l’Unità 9.4.09
L’araba felice
Un libro sulla sessualità matrimoniale che fa furore negli Emirati Arabi, le prime magistrate. Le donne conquistano terreno anche in alcuni paesi islamici. In Algeria, dove oggi si va alle urne, la politica passa attraverso la proposta di quote rosa e il diritto di trasmettere la cittadinanza ai figli
di Rachele Gonnelli
Il primo centro in Siria per donne vittime di violenza coniugale. Le prime due donne giudici in Cisgiordania per di più specializzate in sharja, cioè in legislazione islamica. Un libro sulla sessualità matrimoniale che fa furore negli Emirati Arabi, uno dei paesi più retrivi sul piano dei diritti delle donne, oltretutto scritto da una assistente familiare donna. E la prima vigilessa, con il grado di colonnello istruttore, sempre negli Emirati Arabi, con il casco integrale al posto del velo. Sarà poco ma le donne conquistano terreno anche nei paesi dove spesso la misoginia è legge, dove non si può guidare o tramandare un bracciale di madre in figlia senza il consenso del marito e a divorziare, più che da noi, si rischia la vita.
Piccoli sorsi di libertà che sono tutti delle ultime settimane e mesi. Non riescono a diventare una marea montante, né ad avere una vasta eco neanche nei paesi dove si verificano. Certo non colmano il lago della condizione femminile in paesi come l’Afghanistan, dove è in discussione una legge che legittima addirittura lo stupro dei mariti. Eppure ci sono e qualcosa vorranno pur dire. Forse che comunque il cammino delle donne per quanto a piccoli passi non può essere arrestato.
Dopo il Marocco, dove nel 2006 è stato varato un nuovo codice di famiglia che stabilisce la parità giuridica tra i due sessi, il paese dove si registrano più segnali in direzione di una maggiore parità tra i generi e un riconoscimento del ruolo pubblico delle donne è l’Algeria. Un paese in bilico che va alle urne il 9 aprile, dove il voto delle donne sarà probabilmente decisivo. Il settantunenne Adbelaziz Bouteflika spera di rimanere al potere puntando su un mix di modernità e tradizione. Ha modificato la Costituzione per ottenere il terzo mandato. Ma ora teme il combinato disposto di un aumento dell’astensionismo e della ripresa della violenza integralista dei gruppi salafiti. Attentati non sono mancati negli ultimi tempi, come quello a fine febbraio che ha sfiorato un cantiere della ditta Astaldi.
La delusione degli algerini verso il progresso da Bouteflika, molto visibile sui blog e su Internet più che sulla stampa locale, potrebbe covare come paglia secca la miccia del fondamentalismo. Bouteflika lo sa. E sta cercando di usare le donne come acqua per spegnere le fiamme. Facendo concessioni ad un movimento che ha avuto un ruolo di primo piano sia durante la guerra di liberazione sia dalla fine della guerra civile degli anni Novanta con la leader Khalida Messaudi, dirigente del Movimento per la Repubblica, di ispirazione laica e democratica.
Un mese fa un decreto presidenziale ha riconosciuto il diritto alle donne algerine a trasmettere la cittadinanza ai loro figli, un diritto mai riconosciuto prima in un paese musulmano. Bouteflika ha poi annunciato la volontà di introdurre «quote rosa» per i ruoli più alti dell’amministrazione pubblica. Provvedimenti «paternalistici e umilianti» a sentire Louisa Hanoune, segretario generale del Partito dei Lavoratori algerino, una donna, sua principale sfidante alla poltrona presidenziale. Lei, che lo ha già fronteggiato nel 2004 e ci ha provato anche nel ’99, ama parlare di crisi economica più che di donne. Ha condotto una campagna elettorale con toni molto accesi, accusando i ministri di usare il denaro pubblico per fare propaganda, di intimidire gli elettori, ha denunciato il restringimento di libertà per gli oppositori. Una «pasionaria». Considera normale che oggi le donne algerine al 63 percento abbiano un diploma superiore e che il 58 percento degli studenti universitari porti la gonna, meno che solo il 17,5 percento del monte salari sia riscosso da lavoratrici. Mancano i servizi, dice, per consentire alle donne di lavorare.
