La Repubblica 30.1.10
La favolosa storia del trattato sui profeti bugiardi
di Adriano Prosperi
Minois ripercorre la leggenda del celebre testo su Gesù, Mosè e Maometto Un´opera contro la religione, prima immaginata poi scritta per davvero
Questa è la storia di un libro maledetto e desiderato, temuto e accanitamente ricercato: un libro che prima di diventare reale fu piuttosto una fantasia, una testa senza corpo, un embrione di libro. All´inizio ci fu un´idea, un titolo: i tre impostori. Ma che titolo: i tre impostori erano Mosé, Gesù Cristo e Maometto. E l´idea era quella di attribuire l´origine delle tre religioni monoteistiche mediterranee all´impostura dei fondatori. Come quell´embrione sia nato e si sia sviluppato lo racconta Georges Minois (Il libro maledetto. La storia straordinaria del Trattato dei tre profeti impostori, Rizzoli, traduzione di Sara Arena, pagg. 320, euro 17,50).
Minois è uno storico abituato a scavare nei sedimenti dell´immaginario religioso. Sue sono tra l´altro una storia del diavolo e una storia dell´inferno. Lo zolfo d´inferno circola anche in questa storia. Da lì affiorano le ombre di Federico II di Svevia e del suo ministro Pier delle Vigne, convinti - secondo l´accusa di papa Gregorio IX (1239) - che il mondo intero fosse stato ingannato da tre impostori, Gesù Cristo, Mosé e Maometto.
In quell´inferno la tradizione cristiana collocò anche Averroè. A lui, un infedele e dunque un comodo capro espiatorio, fu attribuita la tesi che le tre religioni monoteistiche fossero state fondate da tre imbroglioni.
L´idea che la storia dell´uomo e del mondo raccontata dalle tre religioni fosse frutto di un´abile mistificazione poteva nascere solo in quel bacino del Mediterraneo dove tre monoteismi si scontravano con l´insanabile odio di un rapporto fraterno. Ma perché si pensasse alla religione come impostura e inganno deliberato era stato necessario il contributo dell´intelligenza greca e della sapienza politica romana. Erodoto aveva raccontato l´inganno di un fondatore di religione, lo schiavo trace di Pitagora, Salmoxis. E Tito Livio aveva descritto i finti convegni notturni di Numa Pompilio con la ninfa Egeria. Il poema di Lucrezio aveva accusato la religione di fondarsi sulla paura. E fu dalla lettura di Lucrezio e di Tito Livio e dall´esperienza dei tempi suoi che Niccolò Machiavelli ricavò le sue osservazioni sulla funzione della religione per il potere politico e per la forza dello stato.
Intanto con le scoperte geografiche la comparazione tra religioni si allargava a scala mondiale; e con la comparazione si sviluppava la capacità di critica e di relativizzazione e la tendenza a considerare la religione - ogni religione - una creazione umana, modellabile con la forza e con l´astuzia. E il libro dei tre impostori? La convinzione della sua esistenza condivideva con la fede in Dio delle religioni positive un carattere comune: era sostanza di cose sperate, terrore di cose temute. Finché a un certo punto ci fu chi lo scrisse davvero. Ma tutta questa storia, dalla lunghissima gestazione alla nascita, ha ancora lati oscuri e passaggi incerti su cui si affaticano gli studiosi: il che contribuisce a conferirle il fascino che appartiene alle cose nascoste, ai sogni e alle immaginazioni.
La violenza dei dispositivi di chiese e stati obbligava al nascondimento e nello stesso tempo aggiungeva forza di argomenti a chi parlava di impostura. Fu allora che la figura dell´ateo cessò di essere uno spauracchio apologetico e prese corpo e caratteri moderni. E fu con gli apporti dei libertini eruditi, di Hobbes e soprattutto di Spinoza che venne lievitando l´idea centrale di quel libro: che intanto, detestato e ricercato, dichiarato esistente senza essere visto, restava come avvolto nell´alone di quella che era la sua materia: l´impostura. Quando prese corpo in stampe e non in una ma in più versioni, una in latino e una in francese, fu per opera delle correnti dell´Illuminismo radicale, decise a voltar pagina rispetto a una cultura elitaria che non riteneva il popolo capace di tollerare la verità.
La versione su cui giustamente Minois si concentra comparve all´Aia nel 1719 dall´editore Levier. E il lettore curioso potrà verificare sull´eccellente edizione che del testo da lei scoperto ha pubblicato Silvia Berti (Trattato dei tre impostori, Einaudi, 1994) se è vero, come scrive Minois, che quel trattato è deludente: di più, se è vero che all´epoca in cui comparve avesse perduto la sua forza dirompente. Una cosa è certa: non c´è l´inferno in quelle pagine, non vi sono le sulfuree empietà su cui avevano speculato trafficanti e stampatori. Al loro posto c´è una ferma fiducia nella retta ragione, «la sola luce che l´uomo deve seguire». E c´è in più un salto rivoluzionario rispetto ai tempi delle cabale segrete e dei libertini eruditi: la convinzione «che il popolo non è così incapace di fare uso /della ragione / come si cerca di fargli credere». Era finita un´epoca, un´altra cominciava che ancora non è finita.
