Marcela Iacub
Dal buco della serratura. Una storia del pudore pubblico dal XIX al XXI secolo
Edizioni Dedalo
Dove finisce lo spazio pubblico e dove comincia quello privato? Cosa dobbiamo nascondere e cosa, invece, possiamo mostrare? La definizione dei confini tra individuo, società e Stato è una delle questioni problematiche che la società globale ha ereditato dalla modernità. Il sistematico sconfinamento del potere pubblico negli spazi privati è il frutto di una logica di potere attraverso cui il diritto ha diviso il mondo visibile da quello invisibile, il lecito dall’illecito. Lo spazio «fisico» è stato progressivamente delimitato da linee artificialmente tracciate. Queste frontiere, però, mobili e reversibili, sono state importanti zone di contestazione e di lotte e hanno condizionato e «normato» non solo gli spazi ma anche i corpi, i comportamenti, le pratiche fino a definire talune condotte anormali, devianti e malate. Su questo territorio Marcela Iacub rintraccia e analizza le politiche di definizione e produzione degli spazi e delle condotte sessuali – dal pudore pubblico al nudo artistico, dai reati di esibizione sessuale, alle pratiche omosessuali – invitandoci a riflettere sul legame tra sessualità e spazio pubblico.
una citazione dal libro:
Una storia dello sguardo
La storia del pudore pubblico concepita come una spazializzazione della sessualità è nel contempo una storia della sua «esposizione alla visibilità». Essa presuppone l’analisi dell’insieme dei processi che hanno trasformato la sessualità in spettacolo, cioè in un avvenimento la cui particolarità consiste nell’offrirsi alla vista.
L’articolo 330 del Codice del 1810 ha istituito una sorta di finzione originaria secondo la quale tutti i luoghi pubblici erano sorvegliati dall’occhio dello Stato. Quest’ultimo era tenuto a vedere tutti gli atti osceni che si svolgevano in un certo luogo, di giorno come di notte. Non era necessario che qualcuno incarnasse questo sguardo. L’occhio dello Stato vedeva anche nelle strade deserte, nelle vie senza luce, nei luoghi in cui nessun essere umano si avventurava. Mentre, nei luoghi privati in cui quest’occhio tanto potente non poteva penetrare, le scene sessuali erano considerate non viste, anche se una folla di persone vi aveva assistito.
La funzione di tale visione fittizia, che si operava nei luoghi pubblici, era quella di prevenire tutti i possibili sguardi e di proteggere la persona qualunque dagli spettacoli di natura sessuale che non doveva vedere.
Ma, per ampliare il campo visivo di quest’occhio onnivedente, ben presto i giudici hanno cominciato a servirsi degli occhi umani. Fu così stabilito che, in certe condizioni, lo sguardo degli individui poteva incarnare l’occhio immateriale dello Stato. Questa estensione fu realizzata seguendo due diverse direzioni. All’inizio lo Stato si servì degli occhi umani per trasformare gli spazi pubblici non solo in spazi in cui tutto era considerato visto, ma anche in una sorta di luoghi di osservazione grazie ai quali lo sguardo pubblico poteva penetrare nei luoghi privati. Inoltre, la facoltà che hanno gli occhi umani di essere montati su un corpo che può spostarsi da un posto all’altro, ha permesso di rendere pubblici i luoghi privati: bastava, infatti, che questi occhi potessero penetrarvi. Così, i luoghi privati non visibili all’esterno sono divenuti, grazie alla mobilità degli sguardi umani, luoghi sottoposti allo sguardo vigile dello Stato. Infatti, come vedremo nel dettaglio, il soggetto dell’atto del vedere non era l’individuo che guardava, ma lo Stato. Senza dubbio è per questa ragione che l’atto del vedere non è mai stato semplicemente il simmetrico dell’atto del mostrarsi, poiché solo il primo poteva diventare l’esercizio di una sorta di impegno pubblico. Vedere una scena sessuale è un atto che si può esercitare nel nome dello Stato, a differenza del mostrarsi.