La scolarizzazione femminile si diffonde ovunque ma non necessariamente è accompagnata da diritti civili e politici. In Iran il 70 percento della popolazione universitaria è di sesso femminile. Prima della rivoluzione di Khomeini, non volendo o non potendo per obblighi familiari frequentare le scuole miste dello scià, due terzi delle donne erano illetterate. Paradossalmente il velo e la separatezza le ha aiutate a conquistare uno spazio pubblico, anche se limitato e sotto tutela. Ora le donne iraniane alfabetizzate sono l’80,3 percento, con una crescita del 126 percento nell’ultimo decennio come ha ricordato Tahere Nazari, teologa iraniana inviata dal governo di Teheran ad un incontro in Vaticano sulla famiglia che si è tenuto a Roma a fine febbraio.
Nell’ultimo decennio anche l’occupazione femminile in Iran è crescita del 12 percento e persino il governo integralista di Ahmedinejad riconosce che «a causa dell’economia moderna» la donna non può più rivestire unicamente il suo ruolo tradizionale di moglie e madre. Non essendo stati predisposti dei servizi sociali in grado di facilitare il doppio ruolo, anche qui però ogni lavoratrice madre ha semplicemente diritto a una riduzione di due ore dall’orario di lavoro rispetto al mansionario. Con conseguente riduzione dello stipendio.
In Iran i gioco politico non sta aiutando le donne finora. In previsione delle elezioni presidenziali del prossimo 12 giugno, la repressione degli integralisti al potere si è riversata prima di tutto verso le femministe: una brutale perquisizione negli uffici di Shirin Ebadi, prima donna giudice in Iran e Nobel per la Pace 2003, sostenitrice del riformatore Khatami e poi l’imprigionamento di alcune attiviste della campagna «Mille firme» per la parità giuridica e la fine delle discriminazioni di genere. Eppure secondo Katayoon Shahabi, produttrice di film e serial per la tv di Stato, per ottenere la fine della discriminazione non ci sarà bisogno di nessuna rivoluzione, neanche di velluto. «Semplicemente - ha detto in una recente intervista a un quotidiano britannico - le cose si stanno muovendo come un fiume e i fiumi non si fermano». Una goccia tira l’altra.
L’araba felice
Un libro sulla sessualità matrimoniale che fa furore negli Emirati Arabi, le prime magistrate. Le donne conquistano terreno anche in alcuni paesi islamici. In Algeria, dove oggi si va alle urne, la politica passa attraverso la proposta di quote rosa e il diritto di trasmettere la cittadinanza ai figli
di Rachele Gonnelli
Il primo centro in Siria per donne vittime di violenza coniugale. Le prime due donne giudici in Cisgiordania per di più specializzate in sharja, cioè in legislazione islamica. Un libro sulla sessualità matrimoniale che fa furore negli Emirati Arabi, uno dei paesi più retrivi sul piano dei diritti delle donne, oltretutto scritto da una assistente familiare donna. E la prima vigilessa, con il grado di colonnello istruttore, sempre negli Emirati Arabi, con il casco integrale al posto del velo. Sarà poco ma le donne conquistano terreno anche nei paesi dove spesso la misoginia è legge, dove non si può guidare o tramandare un bracciale di madre in figlia senza il consenso del marito e a divorziare, più che da noi, si rischia la vita.
Piccoli sorsi di libertà che sono tutti delle ultime settimane e mesi. Non riescono a diventare una marea montante, né ad avere una vasta eco neanche nei paesi dove si verificano. Certo non colmano il lago della condizione femminile in paesi come l’Afghanistan, dove è in discussione una legge che legittima addirittura lo stupro dei mariti. Eppure ci sono e qualcosa vorranno pur dire. Forse che comunque il cammino delle donne per quanto a piccoli passi non può essere arrestato.
Dopo il Marocco, dove nel 2006 è stato varato un nuovo codice di famiglia che stabilisce la parità giuridica tra i due sessi, il paese dove si registrano più segnali in direzione di una maggiore parità tra i generi e un riconoscimento del ruolo pubblico delle donne è l’Algeria. Un paese in bilico che va alle urne il 9 aprile, dove il voto delle donne sarà probabilmente decisivo. Il settantunenne Adbelaziz Bouteflika spera di rimanere al potere puntando su un mix di modernità e tradizione. Ha modificato la Costituzione per ottenere il terzo mandato. Ma ora teme il combinato disposto di un aumento dell’astensionismo e della ripresa della violenza integralista dei gruppi salafiti. Attentati non sono mancati negli ultimi tempi, come quello a fine febbraio che ha sfiorato un cantiere della ditta Astaldi.
