Corriere della Sera 29.10.10
Ateismo, materialismo, rivoluzione Michel Onfray pasdaran dei Lumi
«Voltaire e Kant ipocriti bigotti. Meglio Meslier, d’Holbach, Sade»
di Pierluigi Panza
Ai radicalismi che si fronteggiano su scala planetaria dall’inizio del secolo (religiosi, etnici, economici), il filosofo francese anti-salotto buono parigino, Michel Onfray, ne vuole aggiungere un altro: l’Illuminismo radicale. È una posizione che rivendica come caratteristica dell’Europa nel saggio Illuminismo estremo (traduzione di Gregorio de Paola, Ponte alle Grazie, pp. 302, €20)
e che si fonda su almeno quattro aspetti: un marcato e netto ateismo; il riconoscimento del fondamento materialistico e meccanicistico delle cose e degli esseri viventi; la libertà di espressione per ogni forma di piaceri e l’elemento rivoluzionario come azione politica — essendo la rivoluzione francese l’atto caratterizzante l’Europa moderna.
Onfray è un coraggioso filosofo antiaccademico di estrazione popolare, ma che scrive davvero troppi libri perché siano tutti «importanti»: nel suo precedente a questo — una severa critica a Sigmund Freud fondata sul confronto tra pensiero e biografia — si è attirato numerose critiche dall’establishment dei maîtres à penser transalpini, i quali si sono dimenticati nell’occasione che pure il «guru» Michel Foucault era arrivato a interpretare il pensiero di Freud come estrema eredità del pensiero cattolico.
Forse sarà così anche questa volta, visto che Onfray — pur non invitando gli illuministi radicali a fare guerriglia o attentati nelle strade in nome della Ragione — mette sotto accusa i «padri nobili» dei Lumi: Diderot, d’Alembert, Voltaire e Kant. I quali sono colpevoli di insufficiente radicalismo, più spesso di ipocrisia, come minimo di non aver saputo tagliare i legami con il deismo e la religione o di esser stati quello che oggi si direbbe «politicamente scorretti». Dunque, gli avversari dello sviluppo dei Lumi non sarebbero stati solo gli ultimi occultisti alla Cagliostro, i mesmeristi che guarivano con la calamita, i frenologi che studiavano il bernoccolo della matematica, i seguaci della fisiognomica come Johann Kaspar Lavater o i settari e i dogmatici rifugiati nelle confraternite. No, anche loro, i Kant e i Voltaire, alla fin fine, lasciarono prosperare le due ossessioni di Onfray: il cattolicesimo e le monarchie.
Su che basi giunge a queste condanne? Come per Freud, Onfray procede mostrando la discrasia tra pensiero e comportamento individuale (popolarmente si direbbe «predicano bene e razzolano male»), ovvero comparando teoresi e buco della serratura — o quasi. Diderot è «assai acuto sui popoli dell’altro capo del mondo nel suo Supplemento al viaggio di Bougainville, ma un po’ meno eloquente quando incassa i benefici del suo capitale impegnato nella tratta dei negri». Stessa osservazione per Condorcet: «Pronto a condannare la schiavitù nelle Riflessioni sulla schiavitù dei negri, ma anche a chiedere una moratoria di ottant’anni per non danneggiare i proprietari». Quanto a Kant, la colpa è quella di aver classificato «le donne nella casella dei minorenni di fatto». Accuse anche al naturalista Buffon per l’affermazione che «i negri puzzano di porro» e a Montesquieu perché «difende la pena di morte».
Non si salva nessuno? Europa, ancora una volta, con il capo cosparso di cenere? No; si salvano gli ultrà dei Lumi, che rispondono ai quattro requisiti sopra enunciati. Sono: La Mettrie, Meslier, Helvétius, d’Holbach e il marchese de Sade.
Quello di Onfray è più un coraggioso manifesto per l’oggi che una controstoria. È vero che la storia delle idee si fa con «gli occhi del presente», e che qualsiasi storia è interpretazione; ma qui la volontà di non calare il pensiero nell’epoca della sua formulazione appare troppo evidente per parlare di «storia».
Lo registrano anche due osservatori italiani. L’epistemologo Giulio Giorello ritiene infatti che Onfray sia «un po’ offuscato da ossessioni personali, come fare i conti con il cristianesimo», e che la sua sia «un’utile provocazione intellettuale che dà voce al materialismo radicale di d’Holbach o Le Mettrie». Ma — e questa è una critica anche di altri — «non vorrei che si sostituisse l’idea di filosofia come ricerca di Dio, con la tesi opposta», dice Giorello. «Voltaire è un deista e ritiene necessaria una religione civile, ma smonta con ironia ogni fanatismo. Diderot ha sarcasmo; dire che possedeva degli schiavi è un gioco vecchio. Anche Thomas Jefferson e George Washington erano teisti e schiavisti: ma ciò toglie veridicità alla dichiarazione che tutti gli uomini sono nati liberi? Direi di no. Toglie valore all’esperimento democratico di Washington?». Il caso de Sade, poi, è curioso. In un libretto dove tracciava l’elogio di Charlotte Corday, l’assassina di Marat, Onfray esaltava la donna e stigmatizzava de Sade. «Sono contento — conclude Giorello — che ora lo rivaluti; Charlotte ammazzava e Sade no. Il marchese si esprime contro la pena di morte, nella sua Filosofia nel boudoir presenta un’idea di Stato minimo e dice che la rivoluzione non deve essere imposta. Se vale esportare la rivoluzione, come vorrebbe Onfray, allora vale anche esportare la democrazia! A Sade avrebbe fatto orrore la guerra in Iraq; a Onfray non so».
Per il filosofo cattolico Giovanni Reale, poi, Onfray prende proprio l’Illuminismo dalla parte sbagliata. «L’Illuminismo ha avuto una validità fondamentale, ma il suo nucleo pericoloso è proprio l’estremismo integralista, il radicalismo della Ragione che diventa dea al posto di Dio. L’Europa non è nata con l’Illuminismo, come pensano i neoilluministi anche di Bruxelles; ma con la cristianità. L’errore che compie l’Illuminismo radicale è negare la portata conoscitiva della fede. Persino epistemologi come Thomas Kuhn hanno mostrato che i passaggi di paradigmi scientifici avvengono per atti di fede». E conclude: «L’Illuminismo che combatte l’integralismo religioso non è un buon Illuminismo se diventa, a sua volta, integralista, come è Onfray».
L’Illuminismo dovrebbe presentarsi come anticorpo al radicalismo. «Senza ignorare», come scriveva Edgar Morin, «le ombre della Ragione». E senza trasformarsi in «contro-prassi», come si diceva ai tempi della Scuola di Francoforte. Visto che già Horkheimer e Adorno, con Dialettica dell’Illuminismo (1947), avevano mostrato i limiti e i rivolgimenti di una ragione radicale che diventa il suo opposto: la meccanizzazione che porta allo smog, la promozione che conduce alla sudditanza pubblicitaria… Se in Onfray va apprezzata la radicale guerra a ogni ipocrisia e a ogni falsa coscienza (e ce n’è bisogno), va però evidenziata anche l’ingenuità filosofica nel ritenere che il «pensiero» davvero possa partire da una tabula rasa e procedere senza «pre-giudizi».