sabato 2 maggio 2009

Platone tradito dal Novecento

La Repubblica 1.5.09
Mario Vegetti ha scritto un libro sulla visione politica del filosofo
"Era un illuminista, non è stato capito"
Platone tradito dal Novecento
di Antonio Gnoli

È il pensatore più controverso, accusato di totalitarismo. Ecco una lettura diversa e sorprendente
Per Hitler grecità e germanesimo erano alleati nella lotta per la civiltà
Il teorico della ‘caverna´ pensava a un governo delle élite intellettuali

Non poteva prevedere Google e l´utopia della rete. Di fronte a un oggetto di cultura di massa come Matrix sarebbe rimasto interdetto. Ve lo immaginate un dialogo tra Socrate e Neo, il predestinato della grande saga dei fratelli Wachowsky? Eppure non c´è esperienza immateriale, o complicazione virtuale, che oggi non evochi le analisi platoniche. Quando estrasse, come da un cilindro, il mito della caverna avrebbe potuto inventare il cinema, se la tecnologia di allora glielo avesse consentito. Invece ne fece un involontario format in anticipo di 2500 anni sulla televisione. In fondo, realtà platonica e reality sono più contigui di quanto si immagini. Quello che nel quinto secolo fu concepito come una grande sistema speculativo, con tanto di demiurgo, rivive oggi in molte analisi. Platone è il filosofo più letto, più cliccato, più controverso. Il Novecento ne ha fatto un´icona politica, ma al tempo stesso se ne è spaventato. Su di lui è stato detto di tutto, di più. Platone totalitario e democratico, liberale e nazista, etico e immorale, amante dell´eros e fustigatore dei cattivi costumi, elitario e tollerante (o quasi). Non amava la democrazia, ne temeva le degenerazioni, la presa retorica sul popolo. Oggi guarderebbe con orrore ai populismi mediatici. Insomma perché un libro come La Repubblica ha attraversato la storia dell´Occidente sino a giungere a noi così carico di suggestioni?
Mario Vegetti - tra i più grandi antichisti in attività - ha scritto un bellissimo libro sul Platone politico da Aristotele al Novecento. Un paradigma in cielo ne è il titolo, edito da Carocci (pagg. 181, euro 18.50).
Un paradigma in cielo richiama il modo in cui Platone nella Repubblica definisce il suo modello di società giusta. Ma quel testo, credo si possa leggere e forzare in molte altre direzioni. È d´accordo?
«La Repubblica è un repertorio ricchissimo di metafore, di immagini, di paradossi. I primi due libri presentano una teoria dell´origine della giustizia e una genealogia della morale che portano diritto a Hobbes e Nietzsche; il quarto una psicologia dell´io scisso e conflittuale che ha il suo parallelo in Freud; il quinto l´utopia comunistica, l´abolizione della proprietà privata e della famiglia; il settimo un saggio straordinario di epistemologia antiempiristica delle matematiche; l´ottavo una memorabile critica parallela della democrazia e della tirannide».
E il Platone più familiare, quello delle idee, del bene e dell´immortalità dell´anima?
«C´è anche quello. Ma la cosa impressionante è lo sforzo di tenere tutto questo insieme, se non in un sistema almeno in un movimento dialettico unitario. Certo, un progetto eccessivo, che avrebbe destato la comprensibile irritazione di Aristotele. Ma l´eccesso credo sia la cifra dello stile filosofico di Platone, al quale egli rimedia spesso attenuandolo con un certo distacco ironico».
A proposito di eccesso, il Novecento è sceso a valanga su questo filosofo.
«C´è stata un´orgia di appropriazioni e di usurpazioni di Platone per motivi ideologici che risultano alla fine intollerabili».
Pensa alle letture "totalitarie" del suo pensiero?
«Nonostante l´assimilazione proposta da Popper fra i "totalitarismi", bisogna distinguere. I nazisti negli anni Trenta hanno trovato un´immagine di Platone in qualche modo già predisposta al loro abuso. Questa storia comincia con Hegel che aveva negato il carattere utopistico della Repubblica e vi aveva letto lo spirito del tempo, il riflesso dell´eticità sostanziale del popolo greco. E questa eticità consisteva nell´unità organica della comunità statale, la sua incommensurabile superiorità rispetto all´individuo. Quello che per Hegel era un limite di Platone, fu considerato un suo merito, un´idea forza nella Germania della crisi post-bellica, ostile tanto al capitalismo liberale quanto all´anarchismo socialista».
