La Stampa Tuttolibri 14.6.08
E i bizantini...
Pure i greci non furono mai "puri"
Da Pericle all'Ellenismo Incontri e contaminazioni nel Mediterraneo
di Claudio Franzoni
Poche epoche sanno, come la nostra, che cosa significhi mobilità delle merci, degli uomini, degli schemi culturali; eppure fenomeni analoghi e di non minore portata si sono verificati già molti secoli fa, e in particolare all'interno del Mediterraneo del primo millennio avanti Cristo. È questo uno dei temi che attraversa i due volumi della Storia d'Europa e del Mediterraneo diretta da Alessandro Barbero (Salerno Editrice) dedicati al mondo greco: Grecia e Mediterraneo dall'VIII sec. a. C. all'età delle guerre persiane (pp. 734, 140) e Grecia e Mediterraneo dall'età delle guerre persiane all'Ellenismo (pp. 740, 140), entrambi curati da Maurizio Giangiulio.
Un gruppo che comprende trentadue studiosi e lo stesso curatore compie un lungo percorso che si snoda, per tutti e due i volumi, in tre grandi sezioni, «Contesti e processi», «Eventi», «Società e cultura»; inserti iconografici a colori e cartine affiancano i saggi, ciascuno corredato da una sintetica bibliografia di riferimento.
Nonostante la ricchissima articolazione delle sezioni, l'opera non abbandona affatto l'idea di un racconto storico attento agli avvenimenti; ecco dunque vicende, figure e luoghi familiari anche a chi non abbia una speciale consuetudine con il mondo classico: la colonizzazione, le guerre persiane, la guerra del Peloponneso; Pisistrato, Pericle, Alessandro Magno; Sparta, Atene, la Macedonia. Un percorso di lettura dell'opera può essere dunque quello tradizionale che segue il filo degli eventi, sennonché il loro dipanarsi tende di continuo ad aprirsi geograficamente, verso un quadro sempre più «internazionale» e sempre meno locale; a questo si deve, per fare un solo esempio, l'attenzione alla formazione dell'«impero» fenicio e al ruolo di Cartagine.
Ma è nella prima parte di ciascun volume «Contesti e processi» che gli orizzonti tendono maggiormente ad allargarsi, obbedendo in definitiva alla cornice «europea» dell'intera serie; nel primo volume ecco entrare in scena il mondo etrusco e i popoli italici, ma anche quelle che per lungo tempo sono state guardate come periferie del mondo greco, l'Asia Minore, la Magna Grecia e la Sicilia; nel secondo volume la stessa sezione si apre anche al mondo romano, con una discussione sulle origini di Roma tema quanto mai presente nella letteratura specialistica degli ultimi anni e con un esame della struttura sociale e politica della città-stato in età repubblicana.
Come accade in quest'ultimo caso, dilatare i confini geografici significa anche aprirsi verso problemi più generali: la formazione della civiltà greca, la nascita della polis e, naturalmente, i meccanismi della democrazia ateniese. Particolarmente interessante, in entrambi i volumi, l'approccio alle aree orientali lo spazio tra Iran e Mare Egeo che viene condotto dal punto di vista degli studiosi di iranistica, ribaltando quindi la direzione del consueto sguardo da Occidente; l'area di contatto tra civiltà così distanti, quella greca e quella dei Medi e Persiani, diventa luogo di scontri, ma anche di scambi e di contaminazioni, di cui è spia evidente la molteplicità degli usi linguistici e la sovrapposizione di esperienze culturali.
In queste zone, per così dire, di interfaccia tra civiltà diverse si tocca quasi con mano l'artificiosità dell'idea di una Grecia «pura» e incontaminata, e perciò potenzialmente esemplare; del resto in pressoché tutti i saggi l'attenzione è rivolta proprio agli elementi dinamici che caratterizzano la storia del Mediterraneo antico, e con coerenza vengono rimarcati i processi di trasformazione e di transizione originati da contatti e da interazioni, processi che possono avvenire tanto all'interno delle grandi aree, quanto entro una singola città-stato.
È nella sezione che chiude i libri «Società e cultura» che la complessa dinamica della vita delle città greche viene osservata anche nelle pratiche culturali, sia che si tratti della vita teatrale, della produzione letteraria o della riflessione filosofica; persino la vasta regione dei miti greci, apparentemente così lontana dalla dimensione della storia, viene ricondotta entro le dinamiche delle società, osservandone il «funzionamento» entro la stessa città greca (dove i miti servono anche a costruire l'identità delle singole comunità) e al di fuori della Grecia stessa (i miti legati ai viaggi dei Greci sul mare).
