Jean Raspail
I nomadi del mare
SugarCo, Milano 1987, pagg. 269
Di un raid automobilistico che, agli inizi degli anni Cinquanta, lo condusse dalla Terra del Fuoco all’Alaska, Jean Raspail ha conservato un ricordo ossessionante:
«Attraversando lo stretto di Magellano, ho incontrato, nello spazio di un’ora, sotto la neve, nel vento, uno degli ultimi canotti degli Alakaluf». Di questo incontro coi superstiti di un popolo respinto ai confini del mondo, l’autore di Le camp des saints e di Moi, Antoine de Tounens, roi de Patagonie ha fatto il lievito del suo ultimo romanzo, Qui se souvient des hommes..., ora tradotto in italiano con il titolo I nomadi del mare.
Nello stesso periodo, un etnologo diventato poi suo amico, José Emperaire, aveva voluto conoscere la vita che ancora conducevano, all’estremità del mondo australe, quegli Indiani Alakaluf la cui razza si è in seguito estinta. Avrebbe passato fra di loro due anni, dal 1951 al 1953, sotto le loro capanne di pelle di foca, sulla costa orientale della grande isola di Wellington. li suo libro, pubblicato nel 1955 da Gallimard con lo stesso titolo ora impiegato dall’editore italiano di Raspail (Les Nomades de la mer), non è mai stato riedito. José Emperaire era destinato a trovare la morte il 12 dicembre 1958, nello stesso stretto di Magellano, mentre, come ricorda Jean Raspail nella commovente dedica del suo libro, ~~cercava di ricostruire la storia di quel popolo disprezzato sulla base di vestigia vecchie cento secoli». L’opera più recente di Jean Raspail vuoi essere un «romanzo semplice», vale a dire il contrario di un «romanzo a tesi». Eppure, I nomadi del mare pone il problema dei popoli che rifiutano il modello occidentale senza peraltro trovare la via d’uscita che permetta loro di evolvere senza rinnegare la propria cultura. Il destino tragico degli Alakaluf ispira a Jean Raspail pagine la cui emozione non si distacca mai da una straordinaria dignità. Ma Raspail non è uomo da cedere al mito del «buon selvaggio». Ha troppo viaggiato, e troppo amato i popoli che ha incontrato, per abbandonarsi a questo genere di illusioni. Non è neppure uomo incline a coltivare sensi di colpa di qualsiasi tipo. Si fa carico, con lucidità e coraggio, della storia prometeica dell’Occidente, anche in ciò che essa ha di più discutibile ai nostri occhi. E non ha paura di esprimere la sua ammirazione per la fantastica energia, la volontà di potenza di quegli esploratori rinascimentali che, nel solco di Magellano, portarono con sè i germi della distruzione degli Alakaluf, nella fattispecie la Croce e la tecnica...
La ricchezza umana de I nomadi del mare risiede tutta proprio in questa ambiguità. Tratteggiando il dramatico confronto fra Alakaluf ed europei con una imparzialità notevole, Jean Raspail fa sfoggio di una sensibilità pudica ed inquieta, nemica delle certezze ideologiche. Non ci sono né buoni né cattivi (salvo uno) ne I nomadi del mare. Solamente uomini, e soprattutto una terribile incomprensione. Ciononostante, il lettore non potrà impedirsi di pensare che il confronto sarebbe stato diverso, se il virus universalista non avesse infettato l’Occidente... E che se non sapranno opporre un’alternativa al nuovo virus che giunge oggi a loro da oltre-Atlantico, gli europei potrebbero davvero subire a loro volta la sorte dei «nomadi del mare».
(…)
da Diorama Letterario, gennaio 1988, pagina 25
I nomadi del mare
SugarCo, Milano 1987, pagg. 269
Di un raid automobilistico che, agli inizi degli anni Cinquanta, lo condusse dalla Terra del Fuoco all’Alaska, Jean Raspail ha conservato un ricordo ossessionante:
«Attraversando lo stretto di Magellano, ho incontrato, nello spazio di un’ora, sotto la neve, nel vento, uno degli ultimi canotti degli Alakaluf». Di questo incontro coi superstiti di un popolo respinto ai confini del mondo, l’autore di Le camp des saints e di Moi, Antoine de Tounens, roi de Patagonie ha fatto il lievito del suo ultimo romanzo, Qui se souvient des hommes..., ora tradotto in italiano con il titolo I nomadi del mare.
Nello stesso periodo, un etnologo diventato poi suo amico, José Emperaire, aveva voluto conoscere la vita che ancora conducevano, all’estremità del mondo australe, quegli Indiani Alakaluf la cui razza si è in seguito estinta. Avrebbe passato fra di loro due anni, dal 1951 al 1953, sotto le loro capanne di pelle di foca, sulla costa orientale della grande isola di Wellington. li suo libro, pubblicato nel 1955 da Gallimard con lo stesso titolo ora impiegato dall’editore italiano di Raspail (Les Nomades de la mer), non è mai stato riedito. José Emperaire era destinato a trovare la morte il 12 dicembre 1958, nello stesso stretto di Magellano, mentre, come ricorda Jean Raspail nella commovente dedica del suo libro, ~~cercava di ricostruire la storia di quel popolo disprezzato sulla base di vestigia vecchie cento secoli». L’opera più recente di Jean Raspail vuoi essere un «romanzo semplice», vale a dire il contrario di un «romanzo a tesi». Eppure, I nomadi del mare pone il problema dei popoli che rifiutano il modello occidentale senza peraltro trovare la via d’uscita che permetta loro di evolvere senza rinnegare la propria cultura. Il destino tragico degli Alakaluf ispira a Jean Raspail pagine la cui emozione non si distacca mai da una straordinaria dignità. Ma Raspail non è uomo da cedere al mito del «buon selvaggio». Ha troppo viaggiato, e troppo amato i popoli che ha incontrato, per abbandonarsi a questo genere di illusioni. Non è neppure uomo incline a coltivare sensi di colpa di qualsiasi tipo. Si fa carico, con lucidità e coraggio, della storia prometeica dell’Occidente, anche in ciò che essa ha di più discutibile ai nostri occhi. E non ha paura di esprimere la sua ammirazione per la fantastica energia, la volontà di potenza di quegli esploratori rinascimentali che, nel solco di Magellano, portarono con sè i germi della distruzione degli Alakaluf, nella fattispecie la Croce e la tecnica...
La ricchezza umana de I nomadi del mare risiede tutta proprio in questa ambiguità. Tratteggiando il dramatico confronto fra Alakaluf ed europei con una imparzialità notevole, Jean Raspail fa sfoggio di una sensibilità pudica ed inquieta, nemica delle certezze ideologiche. Non ci sono né buoni né cattivi (salvo uno) ne I nomadi del mare. Solamente uomini, e soprattutto una terribile incomprensione. Ciononostante, il lettore non potrà impedirsi di pensare che il confronto sarebbe stato diverso, se il virus universalista non avesse infettato l’Occidente... E che se non sapranno opporre un’alternativa al nuovo virus che giunge oggi a loro da oltre-Atlantico, gli europei potrebbero davvero subire a loro volta la sorte dei «nomadi del mare».
(…)
da Diorama Letterario, gennaio 1988, pagina 25