La delusione degli algerini verso il progresso da Bouteflika, molto visibile sui blog e su Internet più che sulla stampa locale, potrebbe covare come paglia secca la miccia del fondamentalismo. Bouteflika lo sa. E sta cercando di usare le donne come acqua per spegnere le fiamme. Facendo concessioni ad un movimento che ha avuto un ruolo di primo piano sia durante la guerra di liberazione sia dalla fine della guerra civile degli anni Novanta con la leader Khalida Messaudi, dirigente del Movimento per la Repubblica, di ispirazione laica e democratica.
Un mese fa un decreto presidenziale ha riconosciuto il diritto alle donne algerine a trasmettere la cittadinanza ai loro figli, un diritto mai riconosciuto prima in un paese musulmano. Bouteflika ha poi annunciato la volontà di introdurre «quote rosa» per i ruoli più alti dell’amministrazione pubblica. Provvedimenti «paternalistici e umilianti» a sentire Louisa Hanoune, segretario generale del Partito dei Lavoratori algerino, una donna, sua principale sfidante alla poltrona presidenziale. Lei, che lo ha già fronteggiato nel 2004 e ci ha provato anche nel ’99, ama parlare di crisi economica più che di donne. Ha condotto una campagna elettorale con toni molto accesi, accusando i ministri di usare il denaro pubblico per fare propaganda, di intimidire gli elettori, ha denunciato il restringimento di libertà per gli oppositori. Una «pasionaria». Considera normale che oggi le donne algerine al 63 percento abbiano un diploma superiore e che il 58 percento degli studenti universitari porti la gonna, meno che solo il 17,5 percento del monte salari sia riscosso da lavoratrici. Mancano i servizi, dice, per consentire alle donne di lavorare.
La scolarizzazione femminile si diffonde ovunque ma non necessariamente è accompagnata da diritti civili e politici. In Iran il 70 percento della popolazione universitaria è di sesso femminile. Prima della rivoluzione di Khomeini, non volendo o non potendo per obblighi familiari frequentare le scuole miste dello scià, due terzi delle donne erano illetterate. Paradossalmente il velo e la separatezza le ha aiutate a conquistare uno spazio pubblico, anche se limitato e sotto tutela. Ora le donne iraniane alfabetizzate sono l’80,3 percento, con una crescita del 126 percento nell’ultimo decennio come ha ricordato Tahere Nazari, teologa iraniana inviata dal governo di Teheran ad un incontro in Vaticano sulla famiglia che si è tenuto a Roma a fine febbraio.
Nell’ultimo decennio anche l’occupazione femminile in Iran è crescita del 12 percento e persino il governo integralista di Ahmedinejad riconosce che «a causa dell’economia moderna» la donna non può più rivestire unicamente il suo ruolo tradizionale di moglie e madre. Non essendo stati predisposti dei servizi sociali in grado di facilitare il doppio ruolo, anche qui però ogni lavoratrice madre ha semplicemente diritto a una riduzione di due ore dall’orario di lavoro rispetto al mansionario. Con conseguente riduzione dello stipendio.
In Iran i gioco politico non sta aiutando le donne finora. In previsione delle elezioni presidenziali del prossimo 12 giugno, la repressione degli integralisti al potere si è riversata prima di tutto verso le femministe: una brutale perquisizione negli uffici di Shirin Ebadi, prima donna giudice in Iran e Nobel per la Pace 2003, sostenitrice del riformatore Khatami e poi l’imprigionamento di alcune attiviste della campagna «Mille firme» per la parità giuridica e la fine delle discriminazioni di genere. Eppure secondo Katayoon Shahabi, produttrice di film e serial per la tv di Stato, per ottenere la fine della discriminazione non ci sarà bisogno di nessuna rivoluzione, neanche di velluto. «Semplicemente - ha detto in una recente intervista a un quotidiano britannico - le cose si stanno muovendo come un fiume e i fiumi non si fermano». Una goccia tira l’altra.