l’Unità 19.6.10
Addio Saramago, il mondo è cieco senza il tuo sguardo
Fedele alle idee: È sempre rimasto duro, combattivo e comunista
Fedele alla politica: Aveva conosciuto, in casa, la dittatura di Salazar
di Oreste Pivetta
È morto a 87 anni il grande scrittore portoghese, autore di Memoriale del convento e Cecità
Di recente teneva un blog per ritrovare nell’immaginazione compagni d’avventure letterarie
Il manifesto Aveva un’antipatia mai dissimulata per Israele
La sua prosa Maestosa, avvolgente, sinuosa: ti prende per mano e ti accompagna
Lo scrittore portoghese e Premio Nobel per la Letteratura è morto all’età di 87 anni a causa di una leucemia cronica nella sua casa di Lanzarote, isola delle Canarie, dove risiedeva dal 1991.
Saramago conobbe momenti di celebrità anche in Italia: quando apparvero i suoi romanzi più belli, come Cecità, quando nel 1998 vinse il Nobel, quando fece intendere che cosa pensava di Berlusconi. Scrivendo di Berlusconi divise il suo pubblico vecchio e possibile, s’attirò accuse pesanti, si guadagnò simpatie estreme. Ormai ottantasettenne. La sua polemica antiberlusconiana sta in un libretto, Il Quaderno, che venne pubblicato da Bollati Boringhieri, dopo che l’Einaudi mondadoriana l’aveva rifiutato. Censura, non si discute. Troppo esplicito il verdetto di condanna nei confronti del nostro presidente del consiglio e dell’italietta pecorona e volgare modellata a sua immagine. Non tutta l’Italia è così e Saramago lo sapeva, altrimenti non avrebbe accettato un viaggio nella piovosissima Torino, per presentare il suo «diario». Che stupiva già per una ragione intrinseca, per il modo con cui era nato, cioè dialogando in un blog: che un vecchio intellettuale famoso, in marcia verso i novant’anni, perdesse il suo tempo dietro un blog potrebbe apparire insolito...
Ho usato l’espressione «in marcia» non a caso, perché al nostro appuntamento me lo vidi, alla lettera, marciare incontro, ritto, elegante in completo grigio, camicia e cravatta (con la bella moglie, assai più giovane, al fianco). Era magro, il viso scavato, calvo, mai stanco di parlare, anche se gli altri tutto attorno trepidavano in ansia per la sua stanchezza. Mi spiegò che il blog era un’invenzione di un cognato. Lui si era prestato volentieri a quel dialogo quotidiano, che gli serviva per ritrovare nell’immaginazione vecchi compagni d’avventure letterarie, per connettere tanti episodi della sua esistenza, per introdurre temi di carattere universale, dalla fame nel mondo al potere delle banche, per polemizzare non risparmiandosi avversari. Perché se, dicendo dell’Italia, il suo bersaglio preferito era Berlusconi, ne aveva pesantemente anche per la nostra sinistra, sbeffeggiata per la sua indolenza in varie pagine, con un angolo riservato al nostro Veltroni, descritto, in modo crudo, fragile di carattere e assai incerto nell’ideologia. A proposito di Berlusconi ne scrisse di peggio. Citiamo: «Con la sua particolarissima opinione sulla ragione d’essere e il significato dell’istituzione democratica,
Berlusconi ha trasformato in pochi anni l’Italia nell’ombra grottesca di un Paese e una grande parte degli italiani in una moltitudine di burattini...».
Francamente non mi sentirei di dissentire, ma ci sarà stato qualcuno che l’avrà tacciato di settarismo e l’avrà accusato di non conoscere la realtà del bel paese. Il dubbio venne anche a me e glielo esposi. Saramago teneva un’aria seria, non sorrideva. Accettava le mie domande senza un attimo di impazienza, rispondeva pacato e lento nella parola. Mi rispose che conosceva l’Italia grazie ai suoi viaggi, agli amici che gli riferivano, ai giornali. Ineccepibile. Poi c’era il blog... Ci sarebbe altro da raccontare, ad esempio l’antipatia mai dissimulata per Israele, con qualche durezza di troppo, come nel manifesto che firmò in nobile compagnia, con John Berger, Noam Chomsky, Harold Pinter, Gore Vidal, l’ostilità nei confronti della chiesa portoghese e del «suo» Dio «vendicativo, rancoroso, cattivo, indegno di fiducia», lo spregio per i banchieri, considerati più o meno delle canaglie (s’era in piena crisi finanziaria). Insomma Saramago, dal ritiro di Lanzarote, alle Canarie, dove ieri è morto, non si risparmiava, duro, combattivo e comunista, come era rimasto, fedele a un’idea più che alla sua dispersione materiale nel corso della storia. Aveva conosciuto, in casa, la dittatura di Salazar (al partito comunista portoghese, in clandestinità, s’era iscritto nel 1959), appena oltre confine poteva apprezzare quella di Franco. Dopo la libertà, che arrivò con la rivoluzione dei garofani, era rimasto un uomo all’antica, onesto, un combattente, diventando un «grande scrittore», come lo riteneva il più grande dei critici, Harold Bloom: un «titano» lo considerava. Certo rappresenta una delle voci più maestose del secolo che è da poco passato. Maestosa è la sua prosa, avvolgente, sinuosa: ti prende per mano e ti conduce tra i misteri della vita e della storia, insegnando a guardare, moltiplicando gli sguardi lungo le traiettorie dell’insolito, come nel suo romanzo forse più bello, Cecità, dove la nebbia diventa la lente che costringe a seguire passaggi anomali e per questo meglio aperti sulla verità. C’è anche ironia nelle sue pagine e c’è soprattutto pena per una umanità fragile, destinata alla sconfitta.
José de Sousa Saramago era nato ad Azinhaga il 16 novembre 1922. Il padre era un agricoltore, che, una volta a Lisbona dal 1924, aveva trovato lavoro come poliziotto. Il fratello minore, Francisco, morì a due anni, pochi mesi dopo l’arrivo nella capitale. Non c’erano soldi in famiglia e così il giovane Saramago non frequentò l’università, ingegnandosiper mantenersi nei lavori più diversi, fabbro, disegnatore, correttore di bozze, traduttore, giornalista, fino a impiegarsi in campo editoriale, lavorando per dodici anni come direttore letterario e di produzione. Il suo primo romanzo, Terra del peccato, del 1947, non trovò gran fortuna. Sino alla Rivoluzione dei Garofani, nel ‘74, Saramago visse una stagione di formazione. Pubblicò poesie (Le poesie possibili, 1966), cronache (Di questo e d’altro mondo, 1971), testi teatrali, novelle. Il secondo Saramago (vice direttore del quotidiano Diario de Noticias nel ‘75 e quindi scrittore a tempo pieno), crollata la dittatura, si presentò nel 1977 con il romanzo Manuale di pittura e calligrafia, seguito da Una terra chiamata Alentejo, incentrato sulla rivolta della popolazione della regione più ad Est del Portogallo. Ma è con Memoriale del convento (1982) che ottenne il successo. In sei anni pubblicò tre opere di grande impatto (oltre al Memoriale, L’anno della morte di Riccardo Reis e La zattera di pietra). Gli anni novanta lo consacrarono con L’assedio di Lisbona, Il Vangelo secondo Gesù e Cecità.
Nel 1998 il riconoscimento «ufficiale»: il Nobel. Non piacque al Vaticano il premio ad un uomo che non s’era mai risparmiato nelle critiche alla Chiesa, alla religione, ad un certo modo di usare persino Dio. Critiche che gli dettava la vicenda del suo paese e della Spagna accanto.