Due imperi, un unico karma geopolitico. Al rinato interesse per quell'interfaccia tra oriente e occidente che fu l'impero ottomano si affianca una sempre maggiore attenzione per l'impero che lo precedette lungo undici secoli nella stessa area del globo: quello bizantino. Nel libro di Judith Herrin «Bisanzio. Storia straordinaria di un impero millenario» (Corbaccio, pp. 470, 22,60) la storia bizantina è letta in chiave attualizzante, come indispensabile per comprendere le complesse radici culturali dell'Europa. Mentre Hartmut Leppin si concentra sulla cristianizzazione dell'impero romano d'oriente nell'attento, rigorosissimo volume dedicato al più controverso dei suoi artefici, «Teodosio il Grande» (Salerno, pp. 350, 26 ). Anche in Italia la bizantinistica si risveglia. Giorgio Ravegnani, nei suoi «Imperatori di Bisanzio» (Il Mulino, pp. 186, 11,50), offre una preziosa, sintetica quanto documentata e aggiornata panoramica dell'intero millennio bizantino. Mentre Mario Gallina, nell'ottimo «Bisanzio. Storia di un impero (secoli IV-XIII) » edito da Carocci (pp. 306, 23,70), si ferma alla vigilia di quella devastante catastrofe che fu la presa crociata di Costantinopoli del 1204. La stessa «Conquista di Costantinopoli» che Geoffroy de Villehardouin narra, non certo imparzialmente, in uno dei più impressionanti documenti storici mai prodotti da un occidentale su Bisanzio (SE, pp. 159, 19). tità di prima linea di difesa per l'Europa». Da allora in poi gli Asburgo mobilitarono sotto le insegne imperiali le risorse di tedeschi, ungheresi, cèchi, croati, slovacchi e italiani, associando veneziani e polacchi, costruendo un impero multietnico e multireligioso, che durerà fino al 1918. Sarà così l'impero asburgico il vero continuatore di quello bizantino: crinale tra oriente e occidente, difensore e insieme ibridatore di popoli e culture, mediatore di forme d'arte, di musica, di letteratura. Erede, nell'era degli stati nazionali, di quella Sehnsucht imperiale, di quel nostalgico, malinconico senso di un dovere storico sempre venato dal presagio di una fine, che aveva pervaso per secoli la civiltà di Bisanzio
E i bizantini...
Pure i greci non furono mai "puri"
Da Pericle all'Ellenismo Incontri e contaminazioni nel Mediterraneo
di Claudio Franzoni
Poche epoche sanno, come la nostra, che cosa significhi mobilità delle merci, degli uomini, degli schemi culturali; eppure fenomeni analoghi e di non minore portata si sono verificati già molti secoli fa, e in particolare all'interno del Mediterraneo del primo millennio avanti Cristo. È questo uno dei temi che attraversa i due volumi della Storia d'Europa e del Mediterraneo diretta da Alessandro Barbero (Salerno Editrice) dedicati al mondo greco: Grecia e Mediterraneo dall'VIII sec. a. C. all'età delle guerre persiane (pp. 734, 140) e Grecia e Mediterraneo dall'età delle guerre persiane all'Ellenismo (pp. 740, 140), entrambi curati da Maurizio Giangiulio.
Un gruppo che comprende trentadue studiosi e lo stesso curatore compie un lungo percorso che si snoda, per tutti e due i volumi, in tre grandi sezioni, «Contesti e processi», «Eventi», «Società e cultura»; inserti iconografici a colori e cartine affiancano i saggi, ciascuno corredato da una sintetica bibliografia di riferimento.
Nonostante la ricchissima articolazione delle sezioni, l'opera non abbandona affatto l'idea di un racconto storico attento agli avvenimenti; ecco dunque vicende, figure e luoghi familiari anche a chi non abbia una speciale consuetudine con il mondo classico: la colonizzazione, le guerre persiane, la guerra del Peloponneso; Pisistrato, Pericle, Alessandro Magno; Sparta, Atene, la Macedonia. Un percorso di lettura dell'opera può essere dunque quello tradizionale che segue il filo degli eventi, sennonché il loro dipanarsi tende di continuo ad aprirsi geograficamente, verso un quadro sempre più «internazionale» e sempre meno locale; a questo si deve, per fare un solo esempio, l'attenzione alla formazione dell'«impero» fenicio e al ruolo di Cartagine.