La favolosa storia del trattato sui profeti bugiardi
di Adriano Prosperi
Minois ripercorre la leggenda del celebre testo su Gesù, Mosè e Maometto Un´opera contro la religione, prima immaginata poi scritta per davvero
Questa è la storia di un libro maledetto e desiderato, temuto e accanitamente ricercato: un libro che prima di diventare reale fu piuttosto una fantasia, una testa senza corpo, un embrione di libro. All´inizio ci fu un´idea, un titolo: i tre impostori. Ma che titolo: i tre impostori erano Mosé, Gesù Cristo e Maometto. E l´idea era quella di attribuire l´origine delle tre religioni monoteistiche mediterranee all´impostura dei fondatori. Come quell´embrione sia nato e si sia sviluppato lo racconta Georges Minois (Il libro maledetto. La storia straordinaria del Trattato dei tre profeti impostori, Rizzoli, traduzione di Sara Arena, pagg. 320, euro 17,50).
Minois è uno storico abituato a scavare nei sedimenti dell´immaginario religioso. Sue sono tra l´altro una storia del diavolo e una storia dell´inferno. Lo zolfo d´inferno circola anche in questa storia. Da lì affiorano le ombre di Federico II di Svevia e del suo ministro Pier delle Vigne, convinti - secondo l´accusa di papa Gregorio IX (1239) - che il mondo intero fosse stato ingannato da tre impostori, Gesù Cristo, Mosé e Maometto.
In quell´inferno la tradizione cristiana collocò anche Averroè. A lui, un infedele e dunque un comodo capro espiatorio, fu attribuita la tesi che le tre religioni monoteistiche fossero state fondate da tre imbroglioni.
L´idea che la storia dell´uomo e del mondo raccontata dalle tre religioni fosse frutto di un´abile mistificazione poteva nascere solo in quel bacino del Mediterraneo dove tre monoteismi si scontravano con l´insanabile odio di un rapporto fraterno. Ma perché si pensasse alla religione come impostura e inganno deliberato era stato necessario il contributo dell´intelligenza greca e della sapienza politica romana. Erodoto aveva raccontato l´inganno di un fondatore di religione, lo schiavo trace di Pitagora, Salmoxis. E Tito Livio aveva descritto i finti convegni notturni di Numa Pompilio con la ninfa Egeria. Il poema di Lucrezio aveva accusato la religione di fondarsi sulla paura. E fu dalla lettura di Lucrezio e di Tito Livio e dall´esperienza dei tempi suoi che Niccolò Machiavelli ricavò le sue osservazioni sulla funzione della religione per il potere politico e per la forza dello stato.
Intanto con le scoperte geografiche la comparazione tra religioni si allargava a scala mondiale; e con la comparazione si sviluppava la capacità di critica e di relativizzazione e la tendenza a considerare la religione - ogni religione - una creazione umana, modellabile con la forza e con l´astuzia. E il libro dei tre impostori? La convinzione della sua esistenza condivideva con la fede in Dio delle religioni positive un carattere comune: era sostanza di cose sperate, terrore di cose temute. Finché a un certo punto ci fu chi lo scrisse davvero. Ma tutta questa storia, dalla lunghissima gestazione alla nascita, ha ancora lati oscuri e passaggi incerti su cui si affaticano gli studiosi: il che contribuisce a conferirle il fascino che appartiene alle cose nascoste, ai sogni e alle immaginazioni.
La violenza dei dispositivi di chiese e stati obbligava al nascondimento e nello stesso tempo aggiungeva forza di argomenti a chi parlava di impostura. Fu allora che la figura dell´ateo cessò di essere uno spauracchio apologetico e prese corpo e caratteri moderni. E fu con gli apporti dei libertini eruditi, di Hobbes e soprattutto di Spinoza che venne lievitando l´idea centrale di quel libro: che intanto, detestato e ricercato, dichiarato esistente senza essere visto, restava come avvolto nell´alone di quella che era la sua materia: l´impostura. Quando prese corpo in stampe e non in una ma in più versioni, una in latino e una in francese, fu per opera delle correnti dell´Illuminismo radicale, decise a voltar pagina rispetto a una cultura elitaria che non riteneva il popolo capace di tollerare la verità.
La versione su cui giustamente Minois si concentra comparve all´Aia nel 1719 dall´editore Levier. E il lettore curioso potrà verificare sull´eccellente edizione che del testo da lei scoperto ha pubblicato Silvia Berti (Trattato dei tre impostori, Einaudi, 1994) se è vero, come scrive Minois, che quel trattato è deludente: di più, se è vero che all´epoca in cui comparve avesse perduto la sua forza dirompente. Una cosa è certa: non c´è l´inferno in quelle pagine, non vi sono le sulfuree empietà su cui avevano speculato trafficanti e stampatori. Al loro posto c´è una ferma fiducia nella retta ragione, «la sola luce che l´uomo deve seguire». E c´è in più un salto rivoluzionario rispetto ai tempi delle cabale segrete e dei libertini eruditi: la convinzione «che il popolo non è così incapace di fare uso /della ragione / come si cerca di fargli credere». Era finita un´epoca, un´altra cominciava che ancora non è finita.