccheggio al museo archeologico molto si è detto e scritto. Si pensa che la maggioranza dei suoi 170mila pezzi siano stati rubati in seguito alla caduta della capitale. Nel giardino del museo erano state scavate trincee, ancora fumanti a distanza di giorni. Dopo aver constatato che le orde di ladroni avevano risparmiato il ministero del petrolio, ben protetto, la comunità internazionale puntò il dito contro gli Usa. Da allora, la classe media irachena è stata smantellata pezzo dopo pezzo. Gli ingegneri e i tecnici sono rimasti senza lavoro, costretti a vivere di espedienti perché le centrali elettriche erano distrutte o funzionavano a singhiozzo. La vera ricostruzione non è mai iniziata e solo di rado ha coinvolto personale locale. Per un paese sfiancato da anni di embargo è stato il colpo di grazia. Le uccisioni mirate di professori e scienziati hanno fatto il resto.
Gli intellettuali ancora vivi meditano di andarsene all'estero. Il sogno di un paese che potesse risorgere subito dalle proprie ceneri è durato poche settimane. Un sogno che può sintetizzarsi in un'immagine. Nei primi giorni del cosiddetto dopoguerra, il mercatino dei libri sotto i portici adiacenti all'antica università Mu-stansiriya, aveva ripreso le sue attività: volumi usati, cartine geografiche ingiallite, quaderni e penne in vendita sui banchi tra cartacce e polvere. Quell'angolo di Baghdad faceva pensare a un ritorno alla normalità. Poco dopo, il sorgere della guerriglia irachena avrebbe riportato gli iracheni alla cruda realtà.
Il Riformista del 17 novembre 2006, pag. 7
di Gabriele Carchella
Alcuni liberati, altri torturati e uccisi. Il destino ha separato le strade degli ostaggi rapiti nel blitz di martedì in un edificio del ministero dell'Istruzione: una settantina di loro è tornata ieri in libertà, un'ottantina resta nelle mani degli aguzzini. Ammesso che siano ancora vivi, perché -raccontano i sopravvissuti - un numero imprecisato di ostaggi sono stati eliminati, mentre tutti avrebbero subito torture e maltrattamenti. Molti i punti oscuri della vicenda. In primis, non è chiaro chi siano gli elementi del commando che ha compiuto l'operazione. Secondo alcuni testimoni oculari, i rapitori hanno agito con indosso le uniformi della polizia. La circostanza, non nuova, suggerisce possibili connivenze con l'apparato statale. Le milizie paramilitari, secondo molti osservatori, agiscono per portare a termine vendette trasversali all'interno dello stesso governo. Il ministro dell'Istruzione Abed Dhiab al-Ujaili appartiene alla comunità sunnita, in minoranza nell'esecutivo diretto dal premier sciita Nuri Al Maliki. Il rapimento di massa di dipendenti e visitatori del ministero è visto come un colpo alla rappresentanza sunnita nel governo. La rivalità tra le comunità irachene, del resto, assomiglia sempre di più a una guerra totale in cui il gioco delle vendette incrociate rende difficile qualsiasi lettura. «Mi dimetto fino a quando qualcuno non si deciderà a fare qualcosa di concreto», ha annunciato il ministro Ujaili. «Bisognerebbe indagare sulle forze di polizia e mettere le persone giuste al posto giusto. Non c'è un governo efficace e penso di poter dire che siamo nell'anarchia». Parlando ai microfoni della tv Al Iraqiya, il ministro ha poi rivelato di aver chiesto 800 guardie a protezione di tutte le università irachene poco prima del sequestro. Ma la richiesta non è stata approvata. Il messaggio ai vertici del governo appare chiaro.
Oltre alla violenza inter-comunitaria, il rapimento di massa di martedì è stato letto come l'ennesimo crimine contro la classe colta irachena. Secondo alcune stime, negli ultimi tre anni sono quasi 200 gli accademici uccisi in Iraq. Tutto fa pensare ad azioni pianificate, a una sorta di operazione "tabula rasa" pensata per distruggere il sistema d'istruzione del paese. E impedire così una rinascita che non può prescindere dall'istruzione e dalla cultura. La deriva è cominciata nel 2003. La guerra irachena si è rivelata da subito un disastro per una delle culture più antiche del mondo. Due eventi dal forte valore simbolico hanno dato il via alla distruzione: l'incendio e il saccheggio della biblioteca nazionale e del museo archeologico di Baghdad. Migliaia di manoscritti antichissimi sono andati in fumo il 14 aprile del 2003, quando il fuoco è divampato nella biblioteca. «Una catastrofe per il patrimonio culturale dell'Iraq», secondo l'Unesco. Poche settimane dopo, gli impiegati della biblioteca, in maggioranza donne con il velo, facevano la fila per ritirare il salario sociale distribuito dai militari Usa. Del saccheggio al museo archeologico molto si è detto e scritto. Si pensa che la maggioranza dei suoi 170mila pezzi siano stati rubati in seguito alla caduta della capitale. Nel giardino del museo erano state scavate trincee, ancora fumanti a distanza di giorni. Dopo aver constatato che le orde di ladroni avevano risparmiato il ministero del petrolio, ben protetto, la comunità internazionale puntò il dito contro gli Usa. Da allora, la classe media irachena è stata smantellata pezzo dopo pezzo. Gli ingegneri e i tecnici sono rimasti senza lavoro, costretti a vivere di espedienti perché le centrali elettriche erano distrutte o funzionavano a singhiozzo. La vera ricostruzione non è mai iniziata e solo di rado ha coinvolto personale locale. Per un paese sfiancato da anni di embargo è stato il colpo di grazia. Le uccisioni mirate di professori e scienziati hanno fatto il resto.
Gli intellettuali ancora vivi meditano di andarsene all'estero. Il sogno di un paese che potesse risorgere subito dalle proprie ceneri è durato poche settimane. Un sogno che può sintetizzarsi in un'immagine. Nei primi giorni del cosiddetto dopoguerra, il mercatino dei libri sotto i portici adiacenti all'antica università Mu-stansiriya, aveva ripreso le sue attività: volumi usati, cartine geografiche ingiallite, quaderni e penne in vendita sui banchi tra cartacce e polvere. Quell'angolo di Baghdad faceva pensare a un ritorno alla normalità. Poco dopo, il sorgere della guerriglia irachena avrebbe riportato gli iracheni alla cruda realtà.