l’Unità, 13.10.2012
Caccia ai classici perduti, a partire da Lucrezio
«De rerum natura»
Composto intorno alla metà del I secolo a.C. nel corso del tempo è apparso e scomparso
Luca Canali
ROMA È GIÀ IN LIBRERIA IL PRIMO VOLUME DELLA COLLANA «I SESTANTI», IDEATA E DIRETTA DA PAOLO MIELI. SI TRATTA DI UN ROBUSTO E AFFASCINANTE LIBRO DI STEPHEN GREENBLATT, professore di inglese a Harvard, vincitore del National Book Award 2011e del Pulitzer 2012 per la saggistica (Il Manoscritto, Rizzoli, 2012, pag. 365, € 22,00). È davvero un brillante esordio per la ricchezza dei temi e dei personaggi trattati con il rigore della ricerca specialistica e insieme con la disinvoltura dell’alta divulgazione. Lo sfondo è la caccia ai classici ritenuti perduti. In questo caso il cacciatore pertinace e fortunato è l’umanista Poggio Bracciolini, il classico latino la cui opera viene ricercata attraverso mezza Europa, è Tito Lucrezio Caro, autore del poema De rerum natura (La natura delle cose) composto intorno alla metà del I sec. a.C., che avrà la strana sorte di apparire e scomparire per secoli, poi di ricomparire e scomparire più volte nel corso della Storia: ciò perché si tratta di un testo di straordinaria qualità poetica e scientifica, ispirata alla filosofia del greco Epicuro, e animata da uno spirito polemico così «scomodo» da potere persino apparire sovversiva. Già nell’antichità classica, per lo stesso motivo, scrittori e poeti eccettuato Ovidio, ammiratore di Lucrezio, evitarono di fare il nome dell’autore, cercando così di mettere in ombra e di far passare inosservati sia quel loro solitario e scontroso collega e soprattutto la sua unica opera, pur accogliendone suggestioni ed echi, e persino esplicite citazioni. Ad esempio, Virgilio definisce – in materia soprattutto religiosa – «fortunato» chi conobbe la causa (non divina) delle cose, ma fortunato anche chi credette nelle divinità dell’agricoltura, basi della religione pagana. Mentre il pensiero di Lucrezio, rigorosamente laico, aveva anche aspramente polemizzato contro tale religione: basta ricordare, in proposito, il suo severissimo verso tantum religio potuit suadere malorum («a tali crimini poté indurre la superstizione religiosa»), a proposito del sacrificio della figlia del re, Ifigenia, richiesto dai sacerdoti per propiziare il viaggio della flotta greca per raggiungere e assalire Troia.
Certo, Lucrezio nomina gli dei dell’Olimpo, ma soltanto in funzione metaforica: ad esempio, proprio all’inizio del poema, Marte, dio della guerra, riposa in grembo alla dea dell’amore Venere, ma entrambe queste divinità non sono altro che una metafora della pace.
Il lettore attento a tutte le parti del libro, può invece dissentire da una netta affermazione editoriale che sostiene, in assenza di copertina, un concetto molto discutibile: «I grandi libri cambiano la storia del mondo». È vero che i grandi libri (e il De rerum natura è uno di questi) hanno sicuramente influenzato le menti di personaggi eminenti di ogni epoca: ma anch’essi, come Lucrezio, non sono riusciti a sconfiggere l’egoismo umano, il flagello delle guerre, il culto della ricchezza, il dominio della prepotenza, l’uso della menzogna nella diplomazia e nella poetica, tutti pseudovalori della vita delle nazioni, come invece vorrebbe Lucrezio. Il poema di Lucrezio sarà stato scritto, dunque, non da un rivoluzionario vittorioso, ma da un poeta – filosofico «sovversivo» ma infine anch’egli sconfitto nella prassi, e tuttavia trionfatore nella provvidenziale astrazione dell’unico autentico valore immutabile: quello della poesia e dell’arte, di tutte le arti ovviamente.
Questa vittoria nessuno potrà negarla. Persino il suo «nemico» nella teoria filosofica, Cicerone, rispondendo ad una lettera di suo fratello Quinto, così scrive accettandone il giudizio positivo sul poema lucreziano, ritenuto multis luminibus ingeni, multae tamen artis, (ricco di un luminoso talento, ma anche di molta cultura poetica): si ricordi in proposito, che nella concezione critica ciceroniana, ingenium ha appunto il significato di «estro creativo» e ars quello di «preparazione culturale e retorica» necessaria all’esplicarsi di quell’estroso talento letterario. Del resto, l’ideale etico dell’epicureismo, quindi anche di Lucrezio, era la voluttà «statica», cioè il piacere «tranquillo» dei saggi, non quello «cinetico», cioè in continuo e angoscioso movimento. Comunque, a problemi di questa natura (compresa ovviamente la trattazione scientifica della struttura dell’universo) in questo eccellente saggio di Greenblatt sono dedicati interi capitoli, fra i quali, molto belli, quelli riguardanti il viaggio di Bracciolini che lo conduce nei vari monasteri, conventi, biblioteche, dandogli modo di conoscere i dettagli, positivi e negativi, della vita monastica, e persino l’evoluzione dei materiali per la stesura dei manoscritti, dal papiro alla pergamena.