La storia del pudore pubblico è quindi quella delle tecniche, complesse e polimorfiche, attraverso le quali l’occhio dello Stato offre a se stesso lo spettacolo della sessualità della popolazione. La storia delle modalità attraverso cui si è attribuito la potenza del vedere, servendosi degli occhi umani, per appagare la sua «pulsione scopica» e di come ha finito per prendere coscienza del fatto che il suo occhio fittizio poteva diventare l’oggetto del desiderio di coloro che aveva deciso di sorvegliare. Le recenti riforme non hanno trasformato questa produzione istituzionale dello sguardo grazie alla quale e nella quale noi vediamo e siamo sempre visti. La storia del pudore pubblico è, in questo senso, una sorta di genealogia della nostra percezione visiva, una maniera per prendere coscienza del fatto che vedere è più un evento che ci impegna come soggetti politici, che un atto attraverso cui il mondo si rivela alla nostra coscienza.
l'indice del libro:
L’artificio incarnato della vita giuridica di Graziella Durante - I. Una giurista risolutamente critica - II. La legge del buon pastore - III. Artificialismo giuridico: un «crimine perfetto» - IV. Un neo-femminismo indifferenzialista - V. Siamo tutti testimoni oculari dello Stato - VI. Godere della legge - VII. Guardare dal buco della serratura fa male al paese - Che cos’è la storia del pudore pubblico? - PARTE PRIMA - COSTRUIRE E ABOLIRE IL MURO DEL PUDORE - 1. La costruzione del muro del pudore - I. La sessualità nel Codice penale del 1810 - II. L’invenzione del pudore pubblico - III. L’oltraggio pubblico al pudore e gli oltraggi alla morale - IV. Il pudore pubblico e l’oltraggio ai buoni costumi - V. Gli atti che oltraggiavano il pudore pubblico - VI. Spudorati e negligenti - 2. I luoghi pubblici alla conquista dei luoghi privati - I. I luoghi pubblici - II. Le prime estensioni della pubblicità: i luoghi privati visibili o accessibili da un luogo pubblico - III. Insufficienti precauzioni e malsane curiosità - 3. L’invenzione della pubblicità interna - I. I precedenti - II. La sentenza Ponce (1877) - III. Vivere a casa propria dopo la sentenza Ponce - 4. L’abolizione del muro del pudore e le sorti dell’articolo 330 - I. L’articolo 330 a teatro - II. La crisi delle politiche di spazializzazione - della sessualità - PARTE SECONDA - LA LIBERAZIONE VISIVA DEI LUOGHI PUBBLICI - 1. Le guerre del nudo casto - I. I precedenti - II. I primi giudici delle nudità caste - III. L’implicito trionfo del quasi nudo. Il caso Joan Warner - IV. Il caso del topless, ovvero l’ultima guerra del quasi nudo - V. Le nudità naturiste - 2. La pubblicità della sessualità non casta - I. La teoria classica della pubblicità degli spettacoli e le prime contestazioni - II. Per farla finita con la pubblicità di uno spettacolo usando la frode - III. La teoria del doppio consenso degli spettatori delle rappresentazioni pubbliche. Il caso del teatro realista - IV. Consenso e pubblicità: le sentenze della Corte di Cassazione degli anni ’50 - V. L’influenza della nuova giurisprudenza della Corte di Cassazione sulle sale di spettacolo. Hair e Oh Calcutta! - VI. Teorie implicite contro dottrine esplicite - VII. Politiche degli spazi e politiche sessuali alla vigilia della rivoluzione dei costumi - PARTE TERZA - LA POLITICA DEGLI SPAZI ALL’EPOCA DEL SESSO - 1. Il nuovo diritto penale della sessualità - I. Sesso di Stato - II. La denormativizzazione della sessualità - 2. La scenografia del Sesso - I. La nuova infrazione: «Mostro in pubblico che impongo a qualcuno la vista della mia sessualità» - II. Gli elementi dell’infrazione: l’intenzione, l’atto osceno e la pubblicità - III. Il senso dell’infrazione: non si deve godere della legge - IV. Lo sguardo dei minori - 3. Perversi e dissoluti - I. Gli esibizionisti e l’articolo 330 del Codice penale - II. Gli esibizionisti nel mondo del Sesso - III. Giustizia e perizia - Ringraziamenti - Elenco delle abbreviazioni.