il Fatto Saturno 21.10.11
Croce e potere. E i cristiani si armarono
Lucia Ceci
DISTRUGGERE PIETRE, si sa, vuol significare spesso affrancarsi da un intero sistema. Stanno a dimostrarlo immagini che condensano passaggi epocali: l’abbattimento della statua di Stalin a Budapest nell’ottobre 1956, la demolizione di centinaia di immagini di Saddam Hussein in Iraq, il fuoco talebano sui Buddha di Bamiyan.
A sancire uno spartiacque decisivo nella storia del cristianesimo fu la distruzione, nel 391, del Serapeo di Alessandria d’Egitto, il tempio dedicato al dio regolatore delle acque del Nilo, garante della salute dei vivi e del destino dei morti. Ne fece le spese soprattutto la smisurata statua di Se-rapide, fatta in legno laminato d’oro e d’argento, che i cristiani decapitarono, spaccarono a colpi d’ascia e diedero alle fiamme al cospetto di cittadini increduli. Dal Serapeo la furia devastatrice si estese agli altri templi di Alessandria e di lì a tutte le città dell’Egitto. Una volta profanati, gli spazi sacri vennero decontaminati e convertiti in basiliche. Dietro la distruzione e la riconversione dei luoghi di culto si celava una battaglia decisiva per ridefinire i confini del sacro e la gestione del particolare potere che esso veicolava. Ma non era una rivoluzione dal basso: a un anno dalla strage di Tessalonica e dalla successiva penitenza cui il vescovo Ambrogio aveva costretto l’imperatore, Teodosio aveva emanato un editto che autorizzava la distruzione dei templi pagani. La croce, simbolo di sofferenza e martirio, si era trasformata in simbolo di potere. Come era stato possibile? Giovanni Filoramo lo indaga nel denso volume La croce e la spada, che ha per oggetto il «secolo breve»: quel periodo che va dalla conversione di Costantino (312) alla morte di Teodosio (395), in cui si assiste alla trasformazione di un gruppo religioso minoritario in Chiesa di Stato, pronta, dopo essere stata perseguitata, a perseguitare a sua volta nemici interni ed esterni. Il libro ripercorre le tappe di questo itinerario e il contributo dei suoi principali protagonisti: gli imperatori romani da Costantino a Teodosio e i vescovi cristiani da Eusebio ad Agostino. La svolta decisiva, che riguarda la ricerca di un’ortodossia unitaria e il modo in cui il cristianesimo si rapporta al potere politico, ha luogo sotto Teodosio: col Concilio di Costantinopoli si fissa il dogma trinitario e si impone, grazie all’intervento dell’imperatore, la verità dottrinale uscita vincente dall’assise valida come legge di Stato. La dissidenza religiosa, di conseguenza, si trasforma in crimen publicum. L’avvio della criminalizzazione dell’eretico apre un capitolo nuovo e funesto nella storia del cristianesimo, quello in cui si può uccidere «in nome di Dio», illuminato nel libro attraverso l’illustrazione dei primi pericolosi segnali di cambiamento: la condanna a morte dell’eretico Priscilliano e l’uccisione della filosofa neoplatonica Ipazia. Non si trattò solo, per dirla con Edward Gibson, di «intolerant zeal». Né, come hanno sostenuto gli apologeti, di una mera conseguenza della svolta costantiniana. Nella Chiesa del IV secolo la fede fondata sulla rivelazione di Dio mediante il Figlio mise in moto una duplice, contraddittoria spinta: inclusiva in quanto mirava ad accogliere l’intera umanità, ma anche esclusiva perché la preservazione della «purezza» della comunità portò ad eliminare, oltre all’errore, l’errante.
Giovanni Filoramo, La croce e il potere, Laterza, pagg. 443, euro 24,00