Ugo Volli
Contro la Moda
Feltrinelli, 1988
Dall’introduzione
Non ne possiamo più. Di stilisti, di modelli, di tendenze, di revivai. Di mode culturali, di malattie del tempo, di pensieri obbligatori, di quel che è “in” e quel che è “out”. Di opinion leader, reincarnazioni punk di Lord Brummell, neo-dandies che si vantano di esistere. Di nuovi galatei, ultimissimi elenchi di dove andare in vacanza, innamoramenti collettivi, cantanti costruiti con la plastica, ristoranti da non perdere, mostre che fanno epoca. Di voti stelline e asterischi ai film ai libri e ai cibi, di classifiche dei bestsellers, sondaggi d’opinione, copertine di settimanali. Non ne possiamo più di false novità, di informazioni inesistenti, di immagini e superfici esaltate per la loro inconsistenza. Di stilisti, sarti, parrucchieri; dei loro profeti, venditori, apologeti, poeti di corte e adoratori ufficiali.
Non ne possiamo più della Moda.
Vorremmo forse abolirla, ci piacerebbe forse tornare al tempo lungo del mondo egizio, dove il costume non cambiava quasi per migliaia d’anni e gli scocciatori dell”ultima novità” erano altrettanto rari. Eppure ci viviamo dentro, tutti quanti. Alcuni, in numero sempre maggiore — non solo gli stilisti, i fabbricanti di scarpe e i bottegai ma anche i giornalisti, gli editori, gli architetti, la gente della televisione e della pubblicità, gli.” operatori del terziario avanzato” — ci mangiano. Il pane quotidiano non è probabilmente un buon motivo teorico per sostenere l’importanza di un fenomeno, ma a molti importa.