l’Unità 8.12.10
Riscoperte
Da Creta all’India nel nuovo libro del Nobel un viaggio straordinario
Eros e civiltà (e trasgressione...) in tre millenni di storia umana
Escort e lap dance? No grazie Quando l’osceno era sacro
In libreria «L’osceno è sacro» di Dario Fo (a cura di Franca Rame, Guanda, pp.293, euro 20). L’osceno non quotidiano, l’osceno catartico: ecco un libro che ci fa riflettere davvero sulla trivialità. Di ieri e di oggi.
di Gaia Manzini
Anni luce dal bunga bunga, lustri da escort e accompagnatrici, dalla lap dance e sex and the city, dall’età di lulù e dalla depilazione brasiliana, prima dei cento colpi di spazzola (e prima pure delle spazzole), esisteva tutto un esercito di tòpole, che l’immaginario voleva gaudenti, più rubacuori, rubiconde e rubizze, di una rubi qualsiasi.
Già, perché nella tradizione popolare il sesso femminile impazza che è una bellezza dall’Alto al Basso Medioevo: la parpàja (farfalla), il mügnaghìn (albicocchina), la ciumachèlla, la pèrsega (pesca), la ciùccia, la cumachèna, lo sticchiu, il coño, la móna, la fessa, la muscarella (il muschio), il brolo tenerin de dolzo parfùmo (ma qui solo come «auto definizione»). Tutta una storia di trivio e giullarate, che Fo richiama a memoria per riabilitare l’osceno come tale, nella sua funzione giocosa e vitale, parte (ma, attenzione, solo parte) della cultura di un popolo.
Osceno che non è all’ordine del giorno (se no che osceno sarebbe?). Osceno che è e vuole essere osceno, per liberare da vizio e perversione. Osceno catartico, dunque sacro.
E, allora, ecco che non mancano all’appello miti greci ed etruschi, riletture apuleiane e cretesi giochi rituali. E poi, conte popolari che con bretoniano surrealismo mettono in scena sticchi parlanti e dotati di vita propria, che espongono le loro lamentazioni per l’onore calpestato e la dignità vilipesa, direttamente al Padreterno. Oppure storie di fanciulle siciliane violate e di satiri bavosi, che perseguono l’impunità grazie a la defénsa, la legge promulgata a loro favore da Federico II, come racconta Cielo d’Alcamo. Nobiluomini, che con le braghe ancora calate, potevano estrarre duemila augustari, gettarli sulla violata a mo’ di risarcimento e scampare così il carcere e il tribunale. Storie che ricordano pericolosamente tanti fabulazzi odierni, di quelli che fioriscono rigogliosi tra le pagine dei giornali, tra menzogne e agnizioni, finzioni e stratagemmi che manco Plauto...
LA PARPÀJA DIMENTICATA
Poi, storie dell’XI secolo, come quella di Alessia, la donna che non vuole concedersi allo sposo, Giavàn Petro, tonto e poco virile, e inventa che la sua parpàja è stata dimenticata alla casa paterna. Storie di falloforie e fanciulle gaudenti che cavalcano tori con mosse circensi. Storie sacre di ceri da chiesa che evocano altro, e che la tradizione popolare porta in processione e simbolica corsa verso anfore, che dicono di vita e fertilità. Storie desunte e rielaborate da Le mille e una notte. Infine, storie trecentesche di falli falliti, come quello di Bellomo. Falli che mettono in imbarazzo per la loro ingordigia e prontezza di riflessi, e allora, per un incantesimo, cadono insieme ai loro attributi, e così, tutti scissi l’un dall’altro, con personalità precise e a tutto tondo, falli, ammennicoli e «cavalieri sfallati (immagine da augurarsi profetica per l’oggi della nostra storia politica) diventano un’ottima compagnia di giro. Comici che neanche allo Zelig.
Come da copertina, gli splendidi bassorilievi indiani di Khajurhao, nel Madhya Pradesh, rappresentano pratiche erotiche e formosità femminili dalle avvenenti proporzioni. Eppure non c’è nulla di volgare. Nonostante le guide della città attirino i turisti con slogan di basso livello, «The most exciting tour in your life», una volta arrivati si assiste a uno spettacolo di pura e autentica bellezza. L’osceno, dunque, serve a trascendere se stesso e a restituire all’oggetto in questione piena dignità. Ma un problema rimane: se il triviale è parte della cultura d’un popolo, che dire quando (come capita dalle nostre parti) il triviale diventa la cultura di un popolo? Forse la ripetizione continua, la duplicazione arbitraria di fatti osceni e volgari, deve averci ormai anestetizzati alla trivialità... be’ allora, chiedo a Fo, cosa dovremmo fare? Ormai che i giochi sono fatti, a quale osceno sacro possiamo votarci?