Un saggio di Lina Bolzoni sul rapporto tra scrittura e pittura. Il cuore di cristallo della nostra civiltà
BENEDETTA CRAVERI
MERCOLEDÌ, 29 DICEMBRE 2010 LA REPUBBLICA - Cultura
Attraverso l´opera del Bembo si analizza un´epoca e come si è evoluta la cultura
Sono gli Asolani di Pietro Bembo a servire da punto d´avvio della splendida lezione di civiltà letteraria che Lina Bolzoni ci offre oggi con Il cuore di cristallo. Ragionamenti d´amore, poesia e ritratto nel Rinascimento (Einaudi). Una lezione che dall´indagine delle varianti testuali del celebre dialogo si estende via via alle altre opere dello scrittore, ai suoi modelli letterari - Dante, Petrarca, Boccaccio - , alla lirica a lui contemporanea, fino ad abbracciare la pittura e il ritratto. Sul filo di questo gioco vertiginoso di analogie e rimandi che costituiscono la sua ricerca, il saggio ricostruisce, infatti, "una vicenda pluridimensionale, in cui è possibile rintracciare, intorno ai grandi temi dell´amicizia, dell´amore, della rappresentazione dell´io, rapporti del tutto inaspettati".
Proviamo allora a ricordare alcuni momenti di questo viaggio che ci porta al cuore della civiltà italiana del Rinascimento. Pubblicati nel 1505, a Venezia, da Aldo Manuzio, gli Asolani sono la prima opera in volgare di Bembo (1470-1547), giovane e coltissimo patrizio veneziano. Ad imporsi all´attenzione è in primo luogo l´architettura narrativa di tipo ternario dell´opera: ci troviamo di fronte a tre libri, rispondenti a tre dialoghi - introdotti da tre canzoni - nel corso dei quali tre giovani gentiluomini illustrano la loro diversa concezione dell´amore a tre giovani dame. La cornice che dà il nome al dialogo è quella del castello di Asolo dove la regina di Cipro, Caterina Cornaro, sta festeggiando le nozze di una delle sue damigelle d´onore.
Tuttavia sarebbe sbagliato credere che questo elaboratissimo gioco di simmetrie rinvii a un discorso univoco. Il tre non è forse un numero magico? E, ricomposti insieme, i ritratti dei tre protagonisti del dialogo non ci offrono in realtà l´autoritratto dello stesso Bembo? E anziché l´amore non è piuttosto lo statuto stesso della letteratura ad essere qui al centro della riflessione? E la letteratura non apparirà allora come una vita vissuta indirettamente, "come un percorso che guida alla conoscenza e insieme una terapia dell´anima "?
Ma nel momento stesso in cui sembra investire la letteratura di un potere ermeneutico assoluto, Bembo si dimostra pronto a rimettere tutto in discussione. In che misura la ricerca della verità può essere compatibile con la vocazione ludica della scrittura? La letteratura non rischia di diventare una fuga e un rifugio nel sogno? E qual è la natura delle immagini mentali e il senso da dare alle figure del mito? Come mostra la Bolzoni, è proprio parlando dei sogni che Bembo rivela fino a che punto abbia fatto sua la lezione della Theologia platonica di Marsilio Ficino. Noi siamo quello che sogniamo non solo in vita ma anche dopo la morte e l´inferno altro non è che il mondo dei sogni che l´anima impura porta con sé. Ma in "questa radicale decostruzione del punto di vista sul mondo" suggerita nel terzo dialogo, anche il grande topos letterario della trasparenza del cuore innamorato così caro a Petrarca - "Avess´io almen d´un bel cristallo il core" - si rivela una ingannevole utopia.
Per quale singolare paradosso, allora, quest´arte della parola letteraria di cui Bembo non si stanca di celebrare la capacità di svelamento e che sola sembra detenere la facoltà di penetrare nell´interiorità e cogliere l´essenza delle cose, "si protende" continuamente verso l´immagine, fa così spesso ricorso a metafore visive e entra in gara con la pittura?
E´ proprio su questo rapporto complesso di "rispecchiamento e di competizione" che si instaura tra poesia e ritratto che Lina Bolzoni torna qui nuovamente a riflettere. Confrontata alla voga crescente del ritratto e all´enorme prestigio raggiunto dalle arti visive nella civiltà rinascimentale, la poesia intende, in effetti, giovarsi delle suggestioni che le vengono dal mondo delle immagini e, al tempo stesso, difendere la superiorità conferitale dalla tradizione. L´impresa si rivela però tutt´altro che facile. Se, poeta egli stesso, Michelangelo evidenzia il carattere comune del processo artistico, altri geni sommi come Leonardo e Tiziano rivendicano con intransigenza la superiorità del linguaggio pittorico.
Di questa splendida gara di emulazione a base di versi, iscrizioni, motti, emblemi, imprese, allegorie, medaglie, ritratti di cui Lina Bolzoni ci regala oggi la storia, mi limiterò a uno degli esempi più celebri: il ritratto "doppio" di Battista Sforza e di Federico da Montefeltro, ad opera di Piero della Francesca, davanti a cui sfilano ogni giorno i visitatori degli Uffizi.
Colti di profilo, secondo il modello numismatico, i ritratti del duca e della duchessa di Urbino ci trasmettono un primo messaggio di straordinaria efficacia politica. Ma per trascendere le contingenze storiche e proiettare i suoi committenti nel mondo eterno dei valori, le loro effigi non bastano e, per dar voce a questo secondo messaggio, Piero ha dovuto, sul rovescio delle due tavole, raffigurarli di nuovo, facendo ricorso anche alla scrittura e al linguaggio allegorico. Questa volta i due sposi sono ritratti da lontano, seduti sui due carri di trionfo di cui due iscrizioni latine spiegano la valenza simbolica - la duchessa incarna la Modestia, il duca la Fama - mentre il paesaggio sullo sfondo sta ad indicare la continuità con i ritratti precedenti. In una sintesi vertiginosa tra storia e mito, tradizione letteraria e sapere antiquario, interiorità e immagine, i ritratti doppi dei duchi di Urbino disegnano così, sui due lati di una stessa tavola, i momenti successivi di un percorso comune a tutte le arti. Un percorso che va, come scrive la Bolzoni, dall´individuale all´universale e "che nutre la memoria, stimola all´imitazione, e si può variamente declinare".