Ma è nella prima parte di ciascun volume «Contesti e processi» che gli orizzonti tendono maggiormente ad allargarsi, obbedendo in definitiva alla cornice «europea» dell'intera serie; nel primo volume ecco entrare in scena il mondo etrusco e i popoli italici, ma anche quelle che per lungo tempo sono state guardate come periferie del mondo greco, l'Asia Minore, la Magna Grecia e la Sicilia; nel secondo volume la stessa sezione si apre anche al mondo romano, con una discussione sulle origini di Roma tema quanto mai presente nella letteratura specialistica degli ultimi anni e con un esame della struttura sociale e politica della città-stato in età repubblicana.
Come accade in quest'ultimo caso, dilatare i confini geografici significa anche aprirsi verso problemi più generali: la formazione della civiltà greca, la nascita della polis e, naturalmente, i meccanismi della democrazia ateniese. Particolarmente interessante, in entrambi i volumi, l'approccio alle aree orientali lo spazio tra Iran e Mare Egeo che viene condotto dal punto di vista degli studiosi di iranistica, ribaltando quindi la direzione del consueto sguardo da Occidente; l'area di contatto tra civiltà così distanti, quella greca e quella dei Medi e Persiani, diventa luogo di scontri, ma anche di scambi e di contaminazioni, di cui è spia evidente la molteplicità degli usi linguistici e la sovrapposizione di esperienze culturali.
In queste zone, per così dire, di interfaccia tra civiltà diverse si tocca quasi con mano l'artificiosità dell'idea di una Grecia «pura» e incontaminata, e perciò potenzialmente esemplare; del resto in pressoché tutti i saggi l'attenzione è rivolta proprio agli elementi dinamici che caratterizzano la storia del Mediterraneo antico, e con coerenza vengono rimarcati i processi di trasformazione e di transizione originati da contatti e da interazioni, processi che possono avvenire tanto all'interno delle grandi aree, quanto entro una singola città-stato.
È nella sezione che chiude i libri «Società e cultura» che la complessa dinamica della vita delle città greche viene osservata anche nelle pratiche culturali, sia che si tratti della vita teatrale, della produzione letteraria o della riflessione filosofica; persino la vasta regione dei miti greci, apparentemente così lontana dalla dimensione della storia, viene ricondotta entro le dinamiche delle società, osservandone il «funzionamento» entro la stessa città greca (dove i miti servono anche a costruire l'identità delle singole comunità) e al di fuori della Grecia stessa (i miti legati ai viaggi dei Greci sul mare).
Due imperi, un unico karma geopolitico. Al rinato interesse per quell'interfaccia tra oriente e occidente che fu l'impero ottomano si affianca una sempre maggiore attenzione per l'impero che lo precedette lungo undici secoli nella stessa area del globo: quello bizantino. Nel libro di Judith Herrin «Bisanzio. Storia straordinaria di un impero millenario» (Corbaccio, pp. 470, 22,60) la storia bizantina è letta in chiave attualizzante, come indispensabile per comprendere le complesse radici culturali dell'Europa. Mentre Hartmut Leppin si concentra sulla cristianizzazione dell'impero romano d'oriente nell'attento, rigorosissimo volume dedicato al più controverso dei suoi artefici, «Teodosio il Grande» (Salerno, pp. 350, 26 ). Anche in Italia la bizantinistica si risveglia. Giorgio Ravegnani, nei suoi «Imperatori di Bisanzio» (Il Mulino, pp. 186, 11,50), offre una preziosa, sintetica quanto documentata e aggiornata panoramica dell'intero millennio bizantino. Mentre Mario Gallina, nell'ottimo «Bisanzio. Storia di un impero (secoli IV-XIII) » edito da Carocci (pp. 306, 23,70), si ferma alla vigilia di quella devastante catastrofe che fu la presa crociata di Costantinopoli del 1204. La stessa «Conquista di Costantinopoli» che Geoffroy de Villehardouin narra, non certo imparzialmente, in uno dei più impressionanti documenti storici mai prodotti da un occidentale su Bisanzio (SE, pp. 159, 19). tità di prima linea di difesa per l'Europa». Da allora in poi gli Asburgo mobilitarono sotto le insegne imperiali le risorse di tedeschi, ungheresi, cèchi, croati, slovacchi e italiani, associando veneziani e polacchi, costruendo un impero multietnico e multireligioso, che durerà fino al 1918. Sarà così l'impero asburgico il vero continuatore di quello bizantino: crinale tra oriente e occidente, difensore e insieme ibridatore di popoli e culture, mediatore di forme d'arte, di musica, di letteratura. Erede, nell'era degli stati nazionali, di quella Sehnsucht imperiale, di quel nostalgico, malinconico senso di un dovere storico sempre venato dal presagio di una fine, che aveva pervaso per secoli la civiltà di Bisanzio