Ma in che modo il nazismo se ne appropriò?
«Platone divenne una bandiera ideologica già con illustri filologi "umanisti" come Wilamowitz, Jaeger e Stenzel. Quando il programma del partito nazional-socialista diceva che i nazisti si proponevano di "governare l´ordine come guardiani nel più alto senso platonico del termine", o quando Hitler scriveva nel Mein Kampf che "grecità e germanesimo" sono alleati nell´imminente lotta per la "civiltà", essi non facevano che citare parole già scritte dai professori berlinesi di filologia classica».
C´era anche Nietzsche alle spalle.
«C´era, ma con questa precisazione: l´idea che si dovesse formare un uomo nuovo e superiore, una "razza di signori", i nazisti la trovarono in parte almeno nella lettura nicciana di Platone».
Nietzsche se ne serve, Marx invece liquida Platone. Perché?
«Marx lo descrive come "l´ideologo ateniese del sistema egiziano delle caste". Sfortunatamente quel Platone divenne una specie di mantra nelle interpretazioni marxiste-leniniste».
A cosa si deve la fortuna della lettura popperiana di Platone?
«Più che di fortuna direi che si debba parlare di impatto. L´aggressione di Popper ha turbato il sonno di tanti che consideravano Platone, come dice Gadamer, "uno dei padri fondatori della nostra tradizione cristiana e liberale". Ma come, abbiamo da sempre avuto in casa il nemico totalitario e non solo non ce ne siamo accorti, ma l´abbiamo studiato e onorato? Si trattava di un attacco alle radici stesse della cultura occidentale, troppo forte per venire accettato. La seconda metà del Novecento ha quindi assistito a una sequenza interminabile di tentativi di difendere Platone da Popper».
Difesa legittima?
«Credo che un nemico come Popper aiuti a pensare Platone meglio di tanti suoi pretesi amici che ne fanno una caricatura perbenista per renderlo simile a se stessi e al loro "pensiero unico". La questione non è di capire se Popper ha bene interpretato Platone, e di segnalare i suoi errori con la matita rossa. La questione è di confrontare i presupposti teorici del pensiero politico di Platone con quelli di Popper, non dando per scontati né gli uni né gli altri: per esempio egualitarismo e antiegualitarismo, liberalismo democratico e governo delle élites, individualismo e comunitarismo. A questo livello, per contrasto, la critica di Popper ci aiuta a capire meglio Platone, e forse Platone può aiutarci a capire i limiti del pensiero liberal-democratico».
Leo Strauss fornì una lettura ironica e dissimulatrice di Platone. Nel farlo pose al centro il complicato legame tra l´intellettuale e il potere. È un rapporto che ha ancora senso?
«Strauss pensava che la filosofia fosse superiore alla politica perché il suo oggetto non è storico umano ma eterno e trascendente, e che quindi l´intellettuale non dovesse farsi coinvolgere nel gioco politico. Al contrario, il suo amico-rivale Kojève pensava hegelianamente che un filosofo non può rimanere estraneo alla storia e alla grande riflessione sulla verità che accade solo nel movimento storico. Questa discussione è interessante, ma a me pare molto viziata dal fatto che entrambi hanno un´idea del tutto astratta dei termini "intellettuale" e "potere", come se in ogni epoca si trattasse sempre delle stesse figure. Quanto a Platone, il suo era un progetto in fondo illuministico: il governo delle élites dell´intelligenza e della conoscenza. Chi crede che oggi governino i tecnocrati pensa che in qualche modo il progetto sia stato realizzato. Chi pensa invece che siamo in preda all´anarchia capitalista e ai suoi imbonitori populisti, può ancora nutrire qualche nostalgia per quel programma».

Fu un bersaglio di Popper
Il primo volume dell´opera di Karl Popper "La società aperta e i suoi nemici" è interamente dedicato a Platone. Si chiama infatti "Platone totalitario" ed è un violento attacco al platonismo politico e filosofico, per il suo carattere autoritario e teso a costruire una società piegata al volere dei governanti. Popper definisce la posizione di Platone come "radicalismo